Tu sei qui

Su certe tendenze nello sviluppo della matematica

Igor Rostislavovich Shafarevich
1973

da una conferenza tenuta in occasione della presentazione del Premio Heineman dell'Accademia delle Scienze di Gottinga

Šafarevič è stato un matematico sovietico, fondatore della più importante scuola di teoria algebrica dei numeri e di geometria algebrica nella ex Unione Sovietica. In questa conferenza, dovendo parlare di matematica a persone lontane da questa disciplina, compie un excursus che porta il lettore in viaggio con lui, all'interno della matematica stessa, per arrivare poi alle vette più alte, o meglio, fondanti della disciplina, come la ricerca del suo scopo ultimo. Lo scienziato giunge sorprendentemente ad argomentare che «lo scopo della matematica non può essere ricavato da un’attività ad essa inferiore ma da una sfera più alta dell’operare umano, vale a dire la religione».

Ogni essere vivente tende a assumere il suo habitat come dato e a considerarlo come un qualcosa che non può essere diverso da come è, e quindi che non pone domande. L'atteggiamento dei matematici nei confronti della loro materia è del tutto analogo.

E' solo nelle rare occasioni in cui un matematico osserva la sua disciplina dall'esterno che avverte immediatamente la stranezza e la implausibilità del fenomeno con cui è stato coinvolto per tutta la vita.

Per quel che mi riguarda un'occasione di questo tipo è stata il lusinghiero invito a dire qualcosa sulla matematica a colleghi impegnati in settori della scienza molto lontani da essa.

A un'osservazione superficiale la matematica dà l’impressione di essere il risultato degli sforzi individuali separati di molte migliaia di studiosi in continenti ed epoche diversi. La logica interna del suo sviluppo, però, assomiglia molto di più all'opera di un singolo intelletto, che sviluppa il suo pensiero in modo continuo e sistematico, usando le differenti individualità umane solo come mezzi. Fa pensare a un'orchestra che esegua una sinfonia di un qualche autore. Il tema passa da uno strumento all'altro e quando uno strumentista termina la sua parte, questa viene ripresa da un altro esecutore che la sviluppa seguendo le indicazioni dello spartito.

Non si tratta di una figura retorica. La storia della matematica ha conosciuto molti casi in cui la scoperta di uno studioso è rimasta sconosciuta fino a che non è stata ripetuta più tardi da altri con impressionante precisione.

Nella lettera scritta la notte prima del duello fatale, Galois formulò varie affermazioni di enorme importanza sugli integrali delle funzioni algebriche.

Più di venti anni dopo Riemann, che certamente non conosceva la lettera di Galois, trovò di nuovo e dimostrò esattamente gli stessi risultati.

Un altro esempio.

Dopo che Lobachevski e Bolyai ebbero scoperto indipendentemente l'uno dall'altro le geometrie non euclidea, venne alla luce il fatto che Gauss e Schweikart erano arrivati, anch'essi indipendentemente, agli stessi risultati più di dieci anni prima.

Si sperimenta una strana sensazione quando si vedono gli stessi disegni, che paiono tracciati da un’unica mano, negli scritti di quattro matematici che lavoravano senza collegamenti l’uno con l'altro.

Si è portati a concludere che questa sorprendente e misteriosa attività umana, che continua da vari millenni, non possa essere un puro caso: deve avere uno scopo. Riconosciuto questo è inevitabile la domanda: qual è questo scopo?

Come è possibile che un’intera disciplina, non un suo settore, non un momento particolare del suo sviluppo, abbia uno scopo unico?

L'esempio della fisica, sempre così strettamente collegata alla matematica, può suggerire la risposta. Dal tempo di Newton i fisici hanno concepito un obiettivo grandioso. Si trattava di costruire una teoria (o, nel linguaggio dell'epoca, un sistema) del mondo che potesse inquadrare l'universo in poche, semplici leggi a partire dalle quali la molteplice varietà dei fenomeni possibili fosse deducibile per via puramente logica. Per molto tempo si pensò che Newton avesse risolto in linea di principio il problema e che i successori avrebbero dovuto semplicemente controllare il fatto che il sistema spiegava davvero tutti i fenomeni.

Le sole eccezioni erano ai margini della fisica: la teoria dell'elettricità non si accordava bene con lo schema newtoniano. Nel 19° secolo tuttavia furono proprio i fenomeni elettromagnetici che vennero a occupare la posizione centrale in fisica; e se da un lato questo fatto sconvolse la concezione newtoniana, con esso nacque anche la meccanica di Newton, ampliata con la teoria di Maxwell del campo elettromagnetico, avrebbe riportato a un quadro completo e definitivo dell'universo. Ma anche queste aspettative si conclusero con una delusione. Molto presto la meccanica quantistica e la teoria della relatività infransero le vecchie concezioni. Per un certo tempo i fisici sperarono di dedurre dalla sola teoria dei campi o dalla meccanica quantistica relativistica una teoria completa delle particelle elementari e un nuovo sistema dell'universo. Fino ad oggi questa non è accaduto e non sembra che molti fisici considerino queste speranze realistiche. In ogni modo anche se essi arrivassero prima o poi a una visione in qualche modo unitaria riguardo alla rappresentazione fisica dell’universo, sarebbe difficile credere, dati i molti rifacimenti avvenuti in precedenza, nella stabilità effettiva del sistema così ottenuto.

Tornando alla matematica, si deve ammettere che essa non ha mai formulato uno scopo globale analogo a quello che la fisica, più ambiziosa, ha proposto e mai realizzato in varie occasioni. Come si è riflettuto questo fatto sullo sviluppo della matematica?

La matematica cresce, in modo impetuoso e continuo, senza le ricostruzioni e le crisi che caratterizzano la fisica e costantemente ci arricchisce di nuove idee e di nuovi fatti.

Io sono pienamente convinto del fatto che le conquiste della matematica di oggi hanno lo stesso livello di perfezione di quelle classiche del 19°, 18° e 17° secolo, e che possono sostenere il confronto con le realizzazioni del genio ellenico.

Né d’altronde anche le più belle conquiste moderne sono superiori, in linea di principio, a quelle classiche. 
Che senso ha questo accumulo incessante di concetti idealmente allo stesso livello?
La matematica non diventerà un esempio di struggente bellezza, dell’“infinità idiota” di Hegel?

Ogni attività priva di scopo, per questo stesso fatto perde significato. E se assimiliamo l’umanità a un unico organismo vivente, allora la matematica non appare un’attività intelligente diretta a uno scopo; assomiglia piuttosto a un’azione istintiva, che si ripete in modo stereotipo, in base a uno stimolo esterno o interno.

Senza uno scopo definito la matematica non può sviluppare nessuna idea della sua forma. L’unica cosa che resta, come ideale, è la sua crescita incontrollata, o, più precisamente, l’espansione in tutte le direzioni. Usando un’altra similitudine, potremmo dire che lo sviluppo della matematica assomiglia non tanto all’evoluzione di un organismo vivente che conserva la sua forma e crescendo definisce i propri confini, quanto alla crescita di un cristallo o lo sviluppo di un gas. Sia un cristallo che un gas si espanderanno liberamente fino a che non vengano contenuti da una barriera esterna.

È evidente che l’idea di uno sviluppo della matematica con queste modalità contrasta con il senso di razionalità e di bellezza che invariabilmente si avverte a contatto con la materia. Nello stesso modo si può dire che c’è una contraddizione intrinseca nell’idea di una sinfonia che non ha mai fine.

Solo la matematica fa sorgere questo problema? Io non ritengo che la nostra disciplina differisca in modo radicale dalle altre forme di attività culturale. Certamente gli enti di cui tratta la matematica sono più astratti; essa rifiuta le proprietà più accidentali. Come dice Platone nella matematica c’è più conoscenza dell’essere puro e meno opinioni relative agli oggetti del mondo sensibile; in matematica “sembra che il segno riguardi l’essenza”.

Questo è il motivo per cui le tendenze che in matematica si individuano nettamente, pur essendo universali, si avvertono con minor chiarezza in altri campi del sapere. In particolare la mancanza di uno scopo e di un disegno, di cui parlavamo prima, si ritrova, credo, praticamente in tutti gli aspetti della vita dell’uomo moderno. Così lo sviluppo privo di finalità della matematica ha un parallelo, come si è visto, nel processo mediante il quale la fisica, perseguendo uno scopo vistosamente irraggiungibile, ha perduto ogni idea di uno scopo.

Da vari secoli fino ad oggi l’uomo è stato in preda a un’attività febbrile, informe e priva di qualunque scopo e significato eccetto quello di uno sviluppo limitato.

Tutto questo ha preso il nome di “progresso” e a un certo momento è diventato una sorta di sostituto della religione. La sua filiazione più recente è la moderna società industriale.

Si è spesso segnalato che questa gara è contraddittoria di per sé e che porta a conseguenze materiali catastrofiche: un ritmo di vita sempre più accelerato che sforza oltre ogni limite le capacità umane, la sovrapopolazione, la distruzione dell’ambiente. Servendomi dell’esempio della matematica voglio richiamare l’attenzione sulle conseguenze spirituali che non sono meno distruttive: l’attività umana nel suo complesso perde uno scopo globale e diventa priva di senso. Il pericolo in questo senso non è solo di natura negativa.

Non consiste semplicemente nel fatto che intensi sforzi dell’umanità e la vita dei suoi rappresentanti di maggiore talento, sono in definitiva deprivati di significato.

Il pericolo reale non sta soltanto nella nostra incapacità a prevedere le conseguenze di azioni di cui non comprendiamo lo scopo. La natura spirituale dell’uomo è tale che è impossibile convivere con un’attività di cui sfugge il senso.

In questo come in molti altri fenomeni, comincia a operare il meccanismo della sostituzione: gli esseri umani nell’incapacità di trovare ciò che è loro necessario, si rivolgono a dei sostituti. Un esempio notevole ci è perfettamente familiare. Avendo rotto il legame con il Dio della compassione e dell’amore, l’uomo ha sentito il fascino di altri dei che richiedono milioni di vittime umane. In accordo con questa legge l’attività intellettuale dell’uomo, ove venga a mancare una chiara comprensione dei fini correlati, prende a prestito il senso da altre fonti.

In particolare un matematico può ricercare lo scopo del suo lavoro nel fatto di contribuire alla stabilità di una struttura statale: per questo è pronto a calcolare la traiettoria di un razzo, ha progettato un congegno di spionaggio, oppure, se ha capacità eccezionali, a fare i piani per un’intera società di ibridi, in parte uomini, in parte computer. Non è solo lo spirito degli scienziati che viene mutilato da questa situazione. Nascono interi settori della matematica privi di quella divina bellezza che affascina tutti coloro che conoscono la nostra disciplina.

Più di duemila anni di storia ci hanno convinti del fatto che la matematica non è in grado di formulare da sé l’obiettivo finale che dirige il suo sviluppo. Essa quindi lo deve mutuare dall’esterno. Io non intendo tentare di risolvere questo profondo problema che coinvolge non solo la matematica ma ogni attività umana. Voglio solo indicare le direzioni fondamentali per la ricerca di una soluzione.

Ci sono, sembra, due direzioni possibili. Si potrebbe tentare di ricavare lo scopo della matematica dalle sue applicazioni pratiche. Tuttavia appare difficile credere che la giustificazione di una attività superiore, spirituale, possa ritrovarsi in una attività inferiore, mentale. Nel testo del “Vangelo di Tommaso”, scoperto nel 1945, Gesù afferma ironicamente:

“Se la carne è stata fatta dallo spirito, questo è un miracolo. Ma se lo spirito è stato fatto per il corpo, questo è il miracolo dei miracoli”.

La storia della matematica dimostra in modo convincente che non esiste nessun “miracolo dei miracoli”.

Se ripensiamo al momento decisivo di questo sviluppo, quando essa compì il primo passo e il più significativo, quando nacque la dimostrazione logica, il vero fondamento della matematica, allora si vede che i temi in gioco semplicemente escludono ogni applicazione pratica. I primi teoremi di Talete stabiliscono verità che sono ovvie per ogni persona di buon senso, come il fatto che il diametro divide un cerchio in due parti uguali. Richiese della genialità non la dimostrazione di questi risultati, ma il fatto di capire che essi richiedevano una dimostrazione. Ovviamente il valore pratico di queste scoperte è nullo. Nello stesso modo, nonostante la varietà e la profondità delle applicazioni odierne della matematica, non si può assolutamente pensare che queste applicazioni forniscano quello scopo che la matematica da sola non è in grado di trovare.

Se quindi rifiutiamo questa via, penso che resti solo una possibilità. Lo scopo della matematica non può essere ricavato da un’attività ad essa inferiore ma da una sfera più alta dell’operare umano, vale a dire la religione.

Chiaramente è molto difficile oggi vedere in che modo questo possa realizzarsi.

Ma è ancora più difficile immaginare in che modo la matematica possa continuare il suo sviluppo indefinito senza sapere quale è l’oggetto del suo studio e quale il fine.

Essa è destinata a perire nella prossima generazione, sommersa da una marea di pubblicazioni – e questa è dopo tutto solo la più semplice delle cause esterne.

D’altra parte, la soluzione che abbiamo suggerito, come ha dimostrato essa stessa, è possibile in linea di principio.

Se ritorniamo indietro ancora al momento in cui nacque la matematica, vediamo che essa allora conosceva il suo scopo e che aveva acquisito questo scopo seguendo proprio questo cammino. La matematica come scienza nacque nel 6° secolo a. C. nella comunità religiosa dei Pitagorici, e costituì una parte della loro religione. Il suo scopo era chiaro. Rivelando l’armonia del mondo così come veniva espressa nell’armonia dei numeri, essa fornì una via che portava all’unione col divino. Fu questo scopo sublime che a quel tempo dette l’impulso necessario a un’impressa che in linea di principio non ha eguali. Non si trattò della scoperta di un bel teorema, né della creazione di un nuovo settore della matematica: fu la creazione della matematica stessa.

Quindi, almeno al momento della nascita, erano già venute alla luce quelle caratteristiche della matematica in base alle quali le tendenze generali dell’uomo risultano più chiaramente visibili nel suo interno che in qualsiasi altra attività. Questo è più precisamente il motivo per cui allora la matematica costituì il modello per lo sviluppo dei fondamentali della scienza deduttiva.

In conclusione io voglio esprimere la speranza che per questa stessa ragione la matematica possa oggi servire come modello per risolvere il problema fondamentale del nostro tempo:

Rivelare un fine e uno scopo religioso supremo per l’attività culturale del genere umano. 

     

Il testo, in russo, della conferenza e la traduzione di in tedesco di C. L. Sieger, sono apparsi nello "Jahrbuch der Akademie der Wissenschaften in Cottingen", 1973, pp. 37-42. Una traduzione, parziale, in italiano è inserita in P. J. Davis, R. Hersh, L'esperienza matematica, traduzione si Silvio Bozzi, Comunità, Milano 1985, pp. 45-47