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L'uomo come persona e dono

Karol Józef Wojtyła
1975

La famiglia come "communio personarum"

Il Vaticano II presenta la sua dottrina dell'uomo che è la sintesi di una lunga eredità di pensiero che cerca luce nella Rivelazione: «L'uomo il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di se» (GS, 24).

Pare che questa dottrina dell'uomo, questa antropologia teologica, giunga come al nocciolo stesso di questa realtà umana che si chiama famiglia. Infatti da ogni punto di vista alla base di questa realtà dobbiamo porre l'uomo. Ogni uomo da essa trae il suo inizio, proprio come «creatura che Dio vuole per se stesso». E ognuno in essa, nella famiglia e attraverso la famiglia, cerca la realizzazione di quella verità su di sé che le parole sopra citate esprimono. La cercano gli sposi, marito e moglie, in questa loro tappa di crescita dell'umanità, di persone adulte, capaci di trasmettere la vita, ma la cerca anche ogni figlio che da essi riceve la vita, inserendosi fra i suoi genitori - fin dal primo istante del concepimento - come uomo, cioè «creatura che Dio vuole per se stesso». Tutta la fermezza che l'etica cristiana ha il dovere di dimostrare in questo campo è la conferma di questa antropologia in cui essa ha al tempo stesso le sue radici.

Esaminiamo in modo un po' più penetrante l'affermazione di Gaudium et Spes, 24. In essa è contenuta la verità teologica sull'uomo. Lo indica il contesto più immediato che riporta le parole della preghiera sacerdotale di Cristo nell'ultima cena: «il Signore Gesù quando prega il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola" (Gv 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» (GS, 24). E proprio «questa similitudine - leggiamo ancora - manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé».

Così nel loro insieme suonano il testo e il suo contesto. L'antropologia che noi mettiamo alla base della teologia della famiglia e, per l'esattezza, un'antropologia teologica. Il piano delle formulazioni di essa e degli studi su di essa è definito da questa fondamentale verità sull'uomo che noi leggiamo nelle prime pagine del Libra della Genesi: la verità della similitudine fra l'uomo e Dio. Non è solo una similitudine basata sulla natura raziocinante e libera - come afferma tutta la tradizione del pensiero cristiano riallacciandosi a varie correnti del pensiero extracristiano che affermano la stessa cosa della natura umana, dell'uomo - ma è una similitudine basata sull'essere persona. Proprio in base a questo l'uomo è l'unica creatura sulla terra che Dio in ogni caso «vuole per se stesso».

In questa formulazione è espresso il fatto dell'essere persona e contemporaneamente sono poste in essa ragione e libertà. Grazie a esse infatti l'uomo è capace di autoporsi e di autopossedersi, cioè è capace di esistere e di operare «per se stesso», e capace di una certa «autoteleologia» che significa, non soltanto darsi dei fini, ma anche essere fine a se stesso. È questo che distingue dal mondo l'uomo come persona. In certo qual modo ogni uomo è a se stesso «mondo», microcosmo non solo nel senso che in lui si concentrano e si assommano i differenti strati ontici che ritroviamo negli esseri che formano questo mondo, ma soprattutto per la proprietà e specificità del finalismo suo proprio, per l'autoteleologia, che definisce il livello e il dinamismo dell'essere personale.

La similitudine con Dio non trova tuttavia conferma solo nella - natura razionale e libera - cioè spirituale - dell'uomo­ persona. Il citato testo di Gaudium et Spes, 24, a proposito del quale abbiamo detto che in certa misura contiene una sintesi del pensiero sull'uomo alla luce della Rivelazione e del Vangelo, mette anche in evidenza che questa similitudine dell'uomo con Dio si ha in ragione del rapporto o relazione che unisce le persone. Il testo parla di «una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità». Si tratta dunque della dimensione trinitaria della fondamentale verità sull'uomo che leggiamo all'inizio stesso della Sacra Scrittura e che definisce il piano teologico dell'antropologia cristiana. Il testo conciliare sottolinea molto chiaramente la distanza dell'analogia che qui interviene, parla infatti di «certa» similitudine e subito all'inizio indica che le parole di Cristo Signore «tutti siano una cosa sola come io e tu siamo una cosa sola» aprono alla ragione umana «orizzonti impervi», che riguardano cioè quel mistero nel senso più rigoroso del termine che è l'unità delle Tre Persone in una unica Divinità. Nondimeno questa similitudine dell'uomo con Dio nella dimensione trinitaria è stata inserita nel Vangelo e tutta la tradizione teologica la segue. L'uomo è simile a Dio non solo a ragione della sua natura spirituale, esistendo come persona, ma anche a ragione della capacita a lui propria di comunità con altre persone.

Se diciamo che l'attualizzazione di questa capacità - e la conferma di questa verità sull'uomo- è la vita sociale, diciamo indubbiamente una verità, ma non la cogliamo ancora in tutta la profondità che le è propria e specifica. E vero sì che la famiglia costituisce una società, la più piccola cellula della società, ma questa affermazione non ci dice ancora molto della famiglia, non arriva a tutta quella profondità ontologica che qui dovremmo svelare ed evidenziare.

Allora, seguendo il già citato testo di Gaudium et Spes, 24, dobbiamo soffermarci sull'affermazione che «l'uomo... che Dio ha voluto per se stesso ... non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé». Alla base di tutte le società e le comunità umane, soprattutto alla base della famiglia, sta l'uomo con questa struttura intima del suo essere personale. Infatti, il testo citato sembra suggerire innanzitutto un certo ordine dell'agire, del donarsi, ma quest'ordine si radica nell'ordine stesso dell'essere, nell'essere personale dell'uomo. In questo senso sempre operari sequitur esse. Se il «donarsi» è l'attributo dell'agire, del comportamento umano, e tuttavia sempre basato su questo esse personale che è capace di dono, del «dono sincero di sé».

    

da K. Wojtyła, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, Bompiani, Milano 2003, pp. 1464-1467