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Richiesta di imprimatur per il manuale Elementi di Astronomia

Giuseppe Settele
1820

da una Lettera inviata a Pio VII, Atti del Sant'Uffizio

Incoraggiato da una presunta misura di parallasse stellare della stella Vega, pubblicata nel 1806 da Giuseppe Calandrelli, direttore dellaSpecola del Collegio Romano, il professore di Ottica e di Astronomia all’Università la Sapienza, Giuseppe Settele, chiede l’approvazione del suo manuale di Astronomia, nel quale si sostiene il sistema eliocentrico, perché possa venire stampato a Roma con Imprimatur della Santa Sede. Sebbene le misure di Calandrelli si rivelarono in seguito spurie, e la distanza di Vega sottostimata, esse ebbero il ruolo storico di porre l’attenzione su un fenomeno che avrebbe offerto la prima vera prova fisica della rotazione della terra intorno al sole. La lettera di Settele è un raro esempio di ordinata ricostruzione dei fatti avvenuti a partire dal 1615, un anno prima che il De revolutionibus di Copernico comparisse nell’Indice dei libri proibiti. Pio VII risponderà con il decreto di approvazione dell’opera Elementi di Astronomia, a sostegno del sistema eliocentrico, decreto pubblicato nell’agosto dello stesso anno.

Il Canonico Giuseppe Settele, per clemenza di Vostra Santità Professore di Ottica, e di Astronomia nell’Archiginnasio Romano, prostrato ai SS.mi Piedi, umilmente espone un’impensata difficoltà, incontrata nella stampa delle sue Lezioni di Astronomia, al fine d’implorarne, con intera sommissione, l’Apostolico Oracolo.

Versa questa difficoltà sopra l’insegnarvi egli, secondo la comune dottrina degli Astronomi moderni, che la terra ha due moti, uno circa il proprio asse, dal quale provengono le apparenze del moto diurno di tutto il Cielo, l’altro in un’Orbita elittica, in uno dei cui fochi stia il Sole, cui debba attribuirsi il moto annuo, che sembra farsi dal Sole, insieme colle vicende delle stagioni.

Prega l’Oratore, che gli sia lecito arrecare con semplicità quelle ragioni, le quali sembrano persuadere, che un tale sistema, cui dal suo restauratore sogliono dare il nome di Copernicano, quale in oggi si asserisce, non è vietato dalla S. Sede Apostolica il sostenerlo.

L’anno 1806, è stato stampato in Roma, e dedicato a Vostra Santità da Giuseppe Calandrelli, Direttore della Specola del Collegio Romano, un Opuscolo sopra la Parallasse annua delle stelle fisse. Questa, com’è noto, ove si dia, è una dimostrazione sensibile del moto annuo della terra. Ora l’Autore intraprende ivi a provarla colle osservazioni, e sostiene di averla difatti trovata in una stella, alla quale ha particolarmente atteso, che è Wega, ossia α della Lira, e la dice di secondi quattro, e quattro decime di secondi.

Non si limita l’Autore a tale dimostrazione del moto annuo della terra, che è il proposito dell’Opuscolo, ma asserisce anche il moto diurno di essa, e ne arreca in prova, nelle prime pagine, l’esperienza da se, e da altri istituita, dei gravi fatti cadere da notabile altezza, in quali si trova, che nello scendere al suolo hanno deviato dal perpendicolo verso Oriente. Cita poi due Opuscoli, stampati dal Guglielmini, uno l’anno 1789 in Roma, col titolo Riflessioni sopra un nuovo sperimento in prova del diurno moto della terra, l’altro l’anno 1792 in Bologna: De diurno terrae motu, experimentis physico-mathematicis confirmato.

Le stesse prime parole dell’Opuscolo del Calandrelli annunciano come tesi dimostrabile il sistema Copernicano, poiché incomincia così: “Il moto diurno di rotazione, e il moto annuo di rivoluzione della terra sono due fenomeni, che  gli Astronomi hanno sempre cercato di rendere sensibili coll’osservazione”.

In Roma pertanto, Beatissimo Padre, sotto gli Auspicj stessi di Vostra Santità, fralle cui glorie deve annoverarsi quella di aver protetta, e ampliata la buona Astronomia, e di aver favoriti i tentativi delle più ammirabili scoperte della medesima, si è colle stampe non solo asserito; ma voluto dimostrare sensibilmente il doppio moto, diurno, ed annuo della terra: e sonosi citati con lode due consimili Opuscoli, che già di erano a Roma, ed in Bologna, sotto l’immediato Predecessore di Vostra Santità, l’immortale Pio VI., pubblicati.

Dopo tali fatti, Beatissimo Padre, sembra all’Oratore, che si farebbe torto ai progressi della scienza, e alla medesima Santità Vostra, col mostrare di non essere persuasi, che si può in oggi in Roma insegnare il moto diurno, ed annuo della terra, ossia il sistema Copernicano.

Una sola risposta si potrebbe dare, ed è questa, che gli Opuscoli ora detti del Guglielmini, e del Calandrelli, e tutti gli altri di consimile dottrina, ove altri se ne fossero stampati in Roma, e nello Stato Ecclesiastico, non provino la convivenza della S. Sede; poiché tali stampe potevano essersi fatte per sorpresa, o inavvertenza dei revisori contro il disposto dei decreti proibitivi, i quali si asserisce, che sono in vigore.

All’Oratore però sembra, doversi in vece dire, che tali decreti, per la stessa volontà dei Sommi Pontefici, non ritengono forza proibitiva contro l’asserirsi il sistema Copernicano, quale in oggi s’insegna. L’oratore dice espressamente: Quale in oggi s’insegna. Imperocché è persuaso, che colle nuove scoperte, ed acquisto di maggiori lumi, siensi emendate, e messe in buon aspetto molte cose, le quali in allora, quando emanarono i Decreti contrari, lo facevano primieramente apprendere assurdo, e falso in filosofia, per quindi procedere a giudicarlo contrario alle Sagre Scritture. Niente volendo egli occultare a se medesimo, ha ricercato i Decreti contrari, e ha trovato i seguenti:

1616, 5. Marzo: La S. Congregazione dell’Indice non solamente proibì, donec corrigantur, l’opera di Copernico De revolutionibus Orbium Coelestium, e Commentaria in Job di Didaco Astunica; e proibì senza la clausola donec corrigatur una Lettera di Paolo Antonio Foscarini Sopra l’opinione de’ Pitagorici, e del Copernico della mobilità della Terra, e stabilità del Sole; ma insime di questo sistema fu detto: “Falsa illa doctrina Pythagorica, divinaeque scripturae omnino adversans de mobilitate terrae, et immobilitate solis”. Ed il Decreto insieme si estese ad involgere nella condanna “Omnes alios libros pariter idem docentes”con dirsi, che “omnes respective prohibet, damnat, atque suspendit”.

1619, 10. Maggio fu con Decreto particolare proibito l’Epitome Astronomiae Copernicanae di Giovanni Keplero.

1620, 15. Maggio vennero permessi i libri di Copernico, dopoché si fossero eseguite le correzioni di alcuni passi nel Decreto enumerati, ne’ quali come vi si dice: “non ex hypotesi, sed asserendo de situ, et motu terrae disputat”.

Da questo Decreto venne tratta la regola, che il sistema Copernicano si potesse assumere come un’ipotesi; ma non si potesse sostenere come tesi.

1633, 22. Giugno fu la condanna, e l’abjura di Galileo. Nella sentenza si premette, che sino dal 1615 egli era stato denunciato; e che per comando di S. Santità e degli Em.i Cardinali del S. Officio erano dai qualificatori Teologi state, come segue, qualificate queste due Proposizioni:

“Solem esse in centro mundi, et immobilem motu locali, propositio absurda, et falsa in philosophia, et formaliter haeretica, quia est espresse contraria Sacrae Scripturae”.

“Terram non esse centrum mundi, nec immobilem; sed moveri motu etiam diurno, est item propositio absurda, et falsa in philosophia, et theologice considerata ad muns erronea in fide”.

Espostosi quindi, come li 25 Febbrajo 1616 erasi fatto precetto al Galileo di abbandonare affatto tale dottrina, si soggiunge, che “ut prorsus tolleretur tam perniciosa doctrina” era emanato il decreto ora riferito della S. Congregazione dell’Indice del 1616.

Nel dichiarasi poi a Galileo la sua reità per aver trasgredito il fattogli precetto col suo Dialogo stampato in Firenze l’anno innanzi, gli viene detto: “Eo quod tu in eodem libro defendisses praedictam opinionem jam damnatum, et coram te pro tali declaratam: Siquidem in dicto libro variis circumlocutionibus satagis ut persuades, eam a te delinqui tanquam indecisam, et espresse probabilem, qui pariter est gravissimus error, cum nullo modo probabilis esse possit opinio, quae jam declamata, ac definita fuerit contraria Scripturae divinae”.

1633, 2. Luglio, cioè dieci giorni dopo avvenute, la condanna, e l’abjura di Galileo, furono con Lettera dell’E.mo Card. Di S. Onofrio, trasmesse agli Inquisitori. Il Riccioli Tom. 2, pag. 497 del suoAlmagesto Nuovo riporta quella mandata al P. Inquisitore di Venezia. In questa espressamente si dice, che l’esemplare di tali sentenze, ed abiura “ipsi mittitur, ut illod notificet suis Vicariis, et ejus notizia perveniat ad eos, et ad omnes professores philosophiae, et mathematicae: quo, scientes qua ratione actum sit cum dicto Galileo, gravitatem erroris ab ipso commissi comprehendant, ut illum devitene, nec non poenas, quas, incidendo in illum, passuri essent”.

1634, 23 Agosto fu pubblicato un Decreto di proibizione del detto Dialogo di Galileo.

Si quì, Beatissimo Padre, sonosi offerti all’Oratore dei rigori contro questo sistema, per parte della S. Sede. Sembra però, che in appresso non tardassero a rallentarsi.

Imperocché l’anno 1661, soli 17 anni dopo la proibizione del Dialogo di Galileo, fu stampato in Roma un Trattato di Eustachio De Divinis contro il Sistema di Mr. Huygiens, in cui alla pag. 49 si riferisce il seguente sentimento del P. Fabri, Penitenziere Gesuita di S. Pietro: “Ex vestris, iisque Coryphaeis (cioè di voi Protestanti) non semel quaesitum est, utrum aliquarum haberent demonstrationem pro terrae motu adstruendo. Nunquam ausi sunti d asserire. Nihil igitur obstat, quin loca illa (della Sagra Scrittura) in sensu naturali Ecclesia intelligat, et intelligenza esse declaret, quamdiu nulla demonstratione contrarium evincitur, quae si forte aliquando a vobis excogitetur, quod vix crediderim, in hoc casu nullo modo dubitabit Ecclesia declamare, loca illa in sensu figurato, et improprio intelligenza esse, ut illud Poetae: ‘Terraeque, urbesque recedunt”.

Queste parole, come è manifesto, riducono ad essere condizionate le condanne, e proibizioni delle Sagre Congregazioni, cioè fino a che si fosse arrecata qualche dimostrazione del movimento della terra. Aozout le citava sino dal 1664, “affinché (V. Mem. Ac. Real. Scien. Tom. VII, Paris 1729, pag. 58) si sappia, come si devono spiegare le proibizioni altre volte fatte dall’Inquisizione, di sostenere il movimento della terra, all’occasione di Galileo”. Furono dopo ripetute le parole del P. Fabri da altri, e pare, che si stabilisse cosiffatta interpretazione delle precedenti proscrizioni (V. Lalande, Astronom. Tom. 1. pag. 421).

Sebbene poi, Beatissimo Padre, due decreti della S. C. dell’Indice del 1616 e 1620 fossero riportati per esteso nell’Indice de’ Libri Proibiti stampato sotto Alessandro VII l’anno 1664, nella serie degli altri decreti, il primo alla pag. 307, il secondo alla pag. 406, devesi però osservare che non più compariscono né per esteso, né come regola di generica proibizione, con qualche loro estratto, negli Indici stampati susseguentemente, cioè negli Indici degli anni

1670 sotto Clemente X.

1681, 1683 sotto Innocenzo XI.

1704 sotto Clemente XI.

1744, 1752, 1758 sotto Benedetto XIV.

E finalmente neppure in quello novissimo dell’anno corrente.

Specialmente merita di essere osservato l’Indice dell’anno 1758, che i susseguenti hanno riprodotto col solo apporvi le nuove proibizioni. A questo è premesso un Breve del Sapientissimo Pontefice Benedetto XIV nel quale si vedono esposte le cure, con cui è stato ricostruito. Ogni libro proibito ha annesso il decreto, che lo proibisce. Vi è inserita la Bolla Sollicita del medesimo Pontefice, sopra il metodo da tenersi nella proscrizione dei Libri. Ma soprattutto per il presente proposito sembra doversi avvertire la nuova aggiunta inserita dopo la Bolla, col titolo: “Decreta de Libris prohibitis, nec in Indice nominatim expressis” della quale nella sua Prefazione il clebre P. Ricchini, in allora Segretario, così parla: “Subjecimus deinde Decreta quaedam generalia, quo et brevitati Indicis consuleremus, et dubitationem omnem tolleremus, si qua de certis quibisdam libris suboriri posset, qui in Indice nominatim descripti non essent”.

Ora, Beatissimo Padre, tra questi decreti di libri proibiti, e nell’Indice nominatamente non espressi, che vi sono disposti per materie in quattro Paragrafi, al §2 si riportano libri certorum argumentorum proibiti in 14 numeri, e dovevano qui certamente in un nuovo altro numero inserirsi omnes libri docentes Pythagoricam de mobilitate terrae, immobilitate Solis, vietati dal sopra indicato Decreto de’ 5 Marzo 1616, se ancora fosse stato in vigore, ovvero se fossesi voluto ridonarglielo. Ma non se ne trova indizio alcuno. Guardando poi al preambolo, che va innanzi a tale enumerazione, si vede darvisi questa regola: “Ut si quod circa librum aliquem Indice non descriptum, aut in regulis ejusdem Indicis non comprehensum, exoriatur dubium, intelligi possit, utrum inter prohibitos sit computandus”. È dunque certo, che quella proibizione dei libri insegnanti la mobilità della terra, e immobilità del Sole, noi dobbiamo intendere, che non è stata conservata.

Laonde scrisse con ragione La Lande (Astron. Tom. I, pag. 421, terza ediz.): “Si è soppresso nell’Indice, o Catalogo dei libri proibiti, fatto a Roma, l’Articolo, che comprendeva tutti i libri, ne’ quali il movimento della terra è sostenuto…”

Questo celebre Astronomo prosegue a raccontare le disposizioni, che trovò in Roma sette anni dopo la stampa del nuovo Indice Benedettino. “Io chiesi (dice al loc. cit.) essendo in Roma nel 1765 che ben si volessero anche togliere nominatamente le Opere di Galileo. Il Card. Prefetto della Congregazione dell’Indice mi obiettò, che vi era contro di lui una sentenza della Congregazione del S. Officio, ossia dell’Inquisizione, che sarebbe convenuto in prima far modificare. Ed il Papa Clemente XIII, mi sembrava molto inclinato ad acconsentirvi, per deferenza alle scienze, ed ai dotti. Ma il tempo non mi permise di tener dietro ad una negoziazione, la quale dipendeva da un troppo gran numero di persone”.

Dopo tutto questo pare all’Oratore, essere manifesto, che i Decreti proibitivi, o ristrettivi non ritengono vigore per chiaro volere dei Sommi Pontefici, a restringere agli Astronomi la facoltà di sostenere il sistema della terra mobile, e sole immobile, nella maniera, che essi al presente lo hanno ridotto. Forse taluno pretenderebbe necessaria una espressa revoca, o dichiarazione. Ma tocca forse agli inferiori il prescrivere leggi ai Sommi Gerarchi? O assegnar loro le regole della prudenza? Testoché nell’Indice di Clemente X in poi: anzi, se noi bene avvertiamo, anche dapprima dello stesso Indice di Alessandro VII si è principato ad accettare benigne interpretazioni, come apparisce dai sopra riferiti detti del P. Fabri, resi pubblici in Roma, e quindi si è progredito a non instare sopra le condanne, e in fine sonosi sotto Benedetto XIV, con mente sufficientemente espressa, preterite, sarebbe per dirlo moderatamente, uno zelo soverchio, e irragionevole, il ricercare di più.

L’Oratore riflette, che dopo il Dialogo di Galileo non sembra, che siansi nominatamente condannati altri libri, perché vi si difendeva il sistema Copernicano. Eppure tale sistema andò facendosi vieppiù comune, anche tra i Cattolici, e si proseguì a stampare dei Libri in gran numero, nei quali si sostiene, e i quali ebbero libero corso. Taluni di questi divennero celeberrimi, come a cagion di esempio i Principj della Filosofia Naturale, dati in Luce dall’Inglese Isacco Neuton [sic] in Latino, fino dall’anno 1686. siccome in essi difendesi il sistema Copernicano, ma molto rettificato, ed accresciuto di molte nuove cognizioni posteriori, e specialmente arricchito di teorie, e di calcoli; così meritavano essi una particolare attenzione della S. Sede. Né si può giammai presumere, che tanti zelantissimi, ed illuminati Pontefici avessero potuto lasciar correre, ove nel sistema Copernicano, qual si andò riducendo, avessero temuto ancora contenersi di quelle assurdità, e falsità, per cui era stato condannato, e giudicato non solo falso; ma contrario alla Sagra Scrittura, ed era stato detto un errore pernicioso.

Così, Beatissimo Padre, un’apparenza di rispetto alla S. Sede, involve in realtà una gravissima ingiuria alla medesima, ed ai Pontefici, i quali da più di un secolo, e mezzo hanno tenuta questa condotta, ed alla stessa Santità Vostra, anzi a tutta la Cattolica Chiesa, nella quale sarebbesi turpemente lasciato correre l’errore, e pigliare radice.

Le ragioni sin qui addotte sembrano all’oratore tali, che senza aver bisogno di sottile indagine debba giudicarsi, che il sistema Copernicano, quale in oggi difendesi, non ritiene la falsità, e opposizione alla Sagra Scrittura, le quali furono prese di mira nella condanna espressa dal Decreto della S.C. dell’Indice del 1616.

Egli potrebbe diffondersi ed esporre, come la gravità dell’aria, scoperta nel 1645, ha tolti gli sconcerti terrestri, che realmente senza di essa si introducevano colla rotazione diurna della terra, e ha confermati alla terra stesso i titoli, che le rimanevano tolti, di centro, e di propria immobilità rispetto alle sue parti tutte, che la circondano: Come pure, essendosi le orbite celesti riconosciute nel ittiche, e mutuamente connesse, e dipendenti fra loto, fu tolta al Sole la ragione di vero centro: Come eziandio, scopertosi nel Sole un (moto di rotazione intorno al proprio asse, e deducendone da questo gli astronomi un moto di traslazione, non si vuole più assolutamente immobile, nel centro del mondo): Come quindi nel sistema celeste, quali in oggi difendesi, rimangono salve tutte le circostanze delle emanate condanne, le quali ritengono un senso proprio, riconosciuto vero secondo le moderne dottrine: come questo sistema si è andato meravigliosamente confermando sempre più colle nuove scoperte.

Ma crede inutile ulteriormente tediare la Santità Vostra, che ne ha profunda cognizione, e sa di quale peso siano soprattutto la nutazione, e l’aberrazione annua delle stelle fisse, che sono dimostrate, e quale dimostrazione formerebbero la deviazione orientale dei gravi cadenti, e la parallasse annua delle stelle fisse, di cui parla l’Opuscolo del ch. Calandrelli dedicato a Vostra Santità.

L’oratore ha toccate le ragioni, per le quali sembragli, che il sistema Copernicano, quali in oggi difendesi, non sia colpito dalle antiche proscrizioni, e proibizioni, e che queste, per la volontà sufficientemente dichiarata dai Sommi Pontefici, non ritengono vigore da impedire di insegnarlo anche colle stampe, come già colle stampe stessi vi è più di un esempio autorevole, che si è potuto eseguire, il che permettendosi (si eseguire ne proverrà) gloria alla S. Sede sempre protettrice dei buoni studj, ed ornamento alla Cattolica Religione, la quale, invece di temere i lumi delle scienze, si adorna di essi, e con essi si innalza a difendere i Dogmi rivelati, e a celebrare le glorie del Creatore.

Del rimanente del tutto sommesso ha già in cuor suo eseguito il cenno, che piaccia a Vostra Santità di abbassargli, e prostrato implora l’Apostolica benedizione.

da W. Brandmüller e E.J. Greipl (a cura di), Copernico Galilei e la Chiesa, fine della controversia (1820), gli atti del Sant’Uffizio, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1992, pp. 167-177.