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Tempo

Anno di redazione: 
2002
Juan José Sanguineti

I. Il tempo della natura - II. Alcuni aspetti filosofici del tempo nelle scienze naturali - III. Il tempo dell'uomo - IV. Il tempo alla luce della Rivelazione cristiana.

I. Il tempo della natura

1. Nozione di tempo. Sperimentiamo il tempo come un passaggio continuo e inarrestabile da ciò che fu a ciò che è adesso ed ulteriormente a ciò che sarà. Questo passaggio quasi impercettibile non significa che il tempo sia un'entità assoluta (la cosiddetta teoria del «tempo assoluto», o vuoto, assunta ad esempio da Newton), poiché in realtà il tempo è una caratteristica derivata dal movimento («teoria relazionale» del tempo, seguita in modi diversi da Aristotele e da Leibniz) (cfr. Le Poidevin, 1993). Ogni mutamento contiene una dimensione irriducibile di successione di un "prima" e di un "dopo" ed è questa la temporalità nel suo momento originario, prima di ogni misurazione (non bisogna però collocare il prius e posterius in un tempo vuoto). Laddove c'è successione, c'è una forma di temporalità. Da questo punto di vista, ogni fenomeno successivo produce un proprio tempo, ma a causa dell'intreccio tra gli esseri della natura, normalmente il prima e dopo di molti fenomeni si determina in rapporto a certe successioni standard (per esempio, lavoriamo prima o dopo il tramonto del Sole). Il tempo quindi è l'ordine successivo prima/dopo tra gli eventi, nato dal movimento (cfr. Aristotele, libro IV della Fisica). Però, ciò che cambia permane sotto molti altri aspetti, per cui il tempo, in un senso più frequente del termine, è la «durata dell'essere mutevole», una durata sempre immersa nel cambiamento, dal momento che ogni essere naturale subisce costantemente trasformazioni interne e anche cambia a causa del mutamento continuo della natura circostante. Così un ente dura il tempo di un'ora, di un giorno, di alcuni anni, in quanto permane nell'essere durante quel periodo o durata, che resta determinata proprio perché quel periodo è stato caratterizzato da alcuni cambiamenti (per esempio dai mutamenti nei fenomeni del cielo, in quelli terrestri, l'invecchiamento dei viventi, ecc.). Se, per assurdo, non cambiasse mai nulla nel mondo e non ci fosse alcun riferimento, nemmeno esterno, ad una qualche successione di eventi, allora in quello strano stato (mai sperimentato) non si darebbe un vero «tempo». A durare è ciò che è mutevole e, per questo motivo, le cose a-temporali, come sono i concetti astratti, per esempio i numeri, non «durano» (il concetto di ora o di minuto non ha alcuna durata). Da questa fondamentale nozione di tempo procede quella più abituale, corrispondente alle "misure temporali" eseguite dall'uomo. Il tempo, in quanto dimensione non spaziale del moto, è suscettibile di essere quantificato. La ragione può considerare certi periodi temporali di alcune successioni naturali per misurare i diversi tempi della natura e della vita umana (ore, giorni, anni). Il tempo come misura è un'oggettivazione culturale coniata dall'uomo in base ai tempi naturali.

2. Presente, passato e futuro. Simultaneità e unità del tempo. Ci risulta ovvia la divisione del tempo in passato, presente e futuro. Il «presente» corrisponde all'attualità dell'essere in moto (in modo derivato ma più normale, questo termine si riferisce al nostro presente psicologico). Tale attualità lascia costantemente un prima, che è il «passato», e affronta un dopo, che è il «futuro». In modo astratto possiamo considerare periodi di tempo di qualsiasi epoca, ad esempio il tempo che va dal 1600 al 1700, i cui estremi relativi sono dunque un prima e un dopo, senza tener conto di un presente che faccia del prima un passato e del dopo un futuro (ma in realtà noi facciamo tale considerazione dal nostro presente). Questo tempo, in qualche modo statico, senza un presente "in flusso", è denominato in filosofia analitica «serie temporale B»: la denominazione dà luogo ad asserti "eterni" o senza tempo (tenseless statements) come «Giulio Cesare è prima di Tiberio». La «serie temporale B» è risultato dell'astrazione umana del tempo. Più reale e concreta è la denominata «serie temporale A», ovvero il tempo che contiene il nostro presente in flusso costante: essa si esprime in frasi temporali (tensed statements), come «ora piove», frase che poco fa si doveva dire «pioverà» e tra poco si dovrà dire «ha piovuto» (cfr. Le Poidevin, 1993, pp. 23-34). Alcuni filosofi idealisti riducono il tempo ad un'apparenza, come se nell'eternità tutto il tempo fosse già accaduto, prediligendo di conseguenza la «serie temporale B». I filosofi realisti invece sostengono la realtà del tempo soprattutto nella sua attualità di presente, perché il passato non è più e il futuro è ancora una possibilità. L'essere temporale si dice principalmente del presente.

Non si può parlare di successione temporale senza un riferimento alla "simultaneità". La misurazione del tempo comporta infatti due tempi presi come simultanei («pranzavo quando l'orologio indicava le due del pomeriggio»). Due eventi o fenomeni sono simultanei, in un senso intuitivo prescientifico, se accadono "nello stesso tempo", vale a dire se avvengono o sono misurati da un periodo comune di tempo («lavoravo durante il giorno»). La teoria della relatività speciale impone, però, certe restrizioni al fenomeno della simultaneità. Secondo tale teoria, gli osservatori che si trovano in diversi stati di movimento relativo non possono accordarsi su una definizione di simultaneità, cioè non hanno un tempo comune «che scorra con lo stesso ritmo», quindi non hanno neanche un presente comune. Tale situazione diventa irrilevante per gli oggetti con una velocità assai bassa rispetto a quella della luce. Per questi oggetti, com'è ad esempio il sistema Sole-terra-uomo, esiste una simultaneità e quindi un'unità (locale) di tempo. D'altra parte, la teoria della relatività generale, nella sua applicazione cosmologica, consente di prendere un orologio standard e di relativizzare gli oggetti rispetto ad esso, ottenendo così un «tempo universale coordinato». Prendendo come orologio (in senso ampio, non necessariamente riferito allo strumento tecnico inventato dall'uomo) un moto sufficientemente valido per tutto il cosmo (ad esempio l'espansione dell'universo), si può parlare di «tempo cosmico» da cui deriva la nozione di una "età" dell'universo. La nostra comune percezione del tempo naturale unitario è collegata al nostro inserimento psico-biologico nel sistema Sole-terra: noi, in altre parole, senza neanche arrivare alla misura astratta del tempo (come pure gli altri viventi), coordiniamo inconsapevolmente tutti i tempi della natura in un unico tempo e in un unico presente "relativo" grazie al riferimento "universale" (in realtà locale) che procede dall'apparente moto celeste. Tale "moto" è l'orologio naturale della vita terrestre. Il presente è relativo anche perché la comunicazione causale tra gli enti fisici richiede un tempo (vediamo i segnali luminosi sempre più tardi rispetto al momento in cui sono partiti). I cosiddetti «orologi biologici» (per es. i ritmi circadiani, circannuali, ecc.) sono naturalmente collegati al tempo della successione giorno-notte, così come i ritmi interni dell'organismo sono collegati ai ritmi esterni della natura circostante (cfr. sui tempi biologici, Whitrow, 1980, pp. 123-173; Coveney, 1991, pp. 351-370; Fraser, 1992, pp. 109-147). La sensazione psicologica di regolarità con cui scorre il "flusso del tempo" nasce dalla regolarità del moto celeste diurno e notturno, prima ancora che dalla regolarità degli orologi che usiamo (cfr. Sanguineti, Tempo naturale e tempo umano , 1998).

3. Continuità temporale e istanti di tempo. Il tempo, come la dimensione spaziale, è una grandezza considerata abitualmente come "continua", cioè sempre divisibile all'infinito. Possiamo raffigurare idealmente il tempo come una linea che, divisa in un punto qualsiasi, produrrebbe ciò che chiamiamo «istante di tempo». La fisica parla talvolta del tempo come costituito da una collezione infinita di istanti, ma si tratta pur sempre di un'idealizzazione. Gli istanti, se considerati come una realtà in atto, producono i noti «paradossi del continuo» . Secondo la filosofia aristotelica, l'istante è una realtà potenziale, dovuta al carattere del "continuo farsi" (mai completamente attuale) del tempo e del moto continuato. Il "presente" può apparire come un candidato per esprimere l'esistenza attuale dell'"istante", ma in verità anche il presente percettivo copre sempre un piccolo periodo temporale, che viene appreso in modo "strutturale" o gestaltico (così capiamo in atto, quasi in simultaneità, l'unità di una breve frase o del pezzo di una melodia). Ciò non toglie però realtà agli eventi temporali dell'inizio e della fine di un movimento. I cosiddetti "istante iniziale" e "istante finale", collegati alle discontinuità degli eventi, sono da considerarsi come "limiti" del moto. A questo riguardo potrebbe avere senso parlare di un inizio assoluto dell'universo (o del tempo t), contrapposto a un tempo di durata eterna, ma tale inizio, nella teoria continuista qui esposta, non va preso come un istante nel senso di un reale tempo t  = 0, bensì come un limite iniziale, per cui talvolta risulta più adeguato parlare di "primi periodi" (per esempio, il primo secondo o la prima ora dell'universo) anziché di un "primo istante". D'altra parte è possibile (ed è compatibile con quanto detto) l'esistenza di tratti minimi di tempo "fisicamente indivisibili", nonché l'esistenza di eventi fisici istantanei iniziali o finali situati nel tempo (ad esempio la creazione di particelle o la loro annichilazione).

4. La direzione temporale. Il tempo è una relazione di ordine successivo (abcd...) con una direzione, così come la linea può dirigersi verso la destra, la sinistra, ecc. (metaforicamente si parla in questo senso della «freccia» temporale). Intuitivamente osserviamo una direzione unica e irreversibile del tempo: si procede sempre verso il futuro e non si ritorna mai nel passato. Il fatto è dovuto alla costante novità del cambiamento. Tempo "chiuso" sarebbe un tempo costituito dalla ripetizione ciclica degli stessi eventi (abc-abc-abc, ecc.). Il tempo "aperto" o "lineare" invece procede verso eventi che contengono sempre qualche novità (abcde...). Ovviamente molti fenomeni naturali sono ciclici e nella natura esiste un intreccio tra ripetizione e novità, per cui il tempo complessivamente sarà ciclico o lineare a seconda dell'orientamento cosmologico prevalente. I tempi della natura sotto un primo sguardo sembrano ciclici, mentre il tempo dell'uomo, al contrario, è palesemente aperto in rapporto alla storia. Tuttavia le scienze naturali sin dal XIX secolo hanno evidenziato in un modo sempre più costringente che i tempi fisici a lunga scadenza sono aperti. La direzione del tempo verso ciò che chiamiamo "futuro" cambia comunque a seconda della prospettiva: non sono la stessa cosa un futuro aperto ma caotico, un futuro di crescita creativa, un futuro predeterminato oppure relativamente indeterminato, un futuro libero e progettato, un futuro verso la finalità oppure verso la distruzione. Il futuro, come altri termini temporali, ha un significato analogico.

5. Ontologia del tempo. La temporalità è una dimensione della realtà fisica intrinsecamente legata all'essere. Sarà accidentale vivere oggi o domani, ma è essenziale il fatto di essere sottomessi al continuo e irreversibile passaggio del tempo, con un inizio e una fine. La radice della temporalità fisica è il divenire, il fatto cioè di non "essere tutto in una volta" ma "a poco a poco", e anche quello di dover perdere irrimediabilmente nel passato i giorni che passano, o di vivere nell'attesa, proiettati verso il futuro, senza poter mai fermare il presente. Questo carattere di non-essere parziale del tempo e del divenire indica, per così dire, la precarietà di una certa situazione ontologica: gli enti soggetti al cambiamento non durano sempre e sono instabili nel possesso delle loro perfezioni. Questo punto è sperimentato drammaticamente dall'uomo di fronte alla sua morte. Bisogna comunque aggiungere che nel mondo non tutto è pura temporalità. L'uomo, in particolare, dimostra una certa signoria sul tempo, poiché lo può misurare, organizzare, utilizzare come vuole, e col pensiero egli è capace di trascendere il tempo e di rapportarsi alla realtà eterna di Dio. Di conseguenza il tempo va preso in un senso analogico . Non esiste soltanto il tempo meccanico. Ai gradi dell'essere corrispondono gradi della temporalità: non è identica la temporalità considerata dalla fisica, dalla chimica, dalla biologia o dalle scienze umane e sociali. Le forme più elevate dell'essere prendono la temporalità di un livello inferiore e la incorporano nel proprio ambito, nel quale il tempo acquista un nuovo significato. Nella vita appare già con chiarezza la direzione teleologica del tempo. Nell'uomo il tempo si presenta come storia (tradizione, progetto, scelta, compimento) e si inserisce in una dimensione di eternità.

  

II. Alcuni aspetti filosofici del tempo nelle scienze naturali

1. L'approccio scientifico al tempo. Le scienze naturali, in particolare la fisica, utilizzano il parametro temporale come una coordinata per la descrizione matematica dell'evoluzione dinamica dei corpi. La prospettiva scientifica si riferisce specialmente alla misura delle relazioni temporali, anche se attraverso di esse si confronta con certe caratteristiche "qualitative" del tempo, come ad esempio la sua direzionalità, il suo carattere continuo o discreto, la sua relatività. Bisogna tener conto di una certa costruttività del parametro temporale nelle scienze, non solo perché l'approccio scientifico necessariamente schematizza la realtà osservata, ma anche perché l'uomo misura il tempo a partire da alcuni fenomeni naturali scelti con una certa libertà, la cui esatta regolarità è presupposta per convenzione.

Il tempo della fisica quindi è un tempo astratto che non sempre rispecchia in toto la realtà del tempo naturale ontologico. Tale astrazione, ancor prima dei procedimenti cronometrici scientifici, cominciò già con le più antiche misurazioni temporali, basate sull'osservazione astronomica e su certe divisioni culturali del tempo. Ciononostante le scienze naturali, correttamente interpretate, arrivano a determinate caratteristiche reali del tempo e superano talvolta i limiti della percezione ordinaria (il secondo atomico, ad esempio, è definito da 9.192.631.770 cicli dell'atomo 133Cs, un isotopo del cesio, una misurazione che supera di gran lunga le possibilità della percezione comune del tempo).

2. Tempo assoluto e relativo. È noto che Newton concepiva il tempo come assoluto, come un flusso uniforme e infinito, indipendente dalle cose, nel quale si potevano situare i tempi particolari misurati dall'uomo (cfr. Princìpi matematici della filosofia naturale (1687), Torino 1977, pp. 101-102). Questo tempo non era altro che un'idealizzazione pari a quella dello spazio assoluto e infinito. Kant seguì in un certo senso la stessa strada, solo che ridusse il tempo ideale newtoniano a un'intuizione a priori della sensibilità interna dell'uomo (cfr. Critica della Ragione Pura , Roma-Bari 1989, vol. I, pp. 74-83), introducendo così il dualismo tra il tempo psichico (quello della sensibilità interna) e il tempo assegnato ai fenomeni per inquadrarli nelle categorie del pensiero. Come dicevamo sopra, è vero che il tempo astratto è costruito in parte dall'uomo quando misura la successione dei moti naturali (il giorno, l'anno, in quanto tali sono entità di ragione fondate sulla realtà), ma altri aspetti del tempo sono ontologici e pre-metrici (il futuro, ad esempio, non è un ente di ragione). La teoria della relatività di Einstein eliminò in maniera definitiva l'idea del tempo assoluto nella fisica. Il tempo (meglio: lo spazio-tempo) è relativo allo stato di moto di un dato sistema di riferimento, e nella teoria della relatività generale il tempo è anche relativo alla intensità del campo gravitazionale, cioè alla curvatura dello spazio. Abbiamo già indicato (vedi supra, I.2) alcune conseguenze della relatività sulla simultaneità e sul presente (cfr. D. Sciama, "Paradoxes" in Relativity, in Flood, 1986, pp. 6-21; Bohm, 1996).

3. Ordine temporale e causalità. Le cause del moto precedono i loro effetti, come i lavori di una casa in costruzione precedono temporalmente l'esistenza della casa costruita (la causa si può dire simultanea all'effetto solo se ci riferiamo alla causa fiendi o del divenire, non alla causa del risultato: così, l'atto di edificare è simultaneo all'atto di essere edificato) (cfr. E. Agazzi, Time and Causality, "Epistemologia" 1 (1978), pp. 397-424). Questo punto è valido soltanto per le cause fisiche efficienti, ma non per altri tipi di cause, come sono la causa finale o formale, e neanche per le cause di natura spirituale, che possono provocare effetti temporali, ma non agiscono nel tempo. Quest'ultima osservazione vale particolarmente per la causalità di Dio nel mondo: Dio, l'Essere Eterno, crea il mondo fisico e di conseguenza crea il tempo, per cui non ha senso domandarsi "quando" Egli crei, oppure pensare cosa facesse "prima" di creare il mondo (cfr. Agostino, De Genesi contra Manicheos, I, 2, 3), come se il Creatore fosse una causa temporale. Se così fosse, ci si potrebbe interrogare su una causalità che vada oltre Dio, poiché ogni causa temporale può essere sempre preceduta da un'altra causa temporale. L'evento creativo dell'Eterno sul tempo, di Dio sul mondo, non essendo un evento temporale, non appartiene al "momento iniziale" in cui il mondo comincia ad esistere, ma abbraccia insieme tutto l'arco dell'esistenza temporale del mondo, in ogni suo istante. L'ordine temporale della causalità fisica consiste, dunque, nel fatto che le cause "precedono" i loro effetti e questi ultimi esistono "dopo" le cause (cfr. Summa theologiae , I, q. 46, a . 2, ad 1 um; De Potentia, q. 3, a . 17). Ne consegue che le cause degli eventi sono da ricercarsi nel passato, e che a partire dalle cause si possono prevedere gli effetti futuri. Se le cause sono potenziali o indeterminate (per es. cause libere), il futuro si presenta come una "possibilità", mentre il passato è sempre determinato. La cosiddetta «teoria causale del tempo» (cfr. Reichenbach, 1956) ha approfondito il menzionato rapporto tra causa e temporalità.

Un'altra conseguenza di quanto abbiamo indicato è l'impossibilità che l'effetto esista prima della causa . Non è possibile un'inversione temporale che non rispetti questo principio della causalità (cfr. sul tema P. Caldirola, E. Recami, The Concept of Time in Physics, "Epistemologia" 1 (1978), pp. 263-304). Il fatto è stato evidenziato dalla teoria speciale della relatività, da cui segue che l'ordine prima-dopo è invariante (cioè non relativo all'osservatore) per gli eventi "causalmente collegabili". Tale collegamento causale è associato alla temporalità della trasmissione dei segnali, la cui velocità non può superare quella della luce (cfr. Martínez, 1996). Proprio per questo motivo non sono possibili i "viaggi nel tempo", ad esempio nel passato, se con questo termine indichiamo dei veri viaggi, con la possibilità di interagire con altri oggetti. Se noi viaggiassimo nel passato, potremmo intervenire sulle nostre cause, per esempio uccidendo nostro nonno per impedire la nostra esistenza (in questo ambito epistemologico si parla appunto del «paradosso del nonno»). Il viaggio nel tempo, considerato come un'entità data e percorribile, comporta una confusione logica e anche una contraddizione.

Un certo "ritorno nel passato" sarebbe in qualche modo pensabile soltanto in un modello di universo ciclico, nel quale le linee dello spazio-tempo fossero chiuse. Vi sono però dei dubbi sul fatto che un simile modello, elaborato da Kurt Gödel, possa avere un reale senso fisico; in ogni caso esso sarebbe incompatibile con l'apertura lineare del tempo storico dell'uomo. Nella fisica quantistica si parla talvolta di una "violazione della causalità"; secondo alcune teorie, gli ipotetici «tachioni», possedendo una velocità superiore a quella della luce, viaggerebbero indietro nel tempo. Tali conclusioni vanno prese con cautela ed occorre fare attenzione ad una presunta interpretazione ontologica di certe idealizzazioni fisiche. Ad esempio, nella storia dell'elettrodinamica quantistica, si pensò in un certo momento all'esistenza di particelle di energia negativa che potessero viaggiare indietro nel tempo, ma più tardi l'idea fu accantonata, reinterpretandola nel quadro delle caratteristiche dell'antimateria (Davies, 1996, pp. 225-228).

4. La freccia del tempo. Abbiamo già accennato (vedi supra, I.4) alla direzionalità del tempo. Le equazioni della meccanica descrivono i fenomeni con un comportamento invariante sotto l'inversione del tempo. Le equazioni (o le leggi della fisica) sono quindi temporalmente simmetriche, il che significa che gli eventi da esse governati sono reversibili (non forniscono quindi indicazioni per poter distinguere il passato dal futuro) (cfr. G. Prosperi, Il problema del tempo nella fisica, in Aspetti del tempo, 1998, pp. 17-46). Questo fatto non esclude però l'esistenza di una direzione temporale in natura. Le formulazioni matematiche delle leggi meccaniche sono pur sempre astratte, ed infatti le "soluzioni" delle equazioni vengono di solito accettate in modo temporalmente asimmetrico, cioè soltanto in uno dei due sensi, considerandosi il senso inverso improbabile, altamente improbabile o praticamente impossibile. Accade così in molti fenomeni studiati dalla meccanica statistica, come la diffusione di un gas in un ambiente, la dissoluzione di una goccia d'inchiostro in un bicchiere d'acqua o numerosi altri fenomeni di mescolanza.

Dopo la formulazione del II principio della termodinamica, si è venuta affermando l'idea dell'irreversibilità di molti processi fisici, quindi la loro asimmetria temporale, malgrado la simmetria temporale delle equazioni. Il menzionato II principio stabilisce che nei sistemi isolati, o privi di interventi causali esterni, l'entropia cresce complessivamente fino a raggiungere un massimo. Di conseguenza un sistema fisico evolve naturalmente e in modo irreversibile da situazioni più strutturate ma instabili (di non equilibrio) verso situazioni di equilibrio, prive di ordine differenziato. Questo punto ovviamente ha conseguenze sul piano cosmologico (evoluzione dell'universo verso uno stato di massima entropia cioè di massimo disordine; cfr. Davies, 1977; Hollinger, 1985; Kroes, 1985; Bellone 1989). Si ricordi a questo proposito che il concetto di "ordine" è pur sempre relativo a certi criteri. La caratterizzazione dell'entropia come "grado di disordine" prende l'ordine come una situazione strutturata, specifica, organizzata, mentre il disordine (che in realtà è un ordine minimo) riflette la mancanza di strutture (cfr. Sanguineti, 1986, pp. 27-42 e 235-255; Arecchi, 1990, pp. 21-129).

La tematica della direzione del tempo nei diversi settori della fisica (teoria quantistica, relatività speciale e generale, teoria quantistica-relativistica di campi, ecc.) è stata studiata e discussa ampiamente negli ultimi decenni del XX secolo (per esempio si parla di un'asimmetria temporale nelle interazioni deboli, evidenziata in certi esperimenti). Al di là della questione teoretica (cfr. Highfield, 1992; Zeh, 1992; Halliwell, 1994), importa soprattutto il fatto dell'ovvia direzione temporale nell'evoluzione del cosmo a partire dal Big Bang fino al suo stato attuale e anche nella prospettiva del suo remoto futuro (cfr. Hawking, 1993, 1996; P. Davies, Stirring Up Trouble, in Halliwell, 1994, pp. 119-130). Tale evoluzione è concretamente l'espansione dell'universo e il suo progressivo raffreddamento termico, evidenziato nella radiazione cosmica di fondo (oggi caratterizzata da una temperatura di 2,74 gradi Kelvin), cui si aggiunge la formazione delle grandi e piccole strutture fisiche della natura, la nascita ed evoluzione della vita e infine la crescita complessiva di entropia in tutto il cosmo. Una eventuale futura contrazione cosmica di tutto l'universo comporterebbe parimenti un incremento di entropia e non sarebbe l'esatto rovescio della sua espansione (cfr. S. Hawking, The No Boundary Condition and the Arrow of Time, in Halliwell, 1994, p. 356). Tutti questi fenomeni, in particolare quelli appartenenti alla vita, manifestano un'asimmetria temporale: il futuro dell'universo non è identico al suo passato.

La determinazione della direzione fisica del tempo non nasce dalle equazioni fisiche, ma piuttosto dalla "realtà globale del cosmo" (cioè dall'insieme di tutte le "frecce" particolari), per cui l'eventuale inversione locale di alcuni processi non comporterebbe l'inversione complessiva del tempo dell'universo (cfr. Castagnino, 1998). In altre parole, l'unità della direzione del tempo in tutti i fenomeni fisici procede dall'unità stessa del cosmo considerato nel suo insieme complessivo, dal momento che la freccia cosmologica, in quanto relativamente "ultima", fissa la direzione di tutte le altre frecce locali. Per affermare tale comportamento unitario, non è necessaria una conoscenza esaustiva di tutto il cosmo, ma basta quanto oggi conosciamo in proposito. D'altra parte, per quanto riguarda i processi fisici inorganici (per esempio l'espansione rispetto alla contrazione), siamo in grado di distinguere la direzione temporale del cosmo dalla sua ipotetica inversione globale solo perché facciamo parte del cosmo e attraverso il presente psico-biologico ne conosciamo l'attualità nella sua precisa direzione. In altre parole, noi, osservatori soggetti al divenire fisico, osserviamo l'espansione dell'universo e così sappiamo che la sua direzione procede verso il futuro. In definitiva, nella conoscenza della direzione del tempo fisico intervengono sia il cosmo, preso nella sua globalità in quanto conosciuta, sia il nostro presente psico-biologico.

5. Temporalismo e atemporalismo. Facendo leva sulla simmetria temporale delle leggi fisiche e sulla possibilità teorica dell'inversione dei processi fisici, alcuni autori, come Einstein, nelle loro riflessioni filosofiche sulla scienza hanno ritenuto che nella natura non ci sarebbe una vera direzione temporale, ma piuttosto un ordine atemporale o eterno, e che l'ordine passato-presente-futuro nascerebbe dall'osservatore umano o dalla sua prospettiva locale (cfr. Sanguineti, 1997). Questa posizione "atemporalistica" (se prendiamo il termine "tempo" nel suo senso forte, cioè come un tempo con passato e futuro diversi) talvolta guarda la realtà alquanto platonicamente, cioè solo dal punto di vista delle leggi teoriche, in quanto considerate astrattamente dal pensiero scientifico matematico. Preso in un senso più radicale e riduzionistico, l'atteggiamento atemporalistico può eliminare la rilevanza del tempo storico della vita umana. Un esempio estremo di tale posizione, molto peculiare ma significativo (e senz'altro privo di base scientifica), è stata la concezione filosofica di Nietzsche circa l'eterno ritorno, cioè l'eterna ricorrenza di tutti gli eventi del cosmo dopo periodi finiti di tempo: si cerca in questo modo di eternizzare l'istante fisico mediante la sua infinita ripetizione (dimenticando che neanche un tempo fisico infinito è la vera eternità). Altri autori, come ad esempio Bergson, Whitehead e, sotto alcuni aspetti, Prigogine (cfr. Bergson, 1983; Prigogine, 1988, 1994), sono esponenti di una visione "temporalistica", nella quale la natura è essenzialmente creativa e riserva sempre delle novità, per cui la visione atemporalistica sarebbe soltanto parziale, o addirittura meramente logica; ma sarebbe anche incompleta la concezione che guarda al tempo fisico solo come degrado, nel senso indicato dal secondo principio della termodinamica.

6. Inizio e fine del tempo. Una assenza di direzionalità temporale nel cosmo, il fatto cioè che le direzioni temporali siano semplicemente locali, comporterebbe che in linea di principio l'universo si presentasse come eterno, senza inizio né fine. Tale eternità non avrebbe però nulla a che vedere con l'eternità di Dio. Essa sarebbe soltanto un perdurare indefinito di ciò che è temporale, non sarebbe prova di un'auto-consistenza assoluta nell'essere e rimanderebbe comunque alla suprema causalità divina. Gli antichi, come Aristotele, ritenevano che il mondo fosse perpetuo; un cristiano come s. Tommaso d'Aquino (cfr. De Aeternitate Mundi ; Summa theologiae , I, q. 46, a . 2) non aveva difficoltà nell'ammettere tale possibilità teorica (pur ribadendo l'inizio temporale del mondo come una verità di fede), in quanto non esiste alcuna incompatibilità tra un universo perpetuo e il fatto che esso sia creato da Dio. La creazione non è una causalità temporale, come abbiamo detto, ma una situazione di dipendenza ontologica permanente. Falliscono dunque il bersaglio quelle posizioni apologetiche che legano l'inizio temporale del mondo all'esistenza di Dio o che al contrario legano l'eternità del mondo all'ateismo.

In termini rigorosi non è dimostrabile, né scientificamente né filosoficamente, che l'universo abbia un inizio oppure che sia eterno. L'attuale visione cosmologica (teoria del Big Bang) favorisce certamente l'idea di un inizio assoluto, ma non lo dimostra in maniera incontrovertibile. Le attuali cosmologie quantistiche, comunque puramente speculative al giorno d'oggi, prospettano un quadro quanto-gravitazionale atemporale, da cui avrebbe origine il nostro universo assieme con il suo tempo, con la caratteristica di un evento solo probabile tra molti altri eventi possibili. Eppure non esisterebbe alcuna incompatibilità tra questa prospettiva e il carattere creato del cosmo.

Affermare l'esistenza di una freccia temporale cosmica implicherebbe invece il fatto che l'universo stia procedendo "verso un futuro". Visto nel suo complesso, il cosmo mostra un'organizzazione crescente, una sorta di finalismo interno che culmina nella complessità delle strutture della vita, soprattutto nella vita intelligente, quale è la vita umana; siamo però ugualmente certi dell'incremento globale della sua entropia (la nascita dell'ordine presuppone sempre una spesa energetica) e sappiamo che ogni struttura fisica, tranne forse quelle più elementari, esisterà per un periodo di tempo finito, dopo il quale decadrà. Questi due aspetti della freccia temporale lasciano aperto, già all'interno di una prospettiva puramente fisica, il problema del destino definitivo e ultimo del cosmo. Alcuni autori prospettano un futuro di nuovi universi o di nuove forme di vita, fino all'affermazione definitiva della vita intelligente nel cosmo (cfr. F. Tipler, La fisica dell'immortalità, Milano 1995), ma non lo fanno in base a risultati scientifici bensì a giudizi di valore sulla vita e sull'intelligenza, mentre ricercano almeno la possibilità fisica di tale tesi. Altri invece (cfr. P. W. Atkins, Time and Dispersal: The Second Law, in R. Flood, 1986, pp. 80-98) sostengono l'inevitabilità della fine disastrosa del cosmo, una fine che suscita atteggiamenti pessimistici ed è in forte contrasto con le aspirazione più profonde dello spirito umano.

La visione del cosmo e della storia trasmessaci dalla Rivelazione cristiana è compatibile con le diverse teorie fisiche sulla direzionalità del cosmo fisico, purché queste non siano assolutizzate. Ciò che la Rivelazione biblica aggiunge non si colloca sul piano fisico, ma dà un senso ultimo e più alto all'evoluzione del cosmo. La fede cristiana, infatti, insegna che l'universo fisico, creato da Dio, è in rapporto con il destino definitivo dell'uomo. La creazione è ordinata all'opera della Redenzione: in altre parole, lo scorrere del tempo trova il suo senso ultimo nella storia della salvezza. La sacra Scrittura parla inoltre di una «fine dei tempi», cioè della fine della storia umana in corrispondenza della quale avrà luogo la resurrezione dei morti e l'avvento definitivo del Regno di Dio (la gloria del Cielo e la beatitudine dei santi). Restando in una pura prospettiva fisica, il "disordine futuro" del cosmo potrebbe sottolineare la finitezza e contingenza di un mondo che non è Dio, così come la morte umana mette in risalto la finitezza della nostra esistenza. D'altra parte il destino definitivo del cosmo così come voluto dal piano di salvezza di Dio e creduto dalla speranza cristiana, non va visto precipuamente nella linea di un processo fisico, né di perfezionamento né di distruzione alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, il che potrebbe essere fuorviante, bensì alla luce di un perfezionamento morale e religioso della persona umana, come processo di libera corrispondenza alla grazia di Cristo. Le conseguenze concrete che questo piano salvifico possa avere sulla struttura fisica dell'universo non ci sono note e restano pertanto nascoste nel mistero divino della creazione in quanto tale.

  

III. Il tempo dell'uomo

I gradi dell'essere manifestano le perfezioni ontologiche quali l'unità, la bontà, il finalismo, il dominio e in definitiva il possesso stesso dell'essere. La temporalità, vista come pura dispersione del divenire (vedi supra, I, n. 5), viene gradualmente superata quando ci eleviamo verso i gradi ontologici più alti della realtà (per i gradi delle forme temporali, cfr. Fraser, 1982, 1992). Così i viventi conservano il passato nel loro codice genetico, organizzano il loro tempo in funzione della loro finalità e si sviluppano fino alla maturità organica. Gli animali cominciano a superare la loro vita limitata al presente mediante la memoria e le aspettative istintive. Ma l'uomo, situato nel confine tra il tempo e l'eternità, è in grado con il suo pensiero di cogliere la natura del tempo e di ripercorrerlo con la conoscenza in ogni sua direzione (ricostruzione del passato, previsioni del futuro). Solo la mente è capace di pensare a "tutto il tempo dell'universo", ad altri tempi o all'annullamento del tempo. Calendari, orologi, orari, sono segni del dominio umano sul tempo.

Entro certi limiti, l'uomo organizza il tempo, lo utilizza in funzione dei fini che vuole, ne decide i diversi momenti, ne amministra le scadenze, si concede pause, ecc.; egli si dimostra così un autentico signore del tempo. La struttura massimamente temporale dell'uomo (l'unico essere che guarda davvero al futuro e al passato senza limiti), cioè la sua storicità, è la conseguenza della sua spiritualità sopra-temporale esistente nel tempo. Antropologicamente, la «situazione ontologica» dell'uomo di essere nel tempo e sopra il tempo deriva dalla sua struttura unitaria di spirito che è anima di un corpo, cioè dal suo essere una persona corporea. La comprensione intellettuale, ad esempio, è un atto sopra-temporale che da una parte dipende da un'adeguata percezione sensoriale, tramite la quale si ricevono temporalmente degli inputs provenienti dal mondo (per esempio dall'ascolto di un interlocutore), e dall'altra si esprime con il linguaggio e altri simboli sensibili. Parlare, conversare, ragionare, sono atti umani temporali, ma sono anche canali di contenuti al di sopra del tempo, come sono gli atti del capire, del volere e dell'amare.

Il tempo umano si può denominare «storia» o anche «esistenza». L'uomo è "storico" perché il suo tempo accumula progressivamente il passato, in forma di ricordi, esperienze, abiti, conoscenze acquisite, tradizioni, mentre è nel presente continuamente affacciato al suo futuro, senza poter mai fermare questo corso del tempo. La struttura ontologica che consiste nell'avere sulle spalle un passato ricordato e anche inconscio, non solo individuale ma anche collettivo, e nel dover sempre affrontare il futuro con la libertà, si può chiamare esistenza. Il passato ricordato e raccontato (cfr. Ricoeur, 1986-1988) serve a donare a ciascuno la coscienza della propria identità. Il futuro prospetta all'uomo lo spazio della sua libertà e responsabilità, poiché l'esistenza di un futuro significa che la storia per ciascuno non è chiusa, ma rimane aperta e in buona misura dipende dalla sua libertà. Il presente è il luogo dell'azione e delle scelte, non solo nel rapporto orizzontale col futuro temporale ma anche nel rapporto verticale con l'eternità, verso la quale l'uomo è destinato. L'esistenza umana possiede anche una struttura ermeneutica, dal momento che l'uomo vede la proiezione della sua vita e gli orizzonti del passato e del futuro sempre alla luce dello stato attuale della sua coscienza temporale; egli vede la sua vita in una maniera sempre nuova, eppure in modo compatibile con la sua conoscenza di verità eterne sull'essere e su sé stesso.

In definitiva si può dire che il tempo esistenziale dell'uomo ha le caratteristiche della "crescita" e della "libertà". Le virtù e le conoscenze acquisite, tutto quanto c'è di buono e di positivo nel suo passato, fanno crescere l'uomo lungo la sua vita (i difetti e le mancanze invece ne diminuiscono la libertà). Di fronte al tempo l'uomo è attivo e passivo. Non possiamo cambiare la nostra natura umana, né l'inesorabile avanzare del tempo limitato che ci resta disponibile, fino al momento ugualmente inesorabile della morte, ma possiamo imprimervi la direzione che vogliamo. All'uomo è stato donato il suo essere, di cui dispone con libertà. Il futuro gli appare come possibilità sempre aperta, offerta alla libertà ed emergente da quanto gli è stato donato. Il tempo dell'uomo è soprattutto il tempo concesso alla sua libertà. Il presente è in questo senso il momento privilegiato - unico - dell'attualizzazione della libertà: nel momento presente l'uomo pone in atto le sue possibilità per il compimento dei suoi fini, e per dare così un senso alla sua esistenza. La consapevolezza della morte gli ricorda che il suo tempo ha un limite, e che in esso egli deve compiere le scelte necessarie per il raggiungimento del suo fine eterno.

È fondamentale includere a questo punto nella nostra considerazione anche il desiderio umano di eternità. L'uomo trascende il tempo mediante la conoscenza intellettuale e l'amore e desidera vivere per sempre in uno stato di pienezza. Egli non trova tale pienezza nel semplice prolungamento dei giorni, ma nel riempire il suo tempo con atti di valore intrinseco. Ciò che egli cerca è un "vivere eterno". In termini utilitaristici, il tempo è solo un mezzo per arrivare ad uno scopo futuro (per esempio il tempo necessario per compiere un viaggio). Invece nell'amicizia, nell'amore, nella contemplazione intellettuale o artistica, nell'orazione con Dio e in ogni singolo atto religioso, il tempo è riempito di atti immanenti, atti voluti per se stessi, con un valore proprio e non semplicemente rapportati ad altri. Ora, considerando questi atti e il loro oggetto nel quadro dell'essere, l'uomo scopre in Dio l'Essere veramente eterno. Il suo rapporto fondamentale con l'eternità consiste dunque nella contemplazione e nell'amore dell'Essere Eterno, al di sopra del suo rapporto con il cosmo creato.

Così da una parte l'uomo è consapevole di non poter raggiungere in questa vita mortale un'autentica vita eterna, a causa della morte e della successione temporale dei suoi giorni, mentre dall'altra egli può e deve compiere in questa vita quelle scelte e quegli atti grazie ai quali egli può cominciare a partecipare a qualcosa di eterno e insieme può disporsi per raggiungere l'Eternità in modo definitivo, oltre la morte. Tuttavia, la coerenza di un simile quadro può percepirsi con chiarezza solo alla luce della fede religiosa (vedi infra , IV). Sul piano della razionalità l'uomo può soltanto comprendere e sperimentare il suo insopprimibile desiderio di una vita eterna, insieme alla sua costante inquietudine di fronte al passaggio del tempo e all'approssimarsi della morte, sebbene il pensiero filosofico possa venirgli incontro aiutandolo a riconoscere l'immortalità della sua anima. Anche in un'epoca secolarizzata come la nostra, il desiderio di eternità è fortemente sentito; esso si manifesta in varie forme, tra le quali la preoccupazione (talvolta apprensione) per la conservazione della natura ma anche nelle speculazioni sulla sopravvivenza della vita umana nel cosmo.

L'uomo può vivere il tempo anche in una maniera patologica. L'eccessivo attaccamento nostalgico al passato, la pura fretta che toglie al momento presente la capacità di viverlo con gioia e serenità, il timore di non saper utilizzare con frutto il tempo disponibile, ecc., sono forme problematiche di assumere la propria temporalità. Alcune di queste forme possono avere un'origine culturale o ideologica, anche se si riflettono sulla vita personale. Ne sono un esempio il fatalismo, l'idea che tutto quanto succede sia già prefissato, il puro vivere il presente cercandone solo l'aspetto del piacere immediato, senza alcuna preoccupazione per il futuro temporale o eterno, la ricerca dell'eternità in utopie intra-temporali o infine la ricerca di immortalità in forme di vita artistica, scientifica, sociale, ecc., mentre si cerca di sfuggire alla responsabilità personale del presente, dimenticando il proprio destino eterno. L'uomo può anche oscurare il passato, ad esempio quando lo ricostruisce in una maniera unilaterale o falsa. L'ideologia del progresso spesso ha traviato il senso della temporalità umana, nella misura in cui ha riposto tutte le energie della speranza umana in un futuro intrastorico di progresso tecnologico, facendo così dimenticare l'importanza dell'incontro personale con i valori sopratemporali (cfr. Ratzinger, 1971).

L'uomo, in definitiva, deve amare il proprio tempo disponibile e deve saperlo impiegare con l'impegno della sua libertà per rapportare la sua vita alla dimensione eterna cui è costitutivamente chiamato. Questa dimensione comincia già nella vita mortale e si compie nella vita eterna alla quale è chiamato da Dio. Tutte le grandi opere della cultura, delle scienze, della filosofia, delle religioni, ecc. si possono interpretare come uno sforzo umano per il superamento del tempo che finisce. Nella religione rivelata, Dio mostra all'uomo la via per raggiungere tale finalità, invitandolo a percorrerla.

  

IV. Il tempo alla luce della Rivelazione cristiana

La visione cristiana del tempo, se confrontata con molte culture pagane, supera completamente la concezione di un tempo ciclico (cfr. M. Eliade, 1968; Jaki, 1974), in favore di una concezione lineare che ripercorre tutta la storia della creazione, sin dall'inizio, quando «Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1), fino alla conclusione della storia, quando il processo di salvezza inaugurato da Cristo arriverà al suo momento culminante e definitivo nei «nuovi cieli e nella nuova terra» (Ap 21,1). La rivelazione cristiana, pur ribaltando del tutto il senso ultimo del tempo delle concezioni pagane, nulla dice sulla struttura del tempo cosmologico e neanche sulle forme concrete della storia. Essa toglie tuttavia valore alle visioni del tempo incompatibili con la fede, quelle cioè che ne fanno una realtà assoluta e definitiva. Il tempo è creato da Dio, appartiene a Dio, l'Eterno, Signore dei tempi e della storia, e finirà quando Dio Padre lo vorrà, con la sua scelta misteriosa e non rivelata all'uomo (cfr. Mt 24,36; At 1,7), mentre niente si dice sui processi cosmologici e storici concreti che ci sono stati e che tuttora ci saranno. Non si avvalla così né una visione storica della natura, né il contrario di essa, non si assume una fisica che comporti necessariamente l'inizio del mondo, né una che implichi la sua distruzione o trasformazione in un determinato senso. L'ultima e assoluta linearità del tempo, nel cristianesimo, è quella che appartiene all'esistenza umana storica, linea irreversibile di libertà personale che può accogliere in questa vita un progetto divino culminante nella vita eterna dopo la morte e dopo la fine della storia dell'umanità. Una struttura cosmologica, antropologica o religiosa del tempo (caso, fatalità, determinismo assoluto) che renda vana tale «forma del tempo umano» è posta fuori gioco dalla visione cristiana.

È da notare in questo senso l'importanza della temporalità nella rivelazione giudeo-cristiana, la quale di per sé ha una struttura "storica": essa è appunto una «storia della salvezza». Nell'AT Dio stabilisce un patto con un popolo scelto e tale evento fondamentale della storia coinvolge tutta l'umanità. Israele conserva e riflette sulla propria identità, cioè sulla vocazione ricevuta da Dio, e in questo senso guarda il passato nel costante ricordo della sua chiamata (scelta dei Patriarchi, liberazione dalla schiavitù nell'Egitto, consegna della Legge), mentre rivolge lo sguardo al futuro delle promesse che sono state fatte ad Abramo, a Mosè e ai Profeti, e che fanno sperare il possesso stabile di una terra e, ulteriormente, la liberazione messianica definitiva e l'avvento del Regno di Dio.

Il NT è dominato dal clima di compimento delle promesse: «il tempo si è compiuto» (Mc 1,14), Cristo è venuto «nella pienezza del tempo» (Gal 4,4; cfr. Ef 1,10). Il tempo è un dispiegamento del grandioso disegno divino che ripercorre tutta la creazione e che giunge in Cristo ad un momento culminante, non solo in un senso cronologico (gr. chrónos in Gal 4,4), ma anche qualitativo (gr. kairós , Mc 1,14), soprattutto perché Cristo ricongiunge il tempo e l'eternità di Dio, consentendo all'uomo di partecipare a tale unione in modo vitale e concreto. «Grazie alla venuta di Dio sulla terra - scrive Giovanni Paolo II - il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. "La pienezza del tempo", infatti, è soltanto l'eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella "pienezza del tempo" significa dunque raggiungere il termine del tempo e uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio» (Tertio millennio adveniente , 10).

Nel cristianesimo prevale il senso di novità del "presente". È il presente in cui si partecipa al mistero/evento di Cristo (kairós, tempo opportuno: Ef 5,16; cfr. Col 4,5), potendo così, in Lui, redimere e santificare il tempo stesso, un tempo che in tal modo partecipa dell'eternità di Cristo risorto (cfr. Dies Domini, 74). Il cristiano quindi amministra il tempo, dono di Dio, capitalizzandolo per l'eternità (cfr. le parabole evangeliche dello sviluppo del seme, della coltivazione di un campo, dell'amministrazione fedele della casa, ecc.; cfr. Escrivá de Balaguer, 1982). Il tempo della grazia è un germe della vita eterna futura, da coltivare anche nella sofferenza. La tensione verso il futuro escatologico costituisce la speranza cristiana. La fine dei tempi sarà «il giorno del Signore» (cfr. 2Pt 3, 10), in cui il giudizio di Dio porrà fine alla storia e la vita della grazia, per chi è stato fedele, arriverà alla sua maturazione perfetta, compiuta dallo stesso Dio che si rivelerà pienamente ai santi: «quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà» (1Cor 13,10). La Bibbia appare così interamente raccolta entro una prospettiva temporale: comincia con «In principio» e si conclude con il «verrò presto» di Cristo (Ap 22,20).

La tensione escatologica cristiana verso il futuro non è quindi una filosofia della storia immanente o intramondana. La redenzione cristiana del tempo ha una dimensione prettamente "verticale" e non comporta una esaltazione dello sviluppo "orizzontale" dell'uomo, che continua secondo la propria dinamica, ma non va divinizzato. La storia rimane sempre aperta e il futuro umano non è necessariamente migliore o peggiore, anzi esso conterrà sempre elementi da correggere. La storia profana è l'insieme delle circostanze temporali nelle quali ogni essere umano deve vivere la sua personale vocazione alla vita eterna, e non un semplice stadio transitorio verso Dio (cfr. Gaudium et spes, 38-39).

L'Eternità divina non vanifica la realtà del tempo e della storia, perché il tempo procede da Dio, anche il tempo imprevedibile della libertà creata dell'uomo, il quale, con la sua risposta alla chiamata divina, decide la sua eternità. È ben lontana dal cristianesimo una sottovalutazione del tempo, il quale comunque acquista tutto il suo senso alla luce dell'eternità. L'Eternità di Dio, d'altra parte, non va confusa con l'atemporalità del pensiero astratto, ma è da concepire come una Vita piena, sempre attuale e senza successione, secondo la celebre definizione di Boezio: «possesso simultaneo e perfetto di una vita senza termine» ( De Consolatione Philosophiae, V, 6, 9). Nella vita eterna dello stato glorioso, dal momento che i corpi risusciteranno e ci sarà un nuovo stato dell'universo, il tempo fisico non sarà cancellato ma piuttosto trasfigurato e liberato da quanto oggi contiene di corruttivo. Il tempo è sempre una partecipazione all'essere, e così il tempo che apparterrà allo stato definitivo di gloria dell'universo sarà anch'esso una peculiare partecipazione all'eternità (per il concetto di «eternità partecipata», cfr. Summa theologiae , I, q. 10, a . 2, ad 1um e a. 3). Per finire ricordiamo la tesi tomistica, non priva di interesse e comune nella tradizione cristiana, di una certa forma analogica della temporalità, denominata «eviternità» (cfr. ibidem , I, q. 10, aa. 5-6; q. 57, a . 3, ad 2um ), propria degli esseri spirituali, come gli angeli e le anime separate, che indicherebbe la misura del loro agire, nei loro atti d'intelligenza e di volontà, con una certa successione discontinua.

   

Documenti della Chiesa Cattolica correlati: 

DH 951-953; Concilio Vaticano I, DH 3002; Humani generis, DH 3890; Tertio millennio adveniente, 9-10; Dies Domini, 74.

  

Bibliografia: 

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