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Fede e scienza. Un dialogo necessario. Un’antologia

a cura di Umberto Casale
Lindau, Torino 2010
pp. 244
ISBN:
9788871808987

IndiceFede e scienza, comunicazione di saperi? (di Umberto Casale);

Parte Prima: Fede, ragione, Scienza. Credere, nel mondo attualeCredere e sapereVerità del cristianesimo?Fede nella creazione e teoria evoluzionistaFede fra ragione e sentimento.

Parte seconda: Fede e Scienza al servizio della Verità. Discorso ai partecipanti alla XX Conferenza Internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute sul tema “Il genoma umano”(19 novembre 2005); Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (6 novembre 2006); Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura (8 marzo 2008); Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, nel X anniversario dell’Enciclica Fides et Ratio (16 ottobre 2008); Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (31 ottobre 2008); Discorso ai partecipanti al colloquio patrocinato dalla Specola Vaticana in occasione dell’Anno Internazionale dell’Astronomia (30 ottobre 2009); Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (28 ottobre 2010).

Il volume, edito da Lindau, vuole essere un nuovo contributo al dialogo tra scienza e fede, che il curatore, Umberto Casale — come esplicitato fin dal titolo — ritiene giustamente necessario. Fede e scienza. Un dialogo necessario, è anche, però, una sintesi dei temi chiave della teologia di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI su tale questione, e rappresenta quindi un utile strumento di studio e di documentazione per tutti coloro i quali siano interessati ad approfondire i rapporti tra scienza e fede. Il volume si compone di tre parti. Dopo un’ampia introduzione del curatore (pp. 7-95), troviamo una selezione di articoli o parti di volumi tratti da alcune opere dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, in prevalenza scritti durante il periodo della docenza bavarese. Nella terza ed ultima parte del volume sono riportati alcuni interventi del Pontefice, Benedetto XVI, in occasioni e sedi prestigiose, come la Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze e del Pontificio Consiglio della Cultura. Pur trattandosi di materiale già pubblicato (il visitatore di questo Portale può trovare proposti anche on line molti degli interventi riportati nel volume), l’opportuna scelta dei brani e le chiavi di lettura fornite dal curatore nell’Introduzione ne fanno un libro di sicuro interesse, di facile consultazione, senza dubbio assai utile a tutti coloro che cercano riferimenti a Joseph Ratzinger - Benedetto XVI entro l’ampia tematica dei rapporti fra pensiero scientifico e teologia.

Nell’introduzione, l’A. parte dalla riflessione che la razionalità scientifica rivela un fondamento metafisico. Basi pensare che alcuni dei fondatori della scienza moderna, come Copernico, Galileo e Newton, si proclamavano apertamente platonici. Intendendo, con questo, che essi legavano il metodo scientifico ad una precisa visione filosofica, nella quale l’intrinseca razionalità del cosmo precedeva e “giustificava”, per così dire, l’attività sperimentale.

L’impresa scientifica, quindi, proprio grazie al suo radicarsi in un più ampio orizzonte di razionalità filosofica, non dovrebbe degenerare in forme distorte di scientismo. Queste ultime, infatti, partono da una limitazione della ragione al solo dominio del dato sperimentale, dimenticando che se la natura si rivela conoscibile, ciò avviene grazie a quella Ragione originaria che ispira l’attività filosofica, ed è propriamente oggetto del pensiero teologico. Si tratta, come è evidente, di una scelta di campo, perché – come affermava Benedetto XVI nel discorso del 6 aprile 2006 – «in definitiva Dio o c’è o non c’è. O si riconosce la priorità della Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto ed è il principio di tutto… o si sostiene la priorità dell’irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra sarebbe occasionale, marginale. Non si può ultimamente “provare” o l’uno o l’altro progetto, ma la grande opzione del cristianesimo è l’opzione per la razionalità e per la priorità della ragione, un’ottima opzione che ci dimostra come dietro a tutto ci sia una grande Intelligenza, alla quale possiamo affidarci» (p. 83).

In quest’ottica si inserisce il tentativo di conciliazione tra Rivelazione cristiana e teoria dell’evoluzione, che Joseph Ratzinger porta avanti fin dall’inizio della sua riflessione teologica. Partendo dal presupposto schematico che «fede ed evoluzione non sono due ottiche inconciliabili: la creazione parla del perché esiste qualcosa e non il nulla (piano ontologico), l’evoluzione invece affronta il perché ci sonoqueste specie e non altro (piano fenomenologico)» (p. 76), l’attuale Pontefice individua il punto di contatto tra scienza e fede nella capacità del cristianesimo di utilizzare, durante il corso della storia, differenti visioni del mondo, a seconda del periodo e dei progressi della ricerca scientifica. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che la Rivelazione presenta una concezione dell’uomo come interlocutore privilegiato con il Creatore, e di questo fondamentale elemento deve tenere conto la moderna teologia, se vuole veramente comporre contesto scientifico e depositum fidei.

All’interno quindi di un contesto in cui ciò che si definisce “scientifico” deve definirsi anche “razionale”, cioè fondato su una visione del mondo che non escluda a priori la presenza di una Ragione creatrice, non è scientifico quell’approccio al reale, tipico dell’ateismo scientista, che vede nel puro caso l’origine del cosmo e dell’uomo. La teologia, al contrario, confortata dalla Rivelazione, sostiene che l’evoluzione della vita sia la manifestazione della Parola creatrice, la quale è anche, al contempo, una parola di Amore. Emerge qui con forza l’orientamento cristologico del pensiero di Ratzinger, nel quale ogni contenuto della fede ed ogni teoria scientifica vanno letti attraverso il significato, ontologico ed escatologico, dell’Incarnazione e della Risurrezione.

L’intento di Benedetto XVI, è dunque quello di «proporre una teologia quale sapere della fede, che, da un lato, raccoglie la ricchezza della grande Tradizione ecclesiale…; dall’altro, cerca di essere eloquente rispetto alle domande e alle inquietudini degli uomini contemporanei». Come si diceva poco fa, l’asse portante di questa sintesi è la figura di Gesù di Nazareth, nella sua relazione col Padre e con l’umanità in ascolto. Infatti, «il nesso tra Cristo e lo Spirito mostra come lo stesso Spirito Santo, quale interprete di Gesù Rivelatore del Padre, con la sua parola si rivolga a ogni tempo e questa parola abbia sempre qualcosa di nuovo da dire». Non sfugge, a questo sforzo di sintesi, la tematizzazione della fede cristiana nel suo aspetto esistenziale ed umano, senza però perdere mai di vista il profondo significato teologale dell’atto del credere. In definitiva, quindi, la teologia di Benedetto XVI «è, in sintesi, il tentativo – per molti versi riuscito – di mettere a tema la razionalità e l’umanità intrinseca della fede cristiana e di mostrare che nell’autocomunicazione della verità di Dio l’uomo accede alla sua propria verità» (pp. 94-95).

La domanda centrale che percorre tutta la teologia di Ratzinger, e allo scioglimento della quale sono orientati i molteplici sforzi di un pensiero che a tratti si rivela, indubbiamente, specifico e complesso, è in breve la seguente: che senso ha – ammesso che ce l’abbia – credere in Dio nel mondo contemporaneo? Un mondo, va aggiunto subito dopo, che vive immerso nel paradigma scientifico? È sullo sfondo di questa domanda che nasce la potente, perché provocatoria, immagine del teologo come clown, tratta da La città secolare di Harvey Cox. Proprio come il clown del racconto, il teologo grida e chiede aiuto per l’incendio che minaccia di devastare la città, soltanto che nessuno lo prende sul serio, per via del suo aspetto farsesco. Andando oltre l’immediato accostamento tra la figura del clown e quella del teologo, che già di per sé rivela l’urgenza e la posta in gioco espressa nella domanda, l’esempio porta in primo piano il tema del dubbio come aspetto centrale del credere oggi. Non siamo tanto consapevoli, infatti, che il dubbio che tormenta il credente è lo stesso che assale il non credente. È tutto su quel “forse”, pronunciato sottovoce, che – afferma Ratzinger – si gioca la partita teologica contemporanea, e la dialettica fra credenti e non credenti nella società occidentale. «In altri termini:» – scriveva Ratzinger nella sua Introduzione al cristianesimo (1968) – «tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino d sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presentecontro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio» (p. 109). Si comprende così, problematizzando l’atto di credere, come la fede non sia mai stata una semplice inclinazione “naturale”, ma sempre, in ogni epoca, una opzione che ha richiesto, ad un certo punto, una “conversione”. Altro aspetto fondamentale è, quindi, quello del “comprendere” che, con una raffinata digressione linguistica, il Papa riconduce al termine ebraico ‘mn (da cui ‘amen’), il quale all’origine significa “stare saldi”. È solo da una retta comprensione della Rivelazione, infatti, che nasce una fede salda, che non entra in conflitto con la ragione, ma anzi la porta a compimento.

Per meglio comprendere, dunque, dobbiamo volgerci al primo significato dell’atto di fede. Infatti, quel “credo” pronunciato nella professione di fede non si riferisce genericamente ad un contenuto, per quanto la Scrittura sia oggetto di credenza, bensì, in prima istanza, ad una persona. Significa “credo in Te”, ed è questa adesione, questo atto di fiducia, che caratterizza la fede non tanto come un “sapere”, quanto invece come un’esperienza, interiore ed esteriore, che possiede per chi la sperimenta un grado di certezza paragonabile a quello dei dati empirici. Del resto – nota Ratzinger – l’età moderna non ha forse assistito, in contesti differenti, ad un tentativo di “scientificizzare” la filosofia, facendo però emergere, in conclusione, la consapevolezza che l’approccio filosofico al reale non può competere in alcun modo con quello scientifico sul piano dell’esattezza? Di qui, nel Novecento, il ripiegamento della filosofia su se stessa, che prende corpo in una rinuncia alla conoscenza della realtà come tale, ricerca che si infrange contro il muro del solo fenomeno o, in altri termini, della sola coscienza. Secondo il Papa, ciò è avvenuto, al di là delle spinte antimetafisiche e anticristiane che hanno mosso molti degli autori contemporanei, per una risoluzione dell’attività della ragione, e quindi dello spirito, all’interno della sola conoscenza scientifica. Cosa che ha determinato, di conseguenza, una espulsione dal dominio del razionale di ogni attività o indagine dello spirito non immediatamente controllabile attraverso il metodo scientifico. Quest’ultimo, da prodotto della ragione, è divenuto oggi il metro su cui misurare la razionalità, e quindi il diritto ad affermare, di ogni forma di pensiero, compresa la teologia. «Il Lògos, la Sapienza, di cui da un lato parlavano i Greci, dall’altro Israele, è stato riassorbito nel mondo materiale e, al di fuori di esso, non è più accessibile. All’interno dello specifico cammino delle scienze naturali, questa limitazione è stata necessaria; se però questa viene dichiarata la forma invalicabile del pensare umano, il fondamento della stessa scienza diventa contraddittorio. Infatti essa, nel medesimo tempo, afferma e nega lo spirito… la disintegrazione dell’uomo, che in tal modo si attua, provoca tanto la patologia della religione quanto quella della scienza» (p. 164).

Quanto abbiamo detto emerge con forza dal dibattito sulla teoria dell’evoluzione. È evidente, infatti, come l’opzione di fede possa abbracciare o meno il cammino dell’essere sulla terra. In caso negativo, tale cammino avrà una valenza esclusivamente naturale, in quanto puro prodotto dell’evolvere della materia. Ma da questa prospettiva poi, nota giustamente Ratzinger in un altro dei brani antologici di questa Antologia, tratto da Dogma e predicazione (2005) e proposto su questo Portale con il titolo Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione, «la questione se un tale essere, inteso come strada, se l’evoluzione in complesso, abbia un significato, rimane… aperta e non può essere risolta neppure all’interno della teoria evoluzionista; per essa questo è un problema estraneo, mentre per l’uomo vivente è il problema fondamentale dell’universo» (p. 178). Se si volesse dare un orizzonte alla domanda sul “perché”, allora, bisognerebbe inserire la teoria evolutiva all’interno del quadro complessivo del rapporto tra natura, tempo e creazione. L’evoluzione diverrebbe così il nostro punto di vista sull’atto creativo della mente divina, nei cui piani, secondo quanto afferma la Rivelazione, l’uomo occupa uno spazio significativo. In questo spazio è compresa la libertà della creatura di credere, di affidarsi al movimento dell’essere diveniente, del quale la scienza, in quanto visione del mondo oggi condivisa, dà una descrizione il più possibile corretta e utile alla comprensione della natura. «Avendo così chiaramente definito la posizione che lo spirito e il pensiero occupano nel mondo, si delinea con chiarezza la soluzione del problema della creazione dell’uomo. Il concepire il mondo come l’attuazione di un pensiero creatore lo mette in relazione con l’attività creatrice dello Spirito… lo spirito non è un prodotto casuale di sviluppi materiali, ma piuttosto… la materia è un momento della storia dello spirito» (p. 180).

La capacità del cristianesimo di dialogare con ogni forma di pensiero e di cultura, mantenendo al contempo una propria identità definita, proviene dalle sue origini. È importante sottolineare, infatti, come la diffusione del pensiero cristiano sia iniziata proprio attraverso un movimento di mediazione fra la cultura ebraica e quella greca. Tale movimento può essere descritto come l’incontro tra la fase sapienziale dell’Antico Testamento e il razionalismo, perno della cultura classica. Sempre schematizzando, da questo incontro il cristianesimo ha tratto la propria visione del reale, la quale si basa sulla comprensione razionale del mondo, sapendo però che ciò non sarebbe possibile se la struttura ordinata e comprensibile del reale non fosse il riflesso della sapienza creatrice. Alla luce di tale consapevolezza, come abbiamo visto, la domanda sul posto occupato dallo spirito all’interno della nuova visione scientifica del mondo, si rovescia radicalmente. «Se – infatti – la priorità della materia determina oggi il modo di porre la questione, nella riflessione della sapienza biblica e greca si trova la posizione opposta: si suppone la priorità dello spirito, che lo spirito sia in condizione di suscitare la materia e sia da considerare come il vero punto di partenza della realtà; resta quindi il problema inverso: esiste eventualmente una sporgenza oscura, che non si lascia più ricondurre allo spirito creatore?» (Discorso tenuto a Torino, 12 giugno 1998, pp. 193-194). Interrogativo che se ne trascina dietro un altro, sul quale si gioca, come dicevamo in apertura, la partita decisiva rispetto al significato della fede nel mondo contemporaneo: è possibile, nell’era scientifica, una nuova evidenza che includa ed armonizzi i risultati della ragione scientifica? La riposta, sostiene Benedetto XVI, non può essere altrove se non in Cristo, nella sua persona, evidenza tangibile ed esperibile, nella fede e attraverso la Scrittura, della sapienza e dell’amore del Padre.

 

Giacomo Foglietta