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La bioetica ante litteram di Pio XII

Giugno 2018
Stefano Mentil
Istituto Jacques Maritain

Accostare Pio XII alla riflessione bioetica potrebbe apparire forzato, se non addirittura fuori luogo. Come può un papa la cui vita terrena era terminata nel 1958 aver contribuito ad una disciplina nata ufficialmente solo dodici anni dopo? La risposta è molto semplice, ed è sufficiente scorrere alcuni brevi passaggi dei suoi quasi 100 tra discorsi e radiomessaggi ai medici per rendersi conto che Pio XII ha contribuito alla riflessione sulla bioetica nel vero senso del termine, indagando e leggendo il fenomeno biologico alla luce della riflessione morale. E se la storia della bioetica inizia appunto nel 1970, con la pubblicazione di Bioethics. Bridge to the future dell’oncologo Van Rensselaer Potter, la “preistoria” ovviamente la precede, annoverando tutti quei contribuiti che pure hanno sviluppato una riflessione su temi bioetici. 

Il nesso tra la valutazione proposta dal papa sui temi etici durante il suo pontificato (1939-1958) e la conseguente nascita della disciplina bioetica propriamente detta, pone i temi che vengono affrontati dal Pontefice a pieno titolo tra i problemi classici di questo settore: partendo dalla bioetica generale o antropologia medica (indagante la natura dell’uomo, malato o medico, la relazione tra questi ultimi, il rapporto tra fede e scienza, i principi della deontologia medica), per passare alla bioetica di inizio vita (incentrata sul significato della procreazione, sulla contraccezione e i metodi di regolazione delle nascite, sull’aborto, sulla sterilizzazione, come pure sulla fecondazione e l’inseminazione artificiali fino a giungere alla genetica e all’eugenetica), alla bioetica “durante la vita” (in cui citiamo il parto naturale e indolore, la ricerca medica e la sperimentazione sull’uomo, la psichiatria e la psicologia, le amputazioni e i trapianti, la chirurgia estetica, l’analgesia), per giungere infine alla bioetica di fine vita (sui temi della rianimazione e dell’eutanasia, oltre che sulla pena di morte).

È evidente che papa Pacelli, pur non avendo mai utilizzato il termine, ha fornito un importante apporto alla nascita e al progresso di questo importante ambito dell’etica. La completezza e in numerosi casi l’attualità degli insegnamenti di questo Pontefice rappresentano una ricchezza anche per la riflessione contemporanea.

A questo punto dovrebbe essere più agevole rispondere affermativamente alla domanda posta all’inizio. E ciò accadrebbe non tanto perché l’analisi di Pio XII ha affrontato temi oggi ritenuti prettamente bioetici, come l’aborto, la contraccezione, l’eutanasia o la sterilizzazione; né dall’averlo fatto con un metodo ed uno stile innovativi, che interpretavano i nuovi problemi dell’etica medica partendo dal dato tecnico, per giungere all’ammonizione pastorale. Ciò conseguirebbe, piuttosto, dalle sue argomentazioni a difesa del valore della vita umana per mezzo degli strumenti offerti dall’etica e dalla teologia morale.

Superato il primo presunto paradosso, per cui la riflessione di Pio XII sui temi della vita e della morte e del loro rapporto con la medicina è stata a tutti gli effetti una riflessione bioetica, va sottolineata la superficialità della posizione che vede in papa Pacelli un pontefice arroccato su posizioni conservatrici, mentre gli andrebbe piuttosto riconosciuto il merito di essere stato il primo dei moderni, senza peraltro essere stato un modernista.

Un’ulteriore aspetto di originalità nella riflessione di questo papa potrebbe essere rintracciato nella lungimiranza del suo sguardo sui temi della vita, nella capacità di declinarne i singoli aspetti in una visione olistica dell’essere umano, che mai ha separato il dato biologico da quello umano e sociale della persona sofferente e che mai ha separato quest’ultima dalla persona deputata a curarla e ad assisterla. Ancora, il metodo che Pio XII ha utilizzato, pur riferendosi alle discipline classiche coinvolte nella risoluzione dei problemi etici, se ne distacca, ad avviso di chi scrive, per la varietà delle fonti cui attinge. In questo senso, non mancano riferimenti al mondo della scienza e ai suoi più recenti progressi, al fine di farsi meglio comprendere dai propri uditori, ma anche per svelare le domande di senso che ogni nuova scoperta scientifica portava con sé. Inoltre, altra importante innovazione è stata la proposta di una riflessione etico-filosofica quasi priva di riferimenti diretti alla Rivelazione, nel tentativo di arrivare a più coscienze possibili, anche e soprattutto a quelle che non potevano, già per propria formazione, attingere agli insegnamenti della morale cristiana. Infine, è necessario sottolineare come la riflessione proposta da Pio XII e in certi casi esplicitamente richiesta dalla classe medica al pontefice, si inscriva in una fase temporale in cui la Chiesa era in grado di confrontarsi e di dialogare con la classe medica in modo meno complesso rispetto al presente, e per ciò stesso era maggiormente capace di istruire un reale dialogo nel merito dei singoli temi in discussione. Probabilmente il nerbo di tutta la riflessione bioetica dei papa Pacelli trae origine proprio da una valutazione finalmente e pienamente positiva della scienza medica e delle sue potenzialità e dall’intuizione dell’incapacità della medesima scienza di auto-normarsi, di decidere da sé stessa dove porre i limiti della propria corsa al progresso. La scienza in generale e quella medica in particolare nel corso degli anni ‘30 e ‘40 del Novecento avevano dimostrato tutto il proprio potenziale distruttivo se non correttamente indirizzate verso l’autentico progresso dell’umanità.

Ed anche se questo tipo di analisi veniva espressa con il plurale maiestatico o addirittura mascherata con pudore nell’eleganza della lingua latina quando ad essere toccato era lo scabroso tema della masturbazione, ciò non toglie che fu un’esperienza pionieristica non solo per la Chiesa cattolica.

Fu così che Pio XII miscelò etica e scienza medica, e non poteva che ottenerne bioetica. I pressanti richiami alla maternità e alla genitorialità responsabili, ma soprattutto gli appelli alla dignità dell’embrione e del nascituro e quindi il rifiuto delle pratiche abortive precorrono il dibattito intorno all’aborto e alla sua strutturazione normativa, avvenuta nel Secondo dopoguerra sia nei Paesi dell’orbita comunista come pure nelle democrazie occidentali. Parallelamente a questo tipo di considerazioni e coerentemente con il richiamo alla responsabilità genitoriale, il papa non temette di sottolineare come l’essere genitori non rappresenti un diritto e che di conseguenza il figlio non sia riducibile ad “oggetto di desiderio” che è lecito ottenere con ogni mezzo. Problematiche che sembrerebbero dei nostri giorni, ma che in realtà affondano le proprie radici nello sviluppo biomedico della seconda metà del Secolo scorso. L’inscindibilità della dimensione unitiva da quella procreativa, il rifiuto dell’aborto, l’esclusione della sterilizzazione e la condanna di ogni tecnica anticoncezionale sia fisica che chimica sono tutti aspetti che i medici ricevuti in udienza da Pio XII avevano già avuto modo di apprendere nei medesimi termini in cui verranno riproposti nell’Humanæ vitæ del successore Paolo VI. Tuttavia sarebbe erroneo presentare il magistero pacelliano come una lista di divieti e di prese di posizione rispetto alle moderne tecnologie connesse all’embriogenesi e alla contraccezione. Senza dimenticare che già Pio XII aveva ammesso il ricorso al metodo di Ogino-Knaus quale lecito strumento per il controllo delle nascite e perciò compatibile con la dottrina, è anche utile ricordare come lo stesso pontefice non abbia temuto di riesumare fantasmi del recente passato parlando dell’eugenetica come di una “tendenza irreprensibile dal punto di vista morale”. Il processo di revisione e di rivalutazione del concetto e delle prassi eugenetiche, che ancora oggi non sembra portato a compimento quantomeno a livello di opinione pubblica, venne avviato già all’indomani dei spaventosi crimini nazisti proprio da quel pontefice la cui figura storica è ancora oggi a torto compromessa dai presunti silenzi e dalle ipotizzate connivenze con il Terzo Reich. Tuttavia il recupero dell’eugenetica tentato dal punto di vista morale dal Santo Padre non poteva, come di fatto non fece, prescindere da una rivisitazione interna di metodi e fini, ricorrendo alla distinzione tra eugenetica negativa e consulenza genetica, condannando la prima perché tesa all’eliminazione dei soggetti malati o non rispondenti a determinati requisiti e invitando alla ricerca sulla seconda allo scopo di sconfiggere malattie e disabilità.

Guardando quindi alle situazioni terminali dell’esistenza umana, è nuovamente possibile rintracciare nelle parole di Pio XII alcuni utili riferimenti. In particolare il tema della rianimazione e dell’accertamento della morte ed il parere espresso da Pacelli in proposito divenne ben presto famoso anche per l’ambigua citazione che si meritò all’interno del Rapporto di Harvard sull’adozione della morte cerebrale come criterio per la definizione di morte nell’essere umano. Ma al di là di questo riferimento, ciò che qui preme sottolineare è l’affermazione del papa, il quale non esitò a dire che in determinate circostanze non è un male lasciar morire il paziente, senza peraltro riferirsi ad interessi esterni come quelli dell’allocazione delle risorse sanitarie o del reperimento di organi, come invece farà il Rapporto. La fondamentale distinzione tra ordinarietà e straordinarietà dei mezzi terapeutici permise anche di negare che il rifiuto dell’accanimento terapeutico si configurasse come eutanasia, in base all’applicazione del principio del duplice effetto, per cui è poossibile ritenere lecita un’azione morale sebbene da essa possano derivare almeno due conseguenze, una positiva e l’altra negativa.

[Per approfondire: Stefano Mentil, La riflessione bioetica di Pio XII (prefazione di A. Da Re), Edizioni Meudon, Trieste 2017, pp. 268 - 20.00€ - ISBN 978889749721].