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2015: Siamo nell'anno della Luce!

Gennaio 2015
Giuseppe Tanzella-Nitti
Ordinario di Teologia fondamentale, Pontificia Università della Santa Croce
 

Alla fine dello scorso anno 2013, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2015 Anno Internazionale della Luce e delle tecnologie basate sulla luce. In altre occasioni, l’interesse della comunità internazionale era stato indirizzato verso l’Anno dell’Astronomia (2009), l’Anno della Biodiversità (2010), l’Anno dell’Acqua (2013), ecc. Quattro gli ambiti ufficiali entro i quali convogliare le manifestazioni: 1. La scienza della luce; 2. La tecnologia della luce; 3. La luce in natura; 4. La luce e la cultura. In Italia le iniziative per l’Anno della Luce saranno coordinate dalla Società Italiana di Fisica (SIF), mentre per i collegamenti con la ricerca astronomica ed astrofisica faranno da referenti l’International Astronomical Union (IAU) a livello internazionale e, in Italia, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e la Società Astronomica Italiana (SAIt). In quest’ultimo ambito si sottolineerà l’importanza della “Luce Cosmica”, cioè la ricezione e lo studio dell’energia proveniente dagli oggetti celesti, un aspetto determinante per il progresso delle nostre conoscenze scientifiche. Se in passato l’opinione pubblica era stata già sensibilizzata a ridurre lo spreco di energia e a diminuire l’inquinamento luminoso — quest’ultimo particolarmente importante per la ricerca astronomica e astrofisica da terra, ma anche per tutti coloro che rivolgono lo sguardo al cielo stellato — l’iniziativa del 2015 è di ben più ampio respiro. Non si tratta solo di difendere o ben amministrare qualcosa, ma di comprenderne in maggiore profondità le implicazioni e le virtualità, sia scientifiche che culturali.

Dell’assoluta importanza dell’acqua siamo tutti persuasi, così come siamo consapevoli di quanto determinante sia la qualità dell’aria per la nostra vita. Riflettiamo forse un po’ meno sul ruolo della luce, trattandosi di una realtà che ci accompagna e ci avvolge, in modo più discreto dell’aria e dell’acqua, ma non per questo meno essenziale. L’acqua è una semplice molecola di soli 3 atomi, due di idrogeno e uno di ossigeno, mentre l’aria è un miscuglio di diversi elementi e composti chimici in diverse proporzioni; la luce, invece, è da esse qualitativamente diversa, perché ci si presenta come energia. Riserviamo infatti il nome di “luce” a quei valori dell’energia elettromagnetica, fra circa 3.800 e 7.500 Angstrom (380 – 750 nm), ai quali il nostro occhio è sensibile, e che per questo motivo chiamiamo “luce visibile”. In tal modo, la differenziamo da quelle altre forme di energia elettromagnetica che non vediamo ma i cui effetti avvertiamo, come ad esempio i raggi X o le onde radio. Già alla fine dell’Ottocento siamo stati in grado di definire, con James Clerk Maxwell, le elegantissime equazioni che descrivono la propagazione della luce e delle onde elettromagnetiche in genere; mentre all’inizio del Novecento abbiamo scoperto, con Max Planck, che l’energia si propaga mediante “quanti”, ovvero quantità discrete e non secondo valori continui, che nel caso della luce visibile chiamiamo fotoni. Albert Einstein metterà a punto poi un’altra equazione, anch’essa assai elegante, capace di descrivere le reciproche trasformazioni fra materia ed energia. Grazie a questi tre scienziati, nello spazio di pochi decenni, fra fine ottocento e primi del Novecento, la nostra conoscenza sulla natura della luce ha compiuto un enorme balzo in avanti.

Assai prima della contemporanea “fisica della luce”, il ricco simbolismo della luce era stato già catturato da molteplici manifestazioni della cultura umana, dalla mitologia all’architettura, dalla poesia alla religione, dando origine alle più svariate riflessioni, filosofiche, artistiche e teologiche, ancor prima che scientifiche. In effetti, è difficile trovare nella storia del pensiero una realtà così gravida di significati e di allegorie. Opportuna, pertanto, la decisione delle Nazioni Unite di riservare uno dei quattro ambiti tematici dell’Anno della Luce proprio a “la Luce e la cultura umana”. Ci proponiamo di riprendere anche noi questo suggerimento attraverso una serie di “Speciali di Home Page” che i siti disf.org e inters.org pubblicheranno nei prossimi mesi. Come di consueto, privilegeremo gli aspetti culturali e interdisciplinari, senza disattendere però quelli scientifici. I documenti e gli approfondimenti che proporremo saranno necessariamente limitati, se confrontati con le molteplici dimensioni che un tema come questo è in grado di suscitare: desideriamo solo stimolare l’interesse dei nostri lettori, dando spazio ad argomenti meno noti al grande pubblico ma ugualmente significativi. Esplorare le dimensioni culturali, scientifiche ed umanistiche della luce è assai attraente e, per certi versi, entusiasmante. È proprio parte di questo entusiasmo e di queste scoperte ciò che desideriamo trasmettere ai nostri visitatori. Siamo sorpresi, ad esempio, quando costatiamo che un oggetto esteticamente così evocativo come l’arcobaleno, retto da una fisica non banale, sia stato anche oggetto di studio da parte dei primi “ricercatori sperimentali” delle università anglosassoni del medioevo, come furono Roberto di Grossatesta e Ruggero Bacone; o quando scopriamo che esso viene più volte presentato dalla Bibbia come segno di alleanza fra Dio e l’uomo. Ci si può ugualmente sorprendere al conoscere che le convinzioni religiose di uno scienziato come Maxwell abbiano influito sul suo modo di giungere alle note equazioni delle onde luminose, come sostenuto dal filosofo e storico della scienza Thomas Torrance.

Il legame fra luce e pensiero religioso è a tutti evidente. Non è un caso che chi apre la Bibbia, testo sacro alla tradizione ebraico-cristiana, legga nella sua prima pagina una solenne dichiarazione sulla luce. Secondo la narrazione della Genesi della creazione, le prime parole che Dio pronuncia in prima persona sono: «E Dio disse: Sia la luce» (Gen 1,2). Azione altamente evocativa che, seguendo una linea di riflessione neoplatonica, diede origine nel medioevo ad una vera e propria “metafisica della luce”. Con questa espressione si indicava una concezione dell’essere e del creato in cui la luce “trasportava” l’azione creatrice di Dio, attribuendo alla luce quanto noi oggi forse diremmo a proposito dell’energia. Sarebbe superfluo attardarsi qui ad elencare l’importanza che la luce assume nella sacra Scrittura (tema al quale saranno dedicati altri specifici contributi). È comunque evidente che il linguaggio biblico sulla luce presenta una gran quantità di metafore e allegorie, che puntano verso qualcosa di più che una semplice immagine. Luce è sinonimo di verità e di vita. Il Verbo incarnato è indicato come “la luce che viene nel mondo” (cfr. Gv 1,9; Gv 3,19) e Gesù di Nazaret dice di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12; cfr. Gv 12,35). Chiunque fa il male, odia la luce; chi compie il bene indossa le “armi della luce”. Il salmista proclama che «in Te è la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36,10). Per il libro dei Proverbi, «la strada dei giusti è come la luce dell'alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Prv 4,18). In modo davvero radicale Giovanni, ancor prima di affermare che “Dio è amore”, nella sua prima Lettera non teme di dichiarare che «Dio è luce e in lui non c'è tenebra alcuna» (1Gv 1,5). In modo più generale, antropologicamente fondato, la luce entra a far parte del linguaggio religioso di tutti i popoli come simbolo di Dio, della sua trascendenza, della sua presenza pervasiva. Ne diviene un attributo. Ed è al tempo stesso simbolo e sinonimo della verità e del bene: la menzogna e il male sono assenza di luce, perché il buio favorisce le opere malvagie e la possibilità di occultare qualcosa. Non sorprende allora che, in modo derivato, il sole, fonte principale della nostra luce, sia stato per vari millenni oggetto di culto e di narrazioni mitologiche. E non sorprende che le grandi cattedrali del cristianesimo, specie in epoca medievale, ma con una tradizione che anche oggi rivive nella Sagrada Familia di Barcellona, basassero buona parte della loro architettura sulla dinamica della luce naturale o impiegassero il sole per la lettura del tempo e del calendario su imponenti ed artistiche meridiane.

Esiste quasi un parallelo fra la centralità della luce nel linguaggio religioso e la centralità che essa assume nel quadro scientifico-naturale. L’uomo ha bisogno di Dio come, sul piano scientifico, la vita e l’uomo hanno bisogno di luce. Luce vuol dire energia. Delle quattro forme di energia che l’uomo conosce, quella elettromagnetica è più facilmente maneggiata e impiegata; se l’uomo sfrutta altre forme di energia, come ad esempio quella gravitazionale o quella nucleare, è per ottenere ancora energia elettromagnetica, di cui la luce visibile costituisce la parte a noi fisiologicamente più vicina. Nel sole, la grande efficienza dell’energia nucleare che si sprigiona nel suo nucleo, analogamente a quanto accade nelle altre stelle, giunge a noi ancora sotto forma di energia elettromagnetica, di calore e di luce. Senza luce solare non vi sarebbe fotosintesi clorofilliana, non vi sarebbe vita, senza il calore del sole non vi sarebbero processi biochimici, la terra sarebbe una distesa di roccia e di ghiaccio. La qualità della vita sulla terra dipende ormai, in modo determinante, dalla nostra capacità di ottenere energia e luce a basso costo, di poterla distribuire senza troppe perdite. Per questo motivo si è dato giustamente rilievo al premio Nobel per la fisica del 2014, conferito a tre ricercatori giapponesi, Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura, meritevoli di aver scoperto i LED a luce blu, capaci di produrre energia che viene quasi interamente convertita in luce e non dispersa in calore. Circa un quarto dell’energia che produciamo sulla terra viene convertita in energia elettrica disponibile all’illuminazione e ciò fa subito capire quanto anche la luce che non proviene direttamente dal sole sia per noi ugualmente necessaria.

Grazie alla luce entriamo in relazione con gli altri, comunichiamo, trasportiamo informazione. Grazie alla luce il display dei nostri devices, dallo smartphone allo schermo del computer, dai monitor degli aeroporti ai semplici orologi digitali, ci offre in modo rapido ed essenziale le notizie e i messaggi necessari per prendere decisioni, capire cosa accade attorno a noi, vivere insieme agli altri e per gli altri. I laser collimano entro un angolo piccolissimo un fascio di luce concentrata consentendoci di riparare i nostri tessuti biologici, di costruire micromeccanismi, ma anche di stampare su carta, in modo chiaro e rapido, i nostri documenti. Siamo oggi capaci di “catturare” la luce con i milioni di colori che essa può esprimere, digitalizzarla e così trasportarla e riprodurla a nostro piacimento. Dalla scoperta del fuoco fino ai LED contemporanei, il modo di produrre la luce condiziona la nostra vita sociale e il nostro lavoro, i nostri legami familiari e il nostro riposo.

Non meno considerevoli sono i grattacapi che la luce ha causato alla filosofia della natura e della scienza. La sua velocità nel vuoto rappresenta, nel quadro delle teorie della relatività ristretta e generale, la velocità massima alla quale si può propagare un’informazione e, pertanto, anche la velocità massima alla quale si potrà mai fisicamente viaggiare. Questo limite ci pone di fronte all’impossibilità di renderci fisicamente presenti su mondi lontani, in galassie diverse dalla nostra o in stelle lontane anche poche centinaia di anni-luce dal nostro sole, limitando solo alle trasmissioni via radio la possibilità di comunicare con eventuali altri abitanti intelligenti del nostro universo. Dunque, potremmo solo eventualmente ricevere segnali, ma non dialogare con loro… a meno di non essere disposti ad attendere centinai o migliaia di anni fra le nostre domande e le loro risposte! La natura insieme corpuscolare e ondulatoria dell’energia ci obbliga ad approfondire la nostra conoscenza della luce, cercando paradigmi esplicativi sempre più soddisfacenti per rappresentarne il comportamento. Ci si chiede, infine, se la simmetria delle equazioni di Maxwell richieda o meno l’esistenza dei monopoli magnetici, che l’esperienza sembrerebbe escludere.

La luce si alterna però al buio, il giorno alla notte. L’Anno della Luce sarà anche un’occasione per farci apprezzare la debole luce che proviene da stelle diverse dal nostro sole, da galassie esterne alla nostra, da sorgenti di energia lontane il cui studio accurato è determinante per comprendere il nostro posto nel cosmo. Osservare altre fonti di luce è importante per capire sempre meglio la nostra, il sole, il suo futuro e il destino della vita che è fiorita su una dei pianeti che gli orbita intorno. I costi altissimi ancora oggi richiesti per mettere in orbita attorno alla terra o lanciare nello spazio complesse strumentazioni scientifiche non fa perdere attualità alla osservazione astronomica dalla superficie terrestre che necessita, appunto, di un cielo buio. Queste considerazioni hanno opportunamente suggerito all’IAU di sottolineare il valore della “luce cosmica”, di particolare importanza per la comunità astronomica, e che in questo Anno 2015 andrà più apprezzata, forse meglio difesa.

Come sempre, la capacità di ascoltare i segnali più deboli, provengano essi dallo spazio o dalla nostra personale riflessione quando facciamo silenzio nel nostro intimo, caratterizza la dignità della ricerca, quella scientifica come quella interiore. È su entrambe le dimensioni che il 2015 si propone di fare luce. Ed è quello che ci auguriamo.

© 2015 DISF – Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede