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La scienza e il senso del divino nel pensiero di James Clerk Maxwell

Thomas F. Torrance
1984

Transformation and Convergence in the Frame of Knowledge

«C’è un’interazione più profonda tra la teologia e la scienza di quanto ci si renda conto di solito». Con queste parole, il filosofo e teologo scozzese Thomas F. Torrance introduce una riflessione sull’influenza che il contesto filosofico-religioso, da lui implicitamente posseduto, ha esercitato sul pensiero scientifico di Clerk Maxwell, padre della teoria elettromagnetica. Riproponiamo alcune pagine tratte da un saggio del 1984 e presentate nella loro traduzione italiana nel testo Senso del divino e scienza moderna, curato da Giuseppe Del Re.

Ci sono ancora persone che guardano con sospetto il suggerimento che la fede di un Newton o di un Clerk Maxwell possa aver avuto un'influenza sui punti fondamentali della formazione delle loro teorie scientifiche. Eppure, la storia del pensiero occidentale mostra che in realtà lo sviluppo della scienza naturale non si può separare da idee fondamentali che derivano dalla tradizione giudeo-cristiana. C'è un'interazione più profonda tra la teologia e la scienza di quanto ci si renda conto di solito.

[…]

1. La funzione regolatrice della fede cristiana

La fede cristiana di Clerk Maxwell, radicata al fondo della sua mente, esercitava una funzione regolatrice nella scelta e nella formazione dei suoi principali concetti scientifici. Non è che egli facesse entrare idee teologiche specificamente o direttamente nelle sue teorie scientifiche, ma la modalità essenziale del suo pensiero, formata attraverso un'apprensione intuitiva della relazione di Dio con la sua creazione, gli forniva un “punto fiduciale o standard di riferimento” per un giudizio discriminativo, per esempio, riguardo al “determinismo” (al quale arriveremo tra poco).

L'inclinazione cristiana della sua visione unificata aveva qui una doppia influenza. Da una parte, dirigendolo a un fine esterno a se stesso, lo liberava della propria soggettività e gli dava l'obbiettività reale di cui aveva bisogno per un'attività scientifica critica. Poiché il cristianesimo insiste che nulla deve restare nascosto e nessun luogo deve essere lasciato sacro o immune da scrutinio, l'impegno cristiano di Clerk Maxwell lo portò a farsi una regola di “non lasciare nulla di volontariamente inesplorato. Nulla deve essere terreno sacro consacrato a una fede statica positiva o negativa che sia… Ora, io sono convinto che nessuno che non sia un cristiano possa effettivamente liberare il suo terreno da questi punti sacri” [da una lettera a Lewis Campbell]. Dall'altra parte, la fede cristiana forniva a Clerk Maxwell verità di cui la scienza stessa non poteva render conto ma che essa poteva usare come premesse per le sue operazioni deduttive. Così egli s'imbevve di tutto ciò che chiamava “idee radicali” oppure “concezioni fondamentali”, che lo guidavano nel duro lavoro di sposare il pensiero al fatto e di elaborare “idee appropriate” (espressione di Whewell), cioè quel che Clerk Maxwell stesso chiamava modi di pensiero scientifici o verità fisiche corrispondenti ai processi propri della natura quali essa ce li rivela. Fu dunque appellandosi continuamente alla forza regolatrice dei punti di riferimento di fede che Clerk Maxwell si trovava costantemente a giudicare se le teorie scientifiche proprie o altrui erano in fin dei conti “capaci di funzionare” o “sostenibili”, e se erano dirette verso modi più adeguati e realisti di comprendere e descrivere i fenomeni del mondo fisico.

2. La natura contingente dell'universo

La teologia cristiana e la filosofia realista si combinarono per rendere parte integrante delle idee fondamentali di Clerk Maxwell il principio della natura contingente dell'universo, e ciò ebbe un effetto radicale nella sua revisione del punto di vista newtoniano e del determinismo o necessarismo a cui esso dava origine. Che la natura sia essenzialmente contingente e non necessaria nelle sue relazioni proprie, e che le verità scientifiche stesse siano perciò di carattere contingente e non necessario, era diventato uno dei punti di partenza fissi della filosofia realista scozzese e del modo in cui essa rendeva conto della “filosofia naturale” o della fisica; e quel punto di vista era non poco debitore all'influenza della teologia riformata sulle università scozzesi. A governare il punto di vista personale di Clerk Maxwell era la dottrina, accettata senza riserve, che il mondo è stato creato da Dio dal nulla. Ciò implicava per Clerk Maxwell che i costituenti atomici e molecolari della natura, “le pietre portanti dell'universo materiale”, sono stati fatti e non sono “eterni e esistenti per sé”. Perciò, anche se la scienza può avere molto da dirci sulle relazioni interne di atomi e molecole, dobbiamo capirle secondo le analogie degli “articoli manufatti”. La scienza naturale, insomma, deve fare i conti con il fatto che ci sono “singolarità” o fattori iniziali dei suoi assiomi fondamentali, di cui essa non può render conto scientificamente; e deve anche fare i conti con il fatto che, quando porta questi assiomi a foggiare la conoscenza degli eventi contingenti ottenuta da osservazione e esperimento, non può trascurare l'inclusione, nella formulazione di queste leggi, di nuovi elementi che si devono poi ricondurre a un livello più alto. Ciò vuol dire che ci sono dei limiti al di là dei quali l'attività scientifica non può penetrare e che devono essere francamente riconosciuti. Questo fu un punto che Clerk Maxwell ebbe cura di formulare esplicitamente nella sua lezione del 1873 alla British Association.

«Siamo giunti così, per una via strettamente scientifica, molto vicini al punto in cui la Scienza si deve fermare – non che alla Scienza sia vietato studiare il meccanismo interno di una molecola che essa non può decomporre in pezzi o studiare un organismo che essa non può mettere insieme. Ma nel risalire lungo la storia della materia, la Scienza si deve fermare quando si convince da un lato che la molecola è stata fatta e dall'altro che essa non è stata fatta mediante alcuno dei processi che chiamiamo naturali. La Scienza è incompetente a ragionare sulla creazione della materia dal nulla. Abbiamo raggiunto i limiti estremi delle nostre capacità di pensiero quando abbiamo ammesso che in quanto la materia non può essere eterna e esistente di per sé essa deve essere stata creata. È solo quando contempliamo non la materia in sé, ma la forma in cui essa effettivamente esiste, che la nostra mente trova qualcosa su cui far presa. Che la materia come tale debba avere certe proprietà fondamentali – che debba esistere nello spazio e debba esser capace di movimento, che il suo movimento debba esser persistente e così via – sono verità che per quanto ne sappiamo possono essere del genere che i metafisici chiamano necessarie. Possiamo usare la nostra conoscenza di tali verità per scopi di deduzione, ma non abbiamo dati per la speculazione riguardo alla loro origine» [The Scientific Papers of James Clerk Maxwell, Cambridge 1890, vol. II, pp. 375ss. (Si noti che il concetto di “molecola” usato da Maxwell corrisponde a quello odierno di “particella elementare”. Nd.t)].

3. L'ordine caratteristico degli eventi contingenti

Clerk Maxwell era convinto inoltre che gli eventi contingenti hanno un ordine caratteristico che non va confuso con la necessità o col determinismo anche se dobbiamo usare quel genere di relazioni necessarie che offre la matematica per poter cogliere e formulare il tipo di leggi che governa l'ordine contingente. Gli eventi contingenti e le singolarità contingenti che troviamo nella natura non vanno trattati come eventi casuali o stocastici, perché la natura ci si manifesta non come una rivista da sfogliare ma come un libro con pagine regolarmente disposte . Se la natura non fosse un libro ma solo una rivista, una parte di essa non potrebbe gettar luce su un'altra. Ma non è così. Gli eventi contingenti e i processi dinamici della natura manifestano in tutti i loro vari campi configurazioni continue, interdipendenza e reali analogie, che mostrano che l'universo è ovunque dotato di un ordine razionale, il quale anche se è contingente in natura è tuttavia accessibile alla formulazione in termini di leggi fisiche. Come render conto della coordinazione di connessioni necessarie, di catene di cause fisiche e di operazioni contingenti in leggi di questi tipo?

In risposta Clerk Maxwell fece appello ad una forma modificata del concetto di causa finale. Egli fece notare che, mentre l'operare delle leggi fisiche è evidentemente inflessibile, una volta che sia in azione esso dipende al suo principio da un atto di volontà divina e non è perciò caratterizzato da una necessità assoluta. Questo lo possiamo vedere con l'analogia dei nostri propri atti di volontà che iniziano da una serie di eventi che produce conseguenze necessarie. Per quanto riguarda le ricerche scientifiche, tuttavia, quando due catene di cause fisiche risultano «connesse in modo contingente» per lo stesso risultato, esse danno una vera prova di un progetto; ma in questo caso «la prova del progetto deve essere trasferita dal fatto assoluto all'esistenza della catena» [Dal saggio del 1853 a Cambridge What is the Nature or Evidence of Design?]. Pertanto si deve consentire che il fondamento contingente ultimo della legge fisica nella libera attività e mente del Creatore determini la nostra comprensione dell'operare delle leggi fisiche attraversare tutte le catene di cause fisiche. È per questo che Clerk Maxwell affermava: «La dottrina delle cause finali, benché produttiva di sterilità nella sua forma esclusiva, è certamente stata di grande aiuto a coloro che hanno studiato la natura; e se ci limitiamo a sostenere l'esistenza dell'analogia, e permettiamo all'osservazione di determinare la sua forma non possiamo esser condotti lontano dalla verità» [L. Campbell, W. Gornett, The life of James Clerk Maxwell, London 1882, p. 243].

Si fanno qui due considerazioni significative. In primo luogo Clerk Maxwell insiste che le connessioni causali si devono vedere a due diversi livelli, un livello più basso in cui operano centri subordinati di causazione , e un livello più alto in cui abbiamo a che fare con le operazioni di una causa centrale , la prima trattata come caso limite del secondo. Nel suo studio delle catene causali e della determinazione delle loro leggi, che è compito dello scienziato, questi deve mettere a fuoco “la lente della teoria” e regolarla talvolta a un certo grado di definizione talvolta a un altro, così da vedere alle diverse profondità, altrimenti tutto si confonde vagamente insieme. Così un'opportuna regolazione del “telescopio della teoria” consente di vedere al di là dei fuochi subordinati degli atti fisici e delle loro conseguenze immediate fino al fuoco o causa centrale in cui interessa l'atto originale che sta dietro a tutte le connessioni causali subordinate. In secondo luogo questa causa centrale con riferimento a cui le cause secondarie si devono comprendere non è trattata da Clerk Maxwell come centro inerziale, qual era il motore immobile nel concetto medioevale di causa finale o il riferimento assoluto del sistema newtoniano, ma secondo l'analogia di un centro morale di attività. Per Clerk Maxwell stesso, come abbiamo già visto, questa causa centrale o fuoco di riferimento era vista alla luce della natura dinamica del Dio vivente rivelata nell'Incarnazione di suo Figlio Gesù Cristo. Fu dunque un modo tipicamente cristiano d'intendere Dio Creatore quello che esercitò una forza regolatrice sui fondamenti della concezione della legge fisica di Clerk Maxwell.

    

Thomas F. Torrance, Senso divino e scienza moderna, a cura di G. Del Re, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, tr. it. di Giuseppe Del Re e Maria Teresa Benedetti, pp. 321 e 328-334.