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Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione

Edgar Morin
trad. it. di Susanna Lazzari
Raffaello Cortina, Milano 2015
pp. 115
ISBN:
9788860307460

Articolato in cinque capitoli: Prefazione (Edgar Morin); I. Vivere; II. Una crisi multidimensionale; III. Comprendere!; IV. Conoscere!; V. Essere umano!; Conclusione: rigenerare l’Eros.

Il testo è uno studio della «policrisi» dell’insegnamento, della cultura e dei mezzi per il suo superamento. Si auspica, infatti, una metamorfosi del nostro sistema d’insegnamento, scolastico e universitario: una rivoluzione culturale che superi la frammentazione dei saperi, la disgiunzione tra cultura scientifica e cultura umanistica, per proporre l’umano nella sua unità complessa, da svolgersi perciò nella consapevolezza che nell’educazione si gioca una vera e propria partita antropologica. Lo scopo è imparare il ben vivere; basandosi sulla conoscenza della conoscenza, ossia lo studio filosofico dell’errore e dell’incertezza al fine di giungere alla lucidità, e sulla comprensione, in particolare quella «umana», che in quanto empatia, madre della benevolenza, conduce al pieno riconoscimento dell’umanità e dignità degli altri.

L’A. propone un testo di facile lettura, i cui richiami e la cui profondità, però, divengono pienamente accessibili solo all’esperto di filosofia contemporanea (capace di cogliere anche note marxiste e richiami platonici) e richiedono almeno una certa familiarità con il decostruzionismo, che impronta anche l’andamento della prosa. Il volume è il prosieguo di una trilogia dedicata al superamento dell’attuale sistema dell’educazione, alla quale aggiunge il focus sulla nostra era attuale: di internet, planetaria e antropocenica. L’orientamento alla realtà francese risulta inserito in un respiro planetario, nell’attenzione all’umano nella sua unità complessa, e risulta in ogni caso attenuato dall’omissione, voluta dall’A. stesso in accordo con gli editori, del capitolo VI dell’edizione originale.

Dopo una riflessione sul significato del vivere, emerge il quadro della crisi. Morin rileva l’incultura generalizzata, l’affermazione tra i giovani di una cultura mediatica e informatica in cui il quantitativo scaccia il qualitativo; l’asservimento dei contenuti dell’insegnamento all’utilità e ai bisogni tecno-economici e la conseguente marginalizzazione della cultura umanistica, rigettata nell’insignificanza o considerata mero lusso; la separazione tra scienze e discipline umanistiche, divenute non comunicanti, e la loro parcellizzazione; il degrado del prestigio dell’insegnante. La cultura umanistica non ha che conoscenze vaghe e mediatiche degli apporti capitali delle scienze sul nostro universo, mentre la cultura scientifica ignora il soggetto che conosce e manca di riflessività sul divenire delle scienze stesse. In breve, «c’è pericolo per la cultura» (p. 41). L’università, però, deve sì adattarsi alla modernità, ma anche adattare la modernità a sé, non asservirsi: la sua dimensione principale è la trasmissione e il rinnovamento della cultura, per cui è trans-secolare, trans-nazionale, deve diventare infine anche trans-disciplinare. La perdita dello sguardo sull’insieme comporta quella del senso di responsabilità; la tendenza alla riduzione porta all’incomprensione. Ne consegue la necessità di stabilire collegamenti e legami tra le due branche della cultura, la proposta di un programma interrogativo (che faccia emergere le domande sull’umano), per giungere ad un’educazione rigenerata che formi adulti più capaci di far fiorire il loro vivere. L’A. coglie il legame tra crisi dell’insegnamento, della cultura, della complessità sociale e dell’umanità. Infatti, al di là della pretesa ricorrente di superare la logica classica (presentando il legame tra i vari elementi studiati come anello ricorsivo, i cui effetti sono necessari alla loro produzione); decisivo è il ruolo riconosciuto al legame tra parti e tutto e viceversa, laddove l’intero complesso supera le parti ma è in qualche modo presente in esse (principio ologrammatico, pp. 57-58). Bisogna considerare gli oggetti come sistemi. A questo proposito, nota positivamente una seconda rivoluzione scientifica, agli inizi, con l’affermazione di approcci complessi e polidisciplinari.

L’osservazione è inserita nel quadro dell’auspicio moriniano ad una cultura ed un insegnamento fondati sulla «transdisciplinarità», in cui le varie discipline, pur restando distinte, non siano più isolate tra loro, superando anche la disgiunzione tra cultura umanistica e cultura scientifica. Si tratta di mostrare i legami tra le scienze come punto di partenza (nell’insegnamento) per cogliere il globale, inteso come insieme più o meno organizzato, e l’essenziale, che solo la transdisciplinarità permette di cogliere. Questi risultano persi, invece, nella conoscenza parcellare, compartimentata e monodisciplinare, che è attualmente aggravata appunto dalla separazione tra le due culture, per di più in un’era di intersolidarietà planetaria. Essa ha conseguenze pesanti: oltre alla difficoltà ad articolare i saperi gli uni gli altri, l’iperspecializzazione frammenta il globale in particelle e dissolve l’essenziale. Si perde anche il contesto naturale in cui situare un sapere o un’informazione. Nella conoscenza, infatti, oltre all’analisi fondata sulla separazione (che però rischia appunto la frammentazione), è necessario un pensiero che colleghi. L’A. ritiene che sia necessario un pensiero complesso, che «è il pensiero che vuole superare la confusione, la complicazione e le difficoltà di pensare, con l’aiuto di un pensiero organizzatore: separatore e reliante» (p. 79). Egli introduce il neologismo «relianza», da relier (collegare) e alliance (alleanza), che riferisce a quattro operatori necessari al «pensiero complesso» (sono le nozioni di sistema, causalità circolare, dialogica, e principio ologrammatico). La compartimentazione dei programmi d’insegnamento, come quella delle scienze, oscura da ultimo la nostra condizione umana. Resta però un punto fermo dell’A. la concezione del rapporto tra le scienze nei termini di anello, inteso anche come negazione di una gerarchia tra le scienze e come tratto determinante rivelato dalla transdisciplinarità.

A livello educativo, dove è necessario un rapporto personale insegnante-«insegnati», una riforma che permetta di cogliere l’unità complessa dell’umano e insegni la congiunzione dei saper-vivere è possibile, infine, solo a condizione di una rigenerazione dell’amore, inteso come Eros platonico, per ciò che si insegna e per gli allievi (che a loro volta devono provarlo).

Miriam Savarese