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Per una Paideia del terzo millennio

Settembre 2016
Luca Arcangeli
Fellow Sisri

La Paideia era l’ideale educativo della cultura classica, grazie a lei i giovani partecipanti alla vita democratica della polis erano iniziati ai valori fondamentali dell’agire politico e alle conoscenze basilari per comunicare da pari nella società antica. Era un ideale di formazione integrale della persona, che spaziava dalla retorica alla logica, dalle scienze naturali alla metafisica e teologia. Oggigiorno, nel nostro contesto globalizzato e interconnesso, questo antico ideale appare troppo pretenzioso ed etnocentrico per essere riproposto. Eppure anche per noi non è venuta meno l’esigenza di una formazione integrale della persona, una formazione inter e trans-disciplinare, in grado di liberarci dalla chiusura mortale degli specialismi.

Oggi la proposta di una nuova Paideia deve affrontare almeno tre sfide:

-    La divisione tra scienze e umanesimo.

Purtroppo la cesura tra formazione scientifica e formazione umanistica affligge ancora gran parte dei nostri modelli formativi. Non si capisce perché chi si dedica ai saperi analitici debba essere ignorante per quanto riguarda le grandi produzioni della cultura umana. Questa ignoranza danneggia drammaticamente la stessa capacità d’analisi scientifica, andando a inaridire le fonti della creatività a cui ogni scienziato in quanto uomo attinge con la sua immaginazione. Dall’altro lato l’intellettuale umanista, privo di agganci con il mondo scientifico, appare sempre più chiuso in una torre d’avorio accademica, incapace di intercettare alcun discorso che abbia una qualche pretesa sul reale. In questo modo il sapere umanistico diviene sinonimo di “soggettivo” senza alcuna volontà veritativa, mentre il sapere scientifico è oggettivo solo nella misura in cui non coinvolge più in alcun modo l’uomo e le sue dimensioni vitali. Questa divisione è falsa e non ha senso d’esistere: la scienza è umanistica in quanto sapere umano e un umanesimo che non pretenda di essere scientifico, che non chieda ai suoi asserti un minimo di "oggettività", è già morto in partenza. Dobbiamo dunque abbattere una divisione che non esiste, e parlare semplicemente di “scienze”, con fondamenti, fini e metodologie diverse, ma sempre di scienze si tratta. 

-    La divisione tra sapere teorico e prativo (know what e know how).

Una divisione che attraversa trasversalmente la separazione tra scienze e umanesimo è quella tra saperi teorici e saperi pratici. Questa divisione affonda nell’idealismo e razionalismo tipico di alcune correnti di pensiero filosofiche. I nostri sistemi formativi, in particolar modo proprio quello italiano in virtù dell’influsso di Giovanni Gentile, sono afflitti da questa separazione tra apprendimento teorico e apprendimento pratico: i licei da una parte per lo studio teorico e gli istituti tecnici e professionali dall’altra per la “prassi”. Oggigiorno questa divisione appare alquanto antiquata, dobbiamo abbandonare la separazione tra formazione teorica e tecnico-professionale verso la sintesi del “conoscere facendo”. Cosa esclude che si possano studiare al contempo codici di programmazione e la metafisica di Aristotele? Non parliamo di uno studio meramente individuale, di un apprendimento veicolato da lezioni frontali e assorbimento di nozioni, ma di una formazione “agente”: lavorando, svolgendo progetti in gruppo, gli studenti imparano e sorpassano il modello dello studio come semplice “ripetizione mnemonica”. Dunque nella nuova Paideia non solo non esistono più curricula “scientifici” e “classici”, ma non esiste più neppure la differenza tra “licei” e “istituti” tecnici-professionali. Esiste semplicemente la scuola, come luogo di formazione/apprendimento, per l’acquisizione di competenze relazionali e tecniche, per la maturazione integrale della persona.

-    L’avvento dell’infosfera.

Traggo il termine “infosfera" dal volume “The Fourth Revolution” del filosofo Luciano Floridi, edito nel 2014 da Oxford University Press. La rivoluzione informatica ha comportato la progressiva automazione dei processi di produzione e gestione dell’informazione. Se la rivoluzione industriale ha sempre più automatizzato il lavoro manuale, l’era informatica ha automatizzato il ragionamento (almeno quello calcolante). Le nostre macchine stanno sempre più comunicando tra loro autonomamente, escludendo il mezzo umano, il quale da controllore si trasforma in semplice fruitore. Dunque l’infosfera è il cosmo di informazioni strutturanti nel quale siamo immersi in quanto partecipanti, con il rischio di non sapere dove andare e perderci nella babele dell’iper-comunicazione. La nuova Paideia, ad uso delle on-life del terzo millennio, deve avere come centro la gestione dei linguaggi informativi. Non si tratta solo dei codici di programmazione, ma di tutti i linguaggi rilevanti per trasmettere e comunicare: dall’inglese alla matematica, dai linguaggi scientifici a quelli artistici. Ma non basta neppure il possesso di un “pacchetto” di linguaggi chiave, occorre anche la pratica di un meta-linguaggio, in grado di essere continua fonte produttiva di linguaggi alternativi: la filosofia. Il ragionamento critico del sapere filosofico è il primo metodo, capace della costruzione, controllo, rielaborazione dei diversi saperi. La riflessione filosofica fornisce i criteri ermeneutici per la gestione dell’immensa mole informativa generata dall’infosfera: è la mappa fondamentale per dirci cosa e come cercare nell’universo dei dati. Sottolineare la centralità della riflessione filosofica non è in contraddizione con l’idea sopra richiamata del “conoscere facendo”. La vera filosofia è un agire del pensiero, indirizzato a guidare rettamente le scelte della vita: le on-life del terzo millennio necessitano della critica filosofica non come sapere accademico, ma come riflessione viva da mettere alla prova ogni giorno, nella scelta di cosa scartare e cosa trattenere dell’oceano informativo in cui nuotano.

Termino questo editoriale immaginando con un breve racconto cosa dovrebbe essere la nostra nuova Paideia:

Filippo, appena diciottenne, sta terminando il ciclo di studi di base. Nell’appuntamento con il suo mentore, decide come strutturare l’anno. Ha un pacchetto di moduli obbligatori che comprendono biochimica, fisica e matematica, visioni filosofiche e storia del mondo, letterature comparate. Molti moduli vengono svolti in metodologia CLIL, totalmente in lingua inglese, e due sere a settimana ha il club di conversazione con dei professori madrelingua. Come moduli facoltativi Filippo sceglie recitazione, storia dell’arte, approfondimenti di web analitycs, elementi di supply chain management, letteratura greca-romana e un laboratorio di pasticceria il sabato mattina. Sebbene siano scelte molto eterogenee il mentore non lo dissuade nella scelta, sa che Filippo ha ancora tempo per specializzarsi nel lavoro e il contesto attuale premia più la versatilità che non l’iper-specialismo. Filippo, oltre a frequentare queste lezioni in modalità in-house a scuola e in e-learning, deve svolgere diversi project work e tre volte a settimana è in azienda: sta svolgendo un internship dedicato alla cloud security e ha buone possibilità che gli venga finanziata una borsa di studio in futuro. Oltre al percorso formativo/professionale Filippo è un membro della squadra di nuoto della scuola, si allena due volte a settimana e spesso partecipa alle competizioni scolastiche. Il mentore si cura che l’impegno nella sua interezza non gravi su Filippo più di 40 ore settimanali al massimo, delle quali è importanti che molte vedano comunque il coinvolgimento della famiglia e degli amici. Lo studio individuale, solitario, è particolarmente curato dal mentore, non tanto in termini di “quantità” di tempo ma di qualità: come disse un tempo nei suoi esercizi spirituali Sant’Ignazio di Loyola: “Non è il molto sapere che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose interiormente”.