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Il Tao della fisica

Fritjof Capra
Adelphi, Milano 1987
ISBN:
9788845906893

The Tao of Physics. An Exploration of the Parallels between Modern Physics and Eastern Mysticism, Bantam Books, New York 1975
prima edizione italiana: Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1982 


L'autore

Fritjof Capra è un fisico di origine austriaca, divenuto da noi assai noto dopo la traduzione in italiano di The Tao of Physics, pubblicato in lingua inglese nel 1975, al quale hanno fatto seguito diverse altre opere, tradotte in italiano, quali Il punto di svolta (Feltrinelli, Milano 1984), Verso una nuova saggezza (Feltrinelli, Milano 1988), La rete della vita (Rizzoli, Milano 1999), La scienza della vita (Rizzoli, Milano 2002).

Nato nel 1939 e conseguito il dottorato in fisica a Vienna nel 1966, Capra respira profondamente l'atmosfera della contestazione studentesca del '68, approdando, negli anni successivi, a quella visione "ecologistico-religiosa" che ne rappresenta una sorta di "mutazione evolutiva" post-marxista, e che ha introdotto nel mondo occidentale diversi elementi culturali estrapolati dalle filosofie e dalle religioni orientali, trapiantandoli fuori dal loro contesto originario e non senza for zature, in Europa e in America. Nel 1995 fonda, in sintonia con una c ultura ormai divenuta di moda, il Center for ecoliteracy, la cui finalità è quella di « porre nuovamente i bambini in contatto con il mondo della natura» («reconnect children to the natural world»), con una pedagogia funzionale a formare in loro una mentalità ecologista.

Il libro

Il successo del Tao della fisica è stato favorito certamente dal clima culturale New Age che si è diffuso anche in Italia a partire dagli anni '90 del XX secolo, mentre sarebbe stato impensabile solo qualche anno prima. Questo clima che ha favorito il successo del libro è, obiettivamente, però, un elemento che non favorisce una corretta comprensione della portata epistemologica delle problematiche che l'autore solleva. Infatti esso favorisce una comprensione orientata in senso irrazionalistico e un po' magico, anche di quelle tesi che, se comprese in una maniera corretta, sono meritevoli di essere chiarificate e approfondite; cosa che cercheremo almeno in parte di fare, pur nei limiti di una esposizione sintetica come questa. Va detto, comunque, ad onor del vero, che nella letteratura odierna non mancano altri libri, ben più validi, che propongono quelle stesse tesi in una maniera sistematica, rigorosa e, soprattutto, scevra da spurie contaminazioni con il fenomeno New Age.

Nell'opera l'autore ritiene di recuperare la "parte migliore" della cultura occidentale, cioè la scienza recente, quella che, a suo avviso, sta muovendosi nella direzione giusta, cioè alla scoperta di alcuneconoscenze fondamentali, quelle stesse che, come egli sostiene, i "mistici orientali" po ssiedono da tempo immemorabile. A questo proposito si deve però osservare come alcune di queste conoscenze fondamentali, citate da Capra, non si trovano certo solo nelle concezioni dell'estremo Oriente, ma sono presenti nella stessa filosofia greca, in particolare in quella aristotelica, e nella filosofia medioevale come in quella di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Pensiero che, però, l'autore mostra di non conoscere adeguatamente, ma di fraintendere, o di ignorare del tutto (!), probabilmente a causa di un approccio a questi pensatori inquinato, quando non addirittura interdetto, da ormai consueti quanto fuorvianti luoghi comuni. (Basti un solo esempio di tali luoghi comuni, nei quali egli cade acriticamente, per metterci in guardia: «I Greci costruirono i loro modelli con metodo deduttivo partendo da alcuni assiomi o princìpi fondamentali, e non per induzione da quanto era stato osservato», p. 35. Sarebbe sufficiente anche solo citare il libro I dei Secondi Analitici di Aristotele - cfr. 81a 40-81b 9 - ove si tratta della necessità del metodo induttivo insieme a quello deduttivo p er smentire questa affermazione ).

Tali nodi fondamentali della conoscenza sono, in effetti, comuni a tutte le culture in quanto costituiscono le basi naturali della razionalità umana. Come ha mostrato J. Bochenski nella sua pregevole storia della logica in due volumi ( La logica formale, Einaudi, Torino 1972), comparando i risultati della logica greca con quella orientale (in particolare indiana): «La cosa più interessante riguardo a questa forma di logica è però il fatto che, in circostanze del tutto diverse e senza essere influenzata dall'Occidente, essa sviluppò sotto molti rispetti gli stessi problemi e raggiunse le stesse soluzioni » (p. 575). E questo non vale solamente per la logica, ma anche per alcuni principi metafisici intrinseci alla realtà che possono essere raggiunti in qualunque contesto, magari con un certo travaglio, nel corso di una seria ricerca. Anche alcune verità della religione possono essere attinte da una ricerca razionale, magari talvolta ancora rivestita di un linguaggio mitico, e non senza una qualche luce della grazia divina. La differenza tra le due tradizioni culturali (quella occidentale e quella orientale), leggendo il libro, sembra consistere principalmente nel fatto che la prima è fortemente sistematica e dimostrativa, oggettiva, mentre la seconda si presenta con un carattere prevalentemente esperienziale, soggettivo, che si vorrebbe addirittura "aconcettuale", non direttamente comunicabile, risultando quindi, di fatto, lontana dalla razionalità scientifica che ha caratteristiche diametralmente opposte.

Dunque l'enfasi che Capra pone sull'Oriente può trarre in inganno il lettore non attrezzato, essendo almeno parziale, e non è quindi da assolutizzare. L'influsso delle mode correnti e dell'irrazionalismo nichilista, che oggi condiziona tutta la nostra cultura occidentale, non è poi immune da una diffusa tendenza ideologica (a volte non dichiarata, altre volte addirittura ostentata) a prendere le distanze da quel pensiero filosofico che la storia dell'Occiden te ha visto crescere sopratutto in ambiente cristiano e, in particolare cattolico. E allora si tende volentieri a presentare le visioni non cristiane come più interessanti e adeguate a raccordarsi con il pensiero scientifico.

Il volume è strutturato in tre sezioni all'interno delle quali si articolano le varie tematiche:

- la prima è dedicata alla via della scienza fisica come è stata concepita e si è sviluppata in Occidente (pp. 15-98);

- la seconda al «misticismo orientale» (induismo, buddismo, pensiero cinese, taoismo e Zen; pp. 99-144)

- l a terza alle «corrispondenze» tra le due vie precedenti (pp. 145-350).

Uno schema metodologico molto semplice e, almeno apparentemente, afferrabile e convincente per chi non possiede particolari strumenti tecnici e critici come il grande pubblico. Meno ovvia è, necessariamente, la comprensione dei dettagli tecnici che richiedono un po' di conoscenza delle problematiche inerenti la fisica, da un lato, e delle visioni filosofiche e religiose occidentali e orientali dall'altro. E, quindi, problematica risulta essere la possibilità verifica da parte del lettore, dell'effettiva concordanza tra i significati dei termini scientifici e i loro possibili correlati "mistico-orientali". In taluni casi, come ad esempio là dove si tratta dello spazio-tempo relativistico, l'interpretazio ne dell'autore appare addirittu ra non corretta, in quanto piu' in linea con una visione kantiana e idealista che non con quella einsteiniana (basti confrontare su questo problema la puntuale analisi epistemologica di uno dei più autorevoli studiosi di storia del la scienza come Alexandre Koyré (cfr. le schede delle opere di Koyré offerte in questo portale ).

Dal punto di vista dello stile, la lettura risulta scorrevole e, gli accostamenti tra la visione scientifica e quella orientale, appaiono a prima vista plausibili, e talvolta probabilmente lo sono, ma essendo per lo più proposti in forma solamente qualitativa e allusiva, piuttosto che sistematica e dimostrativa, non sono esenti da un certo concordismo ingenuo, in quanto il libro non offre elementi rigorosi per verificarne la correttezza. E questo è facilitato dal carattere irrazionale (atematico e asistematico) che viene attribuito alla visione orientale, caratteristica che offre una sorta di via di fuga, per l'autore, di fronte agli aspetti più delicati di una adeguata metodologia epistemologica.

La questione epistemologica del confronto tra i risultati di due forme di conoscenza

In questo libro Capra espone il suo tentativo di una solo apparentemente facile "sintesi" tra la fisica del N ovecento e la sua personale interpretazione della «mistica orientale» (dizione con la quale egli congloba genericamente gli elementi filosofico-religiosi attinti dalle tradizioni dell'estremo Oriente), di derivazione principalmente buddista (ma non solo), cercando di mostrare come, a suo parere, tra la "filosofia" contenuta implicitamente nelle grandi teorie scientifiche del XX secolo - la relatività di Einste in e la meccanica quantistica - e la visione "mistico-orientale" vi siano delle «sorprendenti corrispondenze» (p. 18).

Impresa, in realtà, non semplice dal punto di vista epistemologico, come lo stesso autore avverte chiaramente all'inizio. «Prima di iniziare ad esaminare le corrispondenze tra la fisica moderna e il misticismo orientale, dobbiamo affrontare il problema preliminare di come sia possibile porre a confronto una scienza esatta, espressa nel linguaggio estremamente raf finato della matematica moderna , con discipline spirituali le quali, oltre a basarsi essenzialmente sulla meditazione, insistono sul fatto che le intuizioni a cui guiingono non possono essere comunicate verbalmente» (p. 29). E la soluzione di principio alla quale approda è ultimamente corretta, in quanto egli deve riconoscere che «anche nel misticismo orientale è presente una componente razionale» (p. 38). Dunque il canale di comunicazione e di confronto tra le due concezioni (scientifica e "mistico-orientale") dovrebbe essere rappresentato almeno da quella base razionale comune ad ogni cultura e forma di conoscenza. Ma questa pista, appena accennata, a) entra in contraddizione con l'affermazione della dimensione aconcettuale e non comunicabile della "mistica orientale", b) rimane ad un livello ingenuo e non sufficiente a garantire un modo critico di «confrontare [.] le affermazioni fatte dagli scienziati e dai mistici orientali sulla conoscenza del mondo» (p. 29). Mancano, in pratica, all'autore, gli strumenti per poter percorrere questa strada senza contraddizioni, per cui egli sembra arrestarsi a questa affermazione di principio, proseguendo, poi, il suo lavoro senza poterne tener conto più di tanto. Certamente egli avrebbe avuto un lavoro più facile se fosse stato in possesso di un'ontologia sistematica , come ad esempio quella aristotelico-tomista. Inevitabile, quindi, un certo concordismo e una mancanza di rigore . Ma non ostante questo serio limite metodologico, imposto a priori da una scelta dell'autore, alcuni degli aspetti còlti sono corretti.

Il concordismo è un'operazione che accosta i termini provenienti da due ambiti disciplinari o culturali diversi, solo perché apparentemente identici, senza assicurarsi troppo che vi sia un'effettiva coincidenza di definizione e di significati nel passaggio dal linguaggio di un contest o a quello dell'altro contesto. E la mancanza di rigore nel confronto tra i due ambiti di conoscenza è addirittura teorizzata dall'autore in quanto imposta dalla natura stessa della "mistica orientale" che è presentata, in modo prevalente, come una conoscenza intuitiva, non concettuale e quindi priva di definizioni e dimostrazioni, più che come razionale. Impossibile fare un confronto tra concetti e non-concetti, enunciati definitòri e detti allusivi, cioè tra forme di conoscenza in qualche modo presentate come "incommensurabili" (per usare un termine caro a Feyerabend) se non in termini intuitivi, in termini di sensazioni. Tutto sommato si tratta, come si è detto, di una "scappatoia" per evitare molti problemi imposti da una corretta metodologia di lavoro.

Può anche venire il dubbio che la concordanza sia più tra una interpretazione della filosofia implicita in certe teorie scientifiche e una "mistica orientale" filtrata ad uso degli occidentali che, forse, un orientale stenterebbe a riconoscere come sua, piuttosto che con le autentiche concezioni dell'Oriente. Per avere un riscontro adeguato occorrerebbe avere un libro analogo a questo, ma scritto da un autentico mistico orientale. Ma, forse, i mistici orientali non provano un simile interesse o non riscontrano le stesse concordanze. E non è raro trovare alcuni studiosi orientali più interessati alla nostra letteratura e filosofia medioevale che a certe interpretazioni "orientaleggianti" della scienza che pure conoscono. Comunque il lavoro di Capra individua alcune linee di tendenza delle scienze recenti certamente importanti in se stesse dal punto di vista di revisione del metodo scientifico, al di là di ogni fuorviante interpretazione di stampo New Age .

Il testo, dunque, si propone piuttosto come una sorta di narrazione di una "esperienza personale" («decisi di riassumere le mie esperienze in questo libro», p. 12) che come uno scritto di epistemologia o di metodologia sistematica, coerentemente con l'affermazione dell'autore secondo la quale «il misticismo è soprattutto una esperienza che non si può apprendere dai libri» e non dunque un pensiero sistematico scientifico o filosofico. Di conseguenza sarebbe del tutto erroneo ritenere che gli accostamenti proposti tra la scienza e la visione orientale abbiano un qualche valore dimostrativo solo perché proposti da un fisico (e anche questa è un'ingenuità facile ai nostri giorni, assai sovente "cavalcata" dai divulgatori mediatici).

Questo costituisce anche il punto delicato, per non dire "pericoloso" di libri come Il Tao della fisica : giocando su una formulazione volutamente solo allusiva e non metodologicamente rigorosa, possono convincere, "emotivamente", il lettore della assoluta correttezza ed esclusività delle tesi ivi proposte, ma non dimostrate, in forza della loro originalità o della conformità ad una moda culturale, e della competenza dell'autore in uno dei campi di conoscenza presentati (quello scientifico), che il lettore tende ad estendere automaticamente, ma indebitamente, anche agli altri campi chiamati in causa (quelli filosofico, religioso e teologico), dando credito, quasi senza rendersene conto, a concezioni della realtà improbabili e, comunque, non scientificamente fondate.

Alcune osservazioni puntuali

Vale la pena indicare almeno alcune tra le molte osservazioni puntuali che si possono fare a partire da un testo come questo.

La narrazione del libro di Capra tende a presentare insieme, mescolandole, alcune questioni di carattere epistemologico e metodologico, che sono propriamente parlando filosofiche, con altre che sono legate ad una tradizione o credenza religiosa, o anche alla vera e propria teologia. Questo modo di esposizione ingenera una certa dissociazione, nella mente del lettore, tra ciò che è un'effettiva conquista concettuale da parte delle scienze e ciò che si intuisce in forza di una esperienza interiore che non sarebbe neppure concettualizzabile. L'idea di un'evoluzione della razionalità occidentale e della razionalità scientifica stessa, verso un irrazionalismo che viene etichettato come "orientale" e presentato come una conquista, un superamento di una certa crisi della ragione che si è manifestata in Occidente, è un messaggio implicito troppo facile per non essere ricevuto dal lettore, anche quando non viene esplicitato. Conviene, allora, distinguere gli aspetti filosofici, e propriamente metafisico-ontologici, da quelli "mistico religiosi", evidenziando come le scienze recenti hanno contribuito ad effettivi avanzamenti dal punto di vista della loro comprensione filosofica della realtà, ma questi non vanno confusi e tanto meno identificati in toto con un certo irrazionalismo e con un certo panteismo spersonalizzante che ad essi viene affiancato, non di rado, ad arte, ma che è estraneo ad un corretto approccio filosofico.

A) Aspetti metafisico-filosofici emergenti dall'interpretazione delle teorie scientifiche.

La critica del riduzionismo in favore di una unità organica dell'essere. Non ostante una rilettura un po' frettolosa (pp. 22-23) e assai approssimativa della storia del pensiero occidentale, il libro identifica una prima conquista metodologica assai importante, da parte delle scienze, nel superamento del riduzionismo e del dualismo cartesiano in favore di una unità organica, di una complessità del tutto rispetto alla parte (cfr. p. 64). Un dato importante e ben individuato dall'autore, pur con qualche accostamento un po' banale tra una visione organica della conoscenza - che è una questione epistemologica - e l'ecologismo : «La concezione del mondo organicista, "ecologica", delle filosofie orientali è senza dubbio una delle principali ragioni dell'immensa popolarità che esse hanno recentemente ottenuto in Occident e, specialmente tra i giovani» ( p. 27). Questo rappresenta, per Capra, un primo punto di avvicinamento della scienza del Novecento alla "mistica orientale". La considerazione non è priva di qualche elemento di verità, ma è accompagnata, inevitabilmente, dal suggerimento di una progressiva rinuncia a quella razionalità dimostrativa che è propria della scienza e che si ritrova, invece, del tutto integra, in un approccio come quello di Aristotele e di Tommaso d'Aquino (quando sia correttamente conosciuto) che sarebbe molto più plausibile indagare per primo. In più quest'ultimo, è anche immune da quelle approssimazioni panteiste e negatrici dell'identità della persona che si ritrovano in certe forme di pensiero orientaleggiante, inevitabilmente conseguenti ad un olismo, spinto all'estremo, che non concede a nessun "oggetto" un'identità individuale («Nella concezione orientale, quindi, la divisione della natura in oggetti separati non è fondamentale», p. 26). Ma di questo avvicinamento delle scienze all'ontologia aristotelico-tomista, prima ancora che all'Oriente, il libro non avverte neppur e vagamente la possibilità . Dunque, ancor più che ciò che viene detto è ciò che viene taciuto a sorprendere il lettore attento di quest'opera. ma il lettore comune potrebbe non essere sufficientemente attrezzato per rendersene conto.

Una nozione non meccanicistica della causalità. Un secondo elemento importante evidenziato dall'autore è il superamento del meccanicismo da parte delle scienze. E riguarda l'identificazione di un principio causale intrinseco alle cose che le fa essere e mutare dall'interno, piuttosto che estrinsecamente: «Poiché il movimento e il mutamento sono proprietà essenziali delle cose, le forze che causano il movimento non sono esterne agli oggetti, come nella concezione della Grecia classica, ma sono una proprietà intrinseca alla materia» (p. 26) . Questo è, si potrebbe dire, un libro contro il meccanicismo. Giusto l'obiettivo! Peccato che l'autore commetta l'errore di attribuire il meccanicismo e l'estrinsecismo tipici della concezione moderna di causalità al mondo antico occidentale, non tenendo conto della teoria delle quattro cause aristotelico-tomisitiche alla quale le scienze, oggi, sembrano riaccostarsi soprattutto con la teoria dell' informazione. La causa formale, in particolare, entra a far parte costitutivamente dell'oggetto e non più dall'esterno come voleva il meccanicismo.

La conoscenza per astrazione a partire dall'esperienza. Interessante è anche la digressione che Capra espone sulla teoria della conoscenza per «astrazione» a partire dall'esperienza, che egli, però, ritiene attribuibile quasi esclusivamente al mondo orientale, ignorando completamente la teoria cognitiva aristotelica e tomista e, identificando tout court la cultura occidentale con una sor ta di platonismo deduttivista: «La conoscenza razionale è ricavata dall'esperienza che abbiamo degli oggetti e degli eventi del nostro ambiente quotidiano. Essa appartiene al campo dell'intelletto, la cui funzione è quella di discriminare, dividere, confrontare, misurare e ordinare in categorie. [.] L'astrazione è una caratteristica ti pica di questa conoscenza [.]» (pp. 30-31).

La concezione dinamica dell'universo. L'idea di una concezione dinamica dell'universo (alla quale è dedicato l'intero cap. 13) che oggi, oltre alla cosmologia dell'universo in espansione e delle proprietà quantistiche dei campi e del "vuoto", è particolarmente resa attuale dall'indagine sulla complessità e l'informazione - e che contrasta con la visione platonico-geometrica della fisica classica - è aristotelica oltre che orientale. Capra, a dire il vero, per sostenere la concordanza con le visioni orientali (dal sapore eracliteo, cfr. ad es. p. 222) che vedono tutte le cose come «forme dinamiche, stadi transitori, nel "continuo fluire della trasformazione e del mutamento"» (p. 237), sembra non insistere tr oppo sull'esistenza, in fisica, degli invarianti . E, quando parla delle simmetrie, che nella meccanica quantistica giocano un ruolo importantissimo, è costretto ad ammettere che nelle «tradizioni mistiche dell'Estremo Oriente [.] il concetto di simmetria non sembra svolgere un ruolo importante» (p. 297), perché «si pensa che la simmetria, come la geometria, sia una costruzione della mente più che una proprietà della natura, e che quindi non abbia alcuna importanza fondamentale» (ibidem).

La matematica come costruzione mentale e l'interpretazione soggettivista della relatività. Questa tesi della geometria come costruzione mentale, slegata dall'esperienza, conduce, poi, il nostro autore ad un'interpretazione della teoria della relatività di tipo idealistico-soggettivista (relatività = relativismo) che difficilmente Einstein avrebbe accettato. Il ruolo "assoluto" che gli invarianti della relatività giocano nella formulazione covariante delle leggi (già con la relatività ristretta) e l'idea che le proprietà metriche dello spazio-tempo siano determinate dalle distribuzioni della massa-energia (con la relatività generale) è decisamente in contrasto con quella soggettivista che Capra attribuisce alla relatività per farla concordare con le visioni orientali.

L'accordo, è piuttosto, con una visione kantiana delle categorie trascendentali di spazio e di tempo, con le quali il soggetto filtrerebbe la conoscenza del suo oggetto (che non è condivisa da Einstein) e la concezione orientale dello spazio e del tempo come pura costruzione mentale. Al testo di Margenau, citato da Capra (p. 188), a sostegno di una sostanziale concordanza tra la visione einsteiniana e quella kantiana dello spazio e del tempo, lo stesso Einstein risponde: «Io non sono cresciuto nella tradizione kantiana»; e se la geometria si intende come costruzione mentale, deve essere chiaro che «questa costruzione concettuale si riferisce precisamente "al reale" (per definizione)» (in Albert Enstein scienziato e filosofo, a cura di P.A. Schilpp, Boringheri, Torino 1958, pp. 626-627).

B) Aspetti attinenti la metafisica, la religione e la teologia.

Mistica e psicologismo. Non si può non rilevare un impiego molto approssimativo della categoria di "misticismo" in riferimento alle religioni orientali. Il filtro occidentale attraverso il quale Capra propone l'Oriente risente inevitabilmente di una riduzione psicologistica dell'esperienza dei "mistici orientali". Se può essere apprezzato l'intento di aprire la via della scienza ad un'unità armonica dell'esperienza umana che si accorda con la sua dimensione interiore, spirituale e affettiva (cfr. lo stesso titolo del cap. 1, «La fisica moderna: una via con un cuore?») è una tentazione assai facile, quanto riduttiva e inadeguata, quella che propone all'occidentale medio, la ricerca di una "mistica" (certamente ben lontana da quella cristiana, ma verosimilmente anche da quella orientale), cercata mediante tecniche psico-fisiche volte a produrre principalmente sensazioni emotive appaganti.

La concezione della divinità e il panteismo. Fin dall'inizio l'autore mette in luce, correttamente una concezione della causalità non meccanicista alla quale le scienze, pur lentamente e faticosamente si stanno avvicinando, e riconosce in questo un punto di contatto con le concezioni orientali, ma attribuisce indebitamente al pensiero greco e medioevale una concezione di un Dio-orologiaio, che è piuttosto propria del meccanicismo moderno di un Laplace, e che viene contrapposta ad una concezione orientale della divinità, come fondamento dell'essere e del divenire: «Corrispondentemente l'immagine orientale della divinità non è quella di una sovrano che dirige il mondo dall'alto, ma quella di un principio che controlla ogni cosa dall'interno» (p. 26). Si intravedono qui, in maniera assai vaga, anche le nozioni di causa formale e di causa essendi, e s orprende come si dimenticano, con un semplicismo inverosimile, secoli e secoli di riflessione razionale , metafisica e teologica, facendo leva solo sulla non conoscenza del lettore sprovveduto, per convincerlo che solo in Oriente vi siano elementi di verità metafisica e religiosa.

In più il pensiero medioevale, a differenza di quello orientale non cade nel panteismo che è difficilmente evitabile senza una metafisica che non conosce l' analogia entis. Certamente suggestiva, dal punto di vista poetico, l'immagine della «danza cosmica» (cfr. cap. 15), ma non può essere presa se non come una metafora che non legittima alcuna seria identificazione («Per i fisici moderni, quindi, la danza di Siva è la danza della materia subatomica», p. 283) della visione scientifica del mon do fisico con una concezione pan psichistica e panteistica dell'universo, visto come un essere vivente unico, una divinità in se stesso, che la teoria quantistica dei campi non comporta in alcun modo.

Paradossi e unità degli opposti. In luogo dell' analogia entis si cerca una comprensione e un superamento dei diversi modi di essere dell'ente che vengono visti come opposti, in un'unità paradossale, inconcepibile, che ricorda un po' l'occidentale dialettica hegeliana, oltre al dualismo di principi delle concezioni orientali, e che viene ricollegata, un arbitrariamente, con la dualità onda-corpuscolo della meccanica quantistica e con tutti i paradossi della fisica del N ovecento (cfr. cap. 11). Occorre ricordare che i paradossi sono presenti fin dall'anti chità anche nella logica greca, nel pensiero occidentale e, non ultima, nelal rivelazione biblica, e che "paradosso" non significa automaticamente "fuga dall'Occidente".

Molti altri aspetti meriterebbero di essere considerati, ma ci limitiamo a questi per non estendere troppo la nostra esposizione. Il lettore sa già di trovarsi di fronte ad un'opera che percepisce l'esistenza di nuove domande, di indubbio interesse, suscitate dalla scienza contemporanea, ma che al momento di fornire delle risposte sceglie solo quelle in maggiore sintonia con le pre-comprensioni e i gusti del suo autore.

già ordinario di Fisica Matematica, docente di Teologia Fondamentale, ISSRA Roma, docente di Filosofia alla Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna, Bologna