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Scienza e Religione

Albert Einstein
1939-1941

dalla raccolta di conferenze e saggi Out of my Later Years

Il pensiero religioso di Einstein, anche quello espresso nel testo che qui presentiamo, tratto dalla raccolta Out of my Later Years, è difficilmente schematizzabile e non manca di ambiguità nei confronti della realtà di un Dio personale; rimane comunque una grande testimonianza dell’ansia metafisica di un gigante della scienza che continua a provocare la coscienza assopita del mondo scientifico quando, incapace di porsi domande esistenziali, finisce col perdere le motivazioni più profonde della stessa ricerca.

I. (1939) Nel corso dell'ultimo secolo, e in parte del precedente, era opinione diffusa che esistesse un conflitto insanabile tra conoscenza e fede. Tra le menti avanzate dominava l'opinione che la fede dovesse ormai essere sempre più rimpiazzata dalla conoscenza; la fede che non si fondasse sulla conoscenza era superstizione, e in quanto tale andava contrastata. Secondo tale concezione, la sola funzione dell'istruzione era aprire la strada alla riflessione e alla conoscenza, e la scuola, come organo eminentemente deputato all'istruzione del popolo, doveva servire soltanto quel fine.

Probabilmente capiterà di rado, se mai capiterà, di vedere espresso il punto di vista razionalistico in forma tanto grossolana; perché chiunque abbia giudizio vedrà subito quanto sia unilaterale formulare in tal modo la posizione. Ma tanto vale enunciare una tesi in maniera nuda e cruda, se ci si vuole chiarire le idee sulla sua natura.

È vero che le convinzioni si possono sostenere meglio con l'esperienza e la chiarezza di pensiero. Quanto a questo, non si può che concordare senza riserve con il razionalista estremo. Il punto debole della sua concezione è, tuttavia, il seguente: le convinzioni necessarie e determinanti per la nostra condotta e il nostro giudizio non si trovano solo lungo la solida strada della scienza.

Perché il metodo scientifico non può insegnarci altro che l’interconnessione tra i fatti e il loro reciproco condizionamento. L'aspirazione a una tale conoscenza oggettiva appartiene alle più alte aspirazioni dell'uomo, e voi non sospetterete di certo che io intenda sminuire le conquiste e gli eroici sforzi dell'uomo in tale direzione. Tuttavia è parimenti chiaro che la conoscenza di ciò che è non apre direttamente la porta a ciò che dovrebbe essere. Si può avere la più limpida e completa conoscenza di ciò che è, e tuttavia non essere in grado di ricavarne quale dovrebbe essere il fine delle nostre aspirazioni umane.

La conoscenza oggettiva ci fornisce strumenti formidabili per il conseguimento di certi obiettivi, ma la meta finale in se stessa e il desiderio di raggiungerla devono provenire da un'altra fonte. E non è quasi il caso di argomentare a difesa della concezione che la nostra esistenza e la nostra attività acquisiscono significato soltanto attraverso la fissazione di una tale meta e dei corrispondenti valori. La conoscenza della verità in quanto tale è meravigliosa, ma così poco adatta a fungere da guida da non riuscire a dimostrare nemmeno la motivazione e il valore dell'aspirazione a quella stessa conoscenza della verità. Ecco che ci troviamo di fronte, perciò, ai limiti della concezione puramente razionale della nostra esistenza.

Ma non si deve concludere che il pensiero intelligente non possa avere alcuna parte nella formazione della meta e dei giudizi etici. Quando qualcuno si rende conto che per il conseguimento di un certo fine sarebbe utile un certo mezzo, il mezzo in sé diventa per ciò stesso un fine. L'intelligenza ci mette a fuoco l'interrelazione tra mezzi e fini. Ma il pensiero da solo non può darci conto dei fini ultimi e fondamentali. Chiarire tali fini e tali valutazioni fondamentali, e collocarli in modo saldo nella sfera emotiva dell'individuo, mi sembra precisamente la funzione più importante che la religione debba svolgere nella vita sociale di un uomo. E se ci si chiede di dove derivi l'autorevolezza di tali fini fondamentali, dal momento che la mera ragione non riesce ad affermarli e a giustificarli, ci si può rispondere soltanto: in una società sana essi sussistono come vigorosa tradizione che influenza la condotta, le aspirazioni e i giudizi degli individui; esistono, cioè, come qualcosa che vive senza che si abbia alcuna necessita di giustificarne l'esistenza. Sono posti in essere non per dimostrazione, ma per rivelazione, mediata da personalità potenti. Non dobbiamo tentare di giustificarli, ma piuttosto di intuirne la natura con semplicità e chiarezza.

I più alti principi su cui si fondano le nostre aspirazioni e i nostri giudizi ci vengono dalla tradizione religiosa giudaico-cristiana. È una meta assai elevata che, con le nostre deboli forze, possiamo raggiungere in modo solo estremamente imperfetto, ma che dà un fondamento sicuro alle nostre aspirazioni e valutazioni. Se si dovesse ricavare tale meta dalla sua forma religiosa e guardare soltanto al suo lato puramente umano, la si potrebbe forse esprimere così: libero e responsabile sviluppo dell'individuo, affinché possa porre liberamente e di buon grado le sue forze al servizio di tutto il genere umano.

Non c'è spazio in tutto ciò per la divinizzazione di una nazione, di una classe, e meno che mai di un individuo. Non siamo tutti figli di uno stesso padre, come si dice in linguaggio religioso? In effetti, nemmeno la divinizzazione dell'umanità, come totalità astratta, rientrerebbe nello spirito di tale ideale.

È solo all'individuo che viene data un'anima. E l'alto destino dell'individuo è servire piuttosto che dominare o imporsi in qualsiasi altro modo.

Se si guarda alla sostanza anziché alla forma, allora queste parole paiono capaci di esprimere anche la posizione democratica fondamentale. Il vero democratico può adorare la propria nazione altrettanto poco che l'individuo religioso, secondo la nostra accezione del termine.

Qual è, allora, la funzione dell'istruzione e della scuola in tutto questo? Esse dovrebbero aiutare i giovani a crescere in uno spirito tale che questi principi fondamentali diventino per lui come l'aria che respira. Un risultato che non si può ottenere soltanto con l'insegnamento.

Se si tengono ben presenti questi alti principi eli si confronta con la vita e lo spirito dei nostri tempi, allora la gravità del pericolo in cui l'umanità civilizzata versa attualmente appare evidente. Negli Stati totalitari sono i governanti stessi a tentare di distruggere con efficacia tale spirito di umanità. In aree meno minacciate i rischi del soffocamento di queste preziosissime tradizioni vengono invece dal nazionalismo e dall'intolleranza, come anche dall’oppressione degli individui con mezzi economici.

Tra la gente pensante, tuttavia, si sta diffondendo una chiara percezione della gravità del pericolo, e ci si dà un gran da fare per individuare nell'ambito della politica nazionale e internazionale, della legislazione e dell'organizzazione in generale, i mezzi con cui farvi fronte. Sono sforzi, senza dubbio, di cui vi è grande necessità. Eppure gli antichi conoscevano qualcosa che noi sembriamo avere dimenticato. Qualunque mezzo si rivela un mero strumento spuntato se dietro di esso non c'è uno spirito vigoroso. Ma se il desiderio del raggiungere il fine ben vivo dentro di noi, allora non ci mancherà la forza di trovare i mezzi per conseguirlo e tradurlo in fatti.

II. (1941) Non dovrebbe essere difficile accordarsi su ciò che intendiamo per scienza. La scienza è lo sforzo secolare di accorpare in un insieme il più completo possibile i fenomeni percepibili di questo mondo per mezzo del pensiero sistematico. Per dirla con chiarezza, sia il tentativo di ricostruire l'esistenza a posteriori attraverso un processo di concettualizzazione. Ma se mi chiedo che cosa sia la religione non posso pensare di rispondere in modo tanto facile. E anche dopo aver trovato una risposta capace di soddisfarmi in questo particolare momento resto convinto di non poter mai mettere assieme, nemmeno per accostamenti marginali, quanti hanno prestato seria considerazione al problema.

Prima di tutto, quindi, anziché chiedere che cosa sia la religione, dovrei cercare di sapere piuttosto che cosa caratterizzi le aspirazioni di una persona che mi dia l'impressione di essere religiosa: una persona che sia religiosamente illuminata mi pare una persona che si sia liberata, al meglio delle proprie capacità, dalle pastoie dei desideri egoistici per dedicarsi a pensieri, sentimenti e aspirazioni abbracciati per il loro valore sovrapersonale. Ritengo che quello che conti sia la forza di questo contenuto sovrapersonale e la profondità della convinzione circa la sua schiacciante preminenza, senza riguardo al fatto che si faccia o meno alcun tentativo di rapportare tale contenuto a un Essere divino, perché altrimenti non si potrebbero considerare personalità religiose nemmeno il Buddha e Spinoza. Di conseguenza, una persona religiosa è devota nel senso che non ha dubbi sul significato e sulla nobiltà di quegli obiettivi e di quelle mete sovrapersonali che non richiedono né potrebbero presentare alcun fondamento razionale. Essi esistono con la stessa necessità e concretezza della persona stessa. In tal senso la religione è lo sforzo secolare dell'uomo per diventare limpidamente e perfettamente conscio di tali valori e fini, e per rafforzarne ed estenderne costantemente l'efficacia. Se si concepiscono la religione e la scienza sulla base di tali definizioni, allora un conflitto tra di esse appare impossibile. Perché la scienza può solo accertare ciò che è, non ciò che dovrebbe essere, e fuori dal suo ambito tutti i tipi di giudizi di valore restano necessari. La religione, d'altro canto, si occupa solo di valutare il pensiero e l'azione umana: non può parlare a buon diritto di fatti e di relazioni tra i fatti. Secondo questa interpretazione dovremmo ascrivere i ben noti conflitti del passato tra religione e scienza a un fraintendimento della situazione che è sta descritta.

Per esempio, un conflitto sorge quando una comunità religiosa insiste sulla veridicità assoluta di tutte le affermazioni registrate nella Bibbia. Questo costituisce un'intrusione della religione nella sfera della scienza; di qui la lotta della Chiesa contro le dottrine di Galileo e di Darwin. D'altro canto, i rappresentanti della scienza hanno tentato spesso di arrivare a giudizi fondamentali in riferimento a valori e fini determinati in base al metodo scientifico, e in tal modo si sono posti in contrasto con la religione. Sono tutti conflitti scaturiti da errori fatali.

Ora, anche se gli ambiti della religione e della scienza sono perfettamente delimitati l'uno rispetto all'altro, nondimeno tra i due esistono forti relazioni e dipendenze reciproche. Benché la determinazione del fine possa spettare alla religione, essa ha nondimeno appreso dalla scienza, nel senso più lato, con quali mezzi favorire il raggiungimento delle mete che si è prefissata. Ma la scienza può essere creata soltanto da chi sia totalmente vocato alla verità e alla comprensione. Questa fonte emotiva, tuttavia, scaturisce dalla sfera della religione. Ad essa appartiene anche la fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell'esistenza siano razionali, cioè comprensibili per la ragione. Non riesco a concepire uno scienziato genuino che difetti di tale fede profonda. Possiamo esprimere la situazione con un'immagine: la scienza senza la religione è zoppa, la religione senza scienza è cieca.

Benché sopra abbia affermato che in realtà non può sussistere alcun legittimo conflitto tra religione e scienza, nondimeno mi sento tenuto a qualificare l'affermazione ribadendo ancora una volta un punto essenziale, riguardo al contenuto effettivo delle religioni storiche. È una qualificazione che ha a che vedere con il concetto di Dio. Nella fase giovanile dell'evoluzione spirituale dell'uomo la fantasia umana creò a propria immagine divinità che supponeva dovessero determinare, o quantomeno influenzare con le direttive della loro volontà, il mondo fenomenologico. L'uomo cercava di modificare a proprio vantaggio l'atteggiamento di tali divinità con la magia e con la preghiera. L'idea di Dio nelle religioni insegnate oggi è una sublimazione di quell'antica concezione degli dei. Il suo carattere antropomorfico è dimostrato, per esempio, dal fatto che gli uomini si rivolgano all'Essere Divino con preghiere e che ne implorino l'esaudimento dei propri desideri.

Nessuno, certamente, vorrà negare che dalla supposta esistenza di un Dio personale onnipotente, giusto e capace di elargire ogni sorta di grazia, l'uomo possa trarre conforto, aiuto, e guida; inoltre, in virtù della sua semplicità, tale idea è accessibile anche alle menti meno evolute. Ma ad essa, d'altro canto, è connaturata una debolezza decisiva, che è stata dolorosamente avvertita sin dai primordi della storia. Vale a dire, se questo essere è onnipotente allora sono opera Sua anche tutti gli eventi, compresa ogni azione umana, ogni umano pensiero e sentimento e aspirazione; com'è possibile pretendere di ritenere gli uomini responsabili dei propri atti e pensieri davanti a un Essere onnipotente di questo tipo? Nell'impartire premi e castighi Egli giudicherebbe, in certo qual modo, Se stesso. Come può questo conciliarsi con la bontà e la giustezza a Lui attribuite?

La principale fonte dei conflitti odierni tra le sfere della religione e della scienza sta tutta in questa idea di un Dio personale. La scienza aspira a fissare le regole generali che determinano le connessioni reciproche tra oggetti ed eventi nel tempo e nello spazio. Per queste regole, o leggi di natura, si richiede un valore assolutamente generale, non dimostrato. È soprattutto un programma, e la fede nella possibilità della sua realizzazione si fonda sostanzialmente solo su successi parziali. Ma difficilmente si troverebbe qualcuno disposto a negare tali successi parziali e ad attribuirli a un'illusione dell'uomo. Il fatto che sulla base di tali leggi si sia in grado di prevedere con grande precisione e certezza il comportamento temporale di certi fenomeni in certi ambiti è profondamente impresso nella consapevolezza dell'uomo moderno, per quanto poco egli possa avere afferrato del contenuto di tali leggi. Egli deve solo considerare che un limitato numero di leggi semplici consente di calcolare in anticipo con grande precisione le orbite dei pianeti entro il sistema solare. Analogamente, anche se non con la stessa esattezza, si può calcolare in anticipo il funzionamento operativo di un motore elettrico, di un sistema di trasmissione, di un impianto radiotelegrafico, e persino dello sviluppo di un romanzo.

Certo, quando il numero dei fattori che entrano in gioco in un complesso fenomenologico è troppo ampio, il metodo scientifico si rivela quasi sempre inadeguato. Basti pensare alle condizioni meteorologiche, per le quali non è possibile alcuna previsione, nemmeno solo per alcuni giorni. Ciò nonostante nessuno dubita che ci si trovi di fronte a una concatenazione causale le cui componenti ci sono sostanzialmente note. Gli eventi in questo ambito restano al di là della possibilità di una predizione esatta per via della varietà dei fattori in gioco, non per una qualche mancanza di ordine nella natura.

Siamo penetrati assai meno profondamente nelle regolarità esistenti nell'ambito delle creature viventi, ma abbastanza profondamente comunque da percepire almeno la regola di una necessità fissa. Basti pensare all'ordine sistematico nell'ereditarietà e all'effetto dei veleni, come per esempio l'alcool, sul comportamento degli esseri organici. Ciò che ancora ci fa difetto in questo campo è una comprensione dei nessi di completa generalità, non una conoscenza dell'ordine in se stesso. Più un uomo è consapevole dell'ordinata regolarità di tutti gli eventi, più si rinsalda nella convinzione che non c'è posto, accanto a questa ordinata regolarità, per cause di natura differente. Per lui non esisterà né regola dell'umano né regola del divino come causa indipendente degli eventi naturali. Certo, la scienza non potrebbe mai confutare in concreto la dottrina di un Dio personale che interferisca con gli eventi naturali, perché questa dottrina può sempre rifugiarsi in ambiti in cui la conoscenza scientifica non è ancora riuscita a penetrare.

Sono tuttavia convinto che un tale comportamento da parte dei rappresentanti della religione non sarebbe solo indegno ma anche fatale. Perché una dottrina capace di sussistere solo al buio, anziché alla luce del sole, perderebbe di necessità la propria efficacia sull'uomo, con incalcolabile danno per il progresso umano. Nella lotta per il bene morale, i maestri della religione debbono avere la capacità di rinunciare alla dottrina di un Dio personale, vale a dire rinunciare alla fonte della paura e della speranza, che nel passato ha garantito ai preti un potere così ampio. Nei loro tentativi dovranno fa leva su quelle forze che sono capaci di coltivare il Bene, il Vero e il Bello nell'umanità stessa. Si tratta di un compito sicuramente più difficile, ma incomparabilmente più degno. Dopo che i maestri della religione si saranno evoluti nel senso indicato, riconosceranno senz'altro con gioia che la conoscenza scientifica ha nobilitato e reso più profonda la vera religione.

Se uno degli intenti della religione è affrancare il più possibile l'uomo dalla schiavitù delle bramosie, dei desideri egocentrici e delle paure, il ragionamento scientifico può aiutare la religione anche in un altro senso. Benché sia vero che uno degli obiettivi della scienza è scoprire regole che permettano di associare tra loro i fatti e prevederli, questo non è il suo solo scopo. Essa cerca altresì di ridurre i nessi scoperti al minor numero possibile di elementi concettuali indipendenti l'uno dall'altro. È in tale sforzo di unificazione razionale del multiforme che esso incontra i maggiori successi, anche se è precisamente questo tentativo a farle correre il rischio più serio di cadere preda di illusioni. Ma chi abbia conosciuto l'emozionante esperienza dei progressi andati a buon fine in questo ambito, è mosso da profonda reverenza per la razionalità evidenziata nell'esistenza. Attraverso la conoscenza egli consegue un'emancipazione di vasta portata dai ceppi delle speranze e dei desideri personali, e con ciò perviene a quell'atteggiamento di umiltà mentale verso la grandezza della ragione incarnata nell'esistenza e che, nei suoi più abissali recessi, è inaccessibile all'uomo. Considero tale atteggiamento, tuttavia, religioso nel più alto senso del termine. E così ho l'impressione che la scienza non solo purifichi l'impulso religioso dalle scorie del suo antropomorfismo, ma contribuisca altresì a una spiritualizzazione religiosa della nostra comprensione della vita.

Più l'uomo avanza nella sua evoluzione spirituale, più mi appare certo che il sentiero verso una religiosità genuina non passa per la paura della vita e la paura della morte o per una fede cieca, ma per gli sforzi compiuti in direzione di una conoscenza razionale. In tal senso credo che il prete debba diventare un maestro, se vuole far onore alla propria alta missione educativa.

   

Albert Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton Compton, Roma 1996, tr. it. di Lucio Angelini, pp. 25-32.