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Le Pleiadi e l’Orsa Maggiore, nuovi simboli spirituali del cielo cristiano

Gregorio Magno
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Commento Morale a Giobbe, XXXI, 67-73
 
Prendendo spunto da una delle citazioni che l’ammasso aperto delle Pleiadi merita nel libro di Giobbe, Gregorio Magno le paragona ai santi, i quali “sono separati in quanto alla visone della loro figura, ma congiunti per l’intenzione dello Spirito: splendono insieme perché predicano la medesima verità, ma non si toccano, perché sono ripartiti in tempi diversi”. Le sette stelle dell’Orsa Maggiore (qui indicata con il nome di Arturo) rappresentano poi le 3 Persone della Trinità e le 4 virtù morali: mostrando in alto, alternativamente, le prime 3 o le seconde 4, essa predica ora l’una ora le altre. Ancora, l’Orsa e le Pleiadi stanno fra loro come l’Antico e il Nuovo Testamento, perché la prima sembra come indicare e portare alle seconde.

XXXI, 67. Puoi tu annodare le lucenti stelle delle Pleiadi o porre fine al giro di Arturo? [Gb 38,31]. Il nome Pleiadi deriva da ápo toú pleístou, cioè dal loro grande numero. Queste stelle sono state create così vicine e divise tra loro, che sono insieme pur senza potersi annodare, in quanto sono congiunte dalla vicinanza, ma non si toccano. Arturo poi rischiara le ore della notte in modo tale che, situato sull’asse del cielo, si volge in direzioni diverse senza tramontare. Ruota senza spostarsi, ma, situato in un luogo, si inclina verso ogni parte del mondo senza tramontare. Ora, che significa che l’uomo, fatto di terra [cf. Gen 2,7] e collocato sulla terra, viene interrogato sul governo del cielo: Perché non può annodare le Pleiadi, che vede create vicine e quasi congiunte fra loro? Perché non può arrestare il giro di Arturo, che scorge come disperso dalla sua stessa rotazione? Non forse perché, valutando la potenza del Creatore da queste operazioni, si rammenti della propria debolezza e si renda conto quanto sia inestimabile nel governo stesso delle funzioni celesti colui che ancora non può vedere nella sua maestà?

68. Ma perché parliamo di tali cose, mentre lo stimolo della ragione ci spinge a conoscere queste parole gravide di sensi misteriosi? Che altro infatti indicano le lucenti Pleiadi, che sono sette, se non tutti i santi, i quali in mezzo alle tenebre di questa vita ci rischiarano con la luce della grazia settiforme dello Spirito? Inviati a profetare nei diversi tempi, dall’inizio del mondo sino alla fine, per un verso sono congiunti fra loro, e per un altro non lo sono. Le Pleiadi infatti, come si è detto dianzi, sono congiunte dalla loro vicinanza, ma non si toccano. Sono collocate insieme e tuttavia effondono con veemenza i raggi della propria luce. Così è di tutti i santi, che compaiono in questo o in quel tempo a predicare. Sono separati quanto alla visione della loro figura, e congiunti per l’intenzione dello spirito. Splendono insieme, perché predicano la medesima verità, ma non si toccano, perché sono ripartiti in tempi diversi.

69. Quanto diversi i tempi in cui apparvero Abele, Isaia e Giovanni! Essi erano divisi nel tempo, ma non nella predicazione. Abele, figura della passione del nostro Redentore, offrì in sacrificio l’agnello [cf. Gen 4,4], della cui passione Isaia dice: Era come agnello muto di fronte ai suoi tosatori; e non aprì la sua bocca [Is 53,7]. Del quale a sua volta Giovanni dice: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie a peccati del mondo [Gv 1,29]. Ecco, inviati in tempi diversi e tuttavia concordi nel pensiero circa l’innocenza del nostro Redentore, Giovanni indicò con la sua parola il medesimo agnello, Isaia lo profetò, Abele l’offri. Colui che Giovanni indicò presente e Isaia predisse, era quel medesimo agnello che Abele teneva in mano e di cui era figura.

70. Dopo aver detto che le Pleiadi concordano fra loro circa l’umanità del Redentore, ora dimostriamo che splendono concordi nel mostrare l’unità della Trinità. In tempi diversi sono apparsi in questo mondo Davide, Isaia e Paolo, nessuno di loro tuttavia aveva un pensiero diverso dall’altro, poiché, senza conoscersi personalmente, avevano appreso dalla rivelazione divina la medesima verità. Davide, per mostrare che il Creatore di tutte le cose è Dio Trinità, disse: Ci benedica Dio, il nostro Dio. Ci benedica Dio [Sal 66,7-8]. E affinché non si credesse che menzionando Dio tre volte, intendesse tre dèi, subito, riferendosi all’unità della medesima Trinità, aggiunse: E lo temano tutti i confini della terra [Sal 66,8]. Non aggiunse “li”, ma “lo”, precisando così che i tre di cui stava parlando è uno solo. Isaia, a sua volta, quando rivelò la lode rivolta all’unità della Trinità, riferisce le voci dei Serafini, che dicono: Santo, santo, santo; e per non sembrare che ripetendo tre volte “santo”, volesse scindere l’unità della divina essenza, aggiunse: il Signore Dio dell’universo [Is 6,3]. Aggiungendo, non “i signori dèi”, ma “il signore Dio”, indicò che quello che aveva invocato tre volte, è uno solo. Anche Paolo, per mostrare l’opera della santa Trinità, dice: Da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose [Rm 11,36]. E per richiamare l’unità della medesima Trinità, subito aggiunge: A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen [Ibid.]. Aggiungendo, non “a loro”, ma “a lui”, ha dichiarato che colui al quale si è riferito tre volte, è uno secondo la natura e tre secondo le persone. Poiché dunque sono concordi nel pensiero su Dio, sono un po’ come le Pleiadi, che si trovano in un medesimo luogo e tuttavia non si toccano, perché, come si è detto, sono ripartite in tempi diversi di questo mondo.

71. Descrive questo, bene e brevemente, il profeta Ezechiele, il quale, dopo aver riferito la visione di esseri viventi di diverso genere, aggiunge: Le loro ali erano unite l’una all’altra [Ez 1,9]. Le ali degli esseri viventi sono unite l’una all’altra, perché sebbene siano diverse le cose che fanno, le voci e le virtù dei santi sono unite fra loro da un solo e medesimo pensiero. E sebbene uno sia un uomo, in quanto compie ogni cosa in modo razionale, e un altro sia un leone, perché, forte nelle sofferenze, non teme le avversità del mondo; uno sia vitello perché offre se stesso come sacrificio vivente per mezzo dell’astinenza, e un altro sia un’aquila perché prende il volo verso l’alto mediante la contemplazione; tuttavia, volando, con le ali si toccano, perché sono uniti fra loro nella confessione delle voci e nell’unanimità delle virtù [cf. Ez 1,10]. Poiché questo, di congiungere nella predicazione della fede gli inviati in tempi diversi e unire mediante il fulgore dell’intenzione uomini dotati di virtù diverse, è esclusivo della divina potenza, con ragione dice: Puoi tu annodare le lucenti stelle delle Pleiadi? Cioè: come faccio io, che solo completo ogni cosa [cf. Ef 1,23; 4,10] e annodo nel pensiero l’unità delle menti degli eletti, riempiendole?

72. Arturo, che col suo giro senza tramonto rischiara le ore della notte, non indica il sorgere della vita dei singoli santi, ma tutta la Chiesa nel suo insieme. La quale soffre, sì, le tribolazioni, ma rimane salda e non viene meno; sopporta il giro faticoso, ma non volge al tramonto con i tempi. Nel corso della notte, Arturo arriva all’estremità del cielo, ma mentre esso gira, la notte finisce; appunto perché quando la santa Chiesa viene scossa da innumerevoli tribolazioni, l’ombra della vita presente termina, e mentre essa rimane, la notte passa: mentre questa vita mortale trascorre, essa perdura incolume. C’è in Arturo qualcosa che possiamo osservare più attentamente. Esso gira nelle sette stelle, e ora ne eleva in alto tre, ora ne inclina in basso quattro; ora ne eleva più in alto quattro e ne spinge più in basso tre. Anche la santa Chiesa, se ai non credenti predica la conoscenza della Trinità e invece ai fedeli le quattro virtù, cioè prudenza, fortezza, temperanza, giustizia, si può dire che con la rotazione della predicazione cambia l’aspetto della sua posizione. Quando a certuni, che si vantano delle loro opere, riduce la fiducia nella loro fatica ed esalta la fede nella Trinità, che altro fa Arturo se non elevare le tre stelle e abbassare le altre quattro? E quando ammonisce certuni, privi di opere buone, a non presumere della sola fede, ma ordina di compiere con maggior impegno le opere comandate, che altro fa Arturo se non innalzare le quattro stelle e abbassare le altre tre? Vediamo come eleva le tre e abbassa le quattro. Ecco, per bocca di Paolo dice a quelli che si vantano delle loro opere contro la fede: Se Abramo è stato giustificato per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che dice la Scrittura? Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia [Rom 4,2.3; Gen 15]. Vediamo come eleva le quattro stelle e abbassa le altre tre. Ecco, per bocca di Giacomo dice a quelli che s’insuperbiscono della fede contro le opere: Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta [Gc 2,26]. E così Arturo gira, perché la santa Chiesa esercita l’arte della predicazione in direzioni diverse, secondo l’atteggiamento dei suoi uditori. Arturo gira, perché ruota nelle tribolazioni di questa notte. Ma un giorno il Signore porrà fine al giro di Arturo, perché cambierà le fatiche della Chiesa in riposo. Allora, quando avrà posto fine al giro di Arturo, unirà in modo più completo le Pleiadi, perché allora, quando alla fine del mondo la santa Chiesa sarà stata liberata dalle fatiche che adesso deve sostenere, tutti i santi saranno perfettamente uniti fra loro anche nella visione beatifica. Dice dunque: Puoi tu annodare le lucenti stelle delle Pleiadi o porre fine al giro di Arturo? Sottinteso: Come faccio io, che allora unirò anche mediante la visione beatifica la vita dei santi, quando porrò fine in senso corporale al giro della Chiesa universale. E quale uomo ignora che Dio solo può far questo? Ma affinché l’uomo riconosca ciò che egli è, ricordi continuamente ciò che Dio può fare.

73. C’è ancora qualcosa da osservare circa il sorgere delle Pleiadi e di Arturo. Le Pleiadi sorgono da oriente, Arturo sorge da settentrione, ma da qualunque parte si volti girando, mostra le Pleiadi, e quando ormai si avvicina la luce del giorno, il gruppo delle sue stelle si dispiega. Ora, Arturo, che nasce dalla regione fredda, può indicare la Legge; le Pleiadi invece, che sorgono da oriente, la grazia del Nuovo Testamento. La Legge, che per la sua grande e aspra rigidezza spaventava i sudditi, veniva come da settentrione. Prescrivendo di lapidare alcuni con le pietre e uccidere altri con la spada, era davvero una regione fredda; e pressoché priva del sole della carità, opprimeva i semi dei suoi precetti anziché alimentarli con il calore. Pietro rifuggiva da questo peso opprimente, quando diceva: Perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? [At 15,10]. Nessuna meraviglia che le stelle di Arturo raffigurino l’Antico Testamento, poiché nel Culto della Legge c’era il settimo giorno e lungo l’intera settimana si praticavano i riti del sacrificio stabilito [cf. Lv 28,3.36; Num 29,12-39]. Le Pleiadi, che, come si è detto sopra, sono anch’esse sette, indicano la grazia del Nuovo Testamento in modo tanto più palese, in quanto tutti vediamo chiaramente che per mezzo di questo lo Spirito santo illumina i suoi fedeli con la luce del dono settiforme. Perciò dovunque Arturo si volti, mostra le Pleiadi, perché con tutto ciò che l’Antico Testamento dice, annuncia le opere del Nuovo. Il testo letterale, infatti, copre il mistero della profezia. E un po’ come Arturo, si inclina e mostra, poiché piegandosi all’intelligenza spirituale, per mezzo di questa si manifesta la luce della grazia settiforme in esso adombrata. E avvicinandosi la luce del giorno, si dispiega il gruppo delle sue stelle, poiché da quando la Verità si è fatta conoscere a noi personalmente, ha liberato i precetti dai riti formali della lettera.

da Commento Morale a Giobbe, XXXI, 67-73, in “Opere di Gregorio Magno”, vol. I/4, Città Nuova Roma 2001, pp. 139-147.