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Discorso in occasione della settimana di studio “Chemical events and their impact on environment”

Papa Giovanni Paolo II
12 novembre 1983

1. In questa eletta assemblea di scienziati, onorata dalla presenza di voi, signori cardinali, e di voi, fratelli vescovi, dalla partecipazione del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e di molti rappresentanti e responsabili della cultura, saluto con particolare viva soddisfazione e alta considerazione gli illustri membri della Pontificia Accademia delle Scienze, che si accingono a trattare nella loro sessione plenaria il tema: la scienza a servizio della pace. 

Con gli stessi sentimenti saluto gli autorevoli scienziati convenuti da ogni parte del mondo per approfondire, durante una settimana di studio, il tema “Chemical events and their impact on environment” e durante un gruppo di lavoro un argomento altrettanto importante: “Specificity in biological interactions”. Tra pochi giorni si riunirà un altro gruppo di lavoro che tratterà il tema “Modern biology applied to agricolture”. 

Mi rallegro di cuore con lei, signor presidente, professor Carlos Chagas, per la saggezza e l’impegno con cui ha dato nuovi importanti sviluppi alla vita dell’Accademia, per aver progettato e promosso in questi giorni le suddette varie riunioni di personalità, che dedicano le loro energie alla ricerca della verità e al servizio dell’umanità. Cercate instancabilmente il vero. 

2. Ogni sapere trae la sua nobiltà e dignità dalla verità che esprime: soltanto nel culto disinteressato della verità la cultura e in particolare la scienza conservano la propria libertà e la possono difendere da ogni strumentalizzazione proveniente dalle ideologie e dal potere. 

Le parole evangeliche “la verità vi farà liberi” hanno un valore di perenne attualità e illuminano di luce divina l’attività dello scienziato, che a nessuno subordina il proprio impegno e la propria ricerca se non alla verità. 

La verità è il fine di tutto l’universo: “ultimus finis totius universi est veritas”, come ha scritto uno dei più grandi geni del pensiero, Tommaso d’Aquino (S. Tommaso, Contra Gentiles, 1. 1-c.1). L’universo cela nel suo seno la verità di tutti gli esseri, delle loro forme e delle loro leggi e anela la rivelazione della sua verità da parte dell’intelletto umano. Voi signori scienziati che ospitate il mondo nelle vostre menti, lo trattate nei vostri laboratori, lo scrutate nei suoi più intimi meandri con il vostro impegno e le vostre fatiche, che cosa cercate se non la verità? 

Abbiate il coraggio e l’audacia della ragione che cerca instancabilmente il vero e avrete nella Chiesa e da questa sede apostolica i vostri più convinti alleati. 

Senza dubbio le conquiste della scienza sono talora provvisorie, sottoposte a ripensamenti e revisioni e non riusciranno mai a esprimere tutta la verità che si cela nell’universo: il senso del mistero fa parte del vostro patrimonio intellettuale e vi avverte che quanto non conoscete è molto di più di quello che conoscete. Nella ricerca della verità l’audacia della ragione si accorda con l’umiltà dei suoi limiti, la gioia del conoscere entra in simbiosi con l’ammirazione dell’ignoto. 

Il senso del mistero avvolge inoltre le verità che la scienza non può scoprire, ma che interrogano l’animo dello scienziato nel più intimo del suo essere, là ove egli sperimenta una insopprimibile e struggente aspirazione verso il divino. Il fine dell’universo non è soltanto quello di rivelare la verità che gli è immanente, ma di manifestare la verità prima che ha dato origine e forma al mondo. 

3. Qualunque siano le vie della vostra ricerca scientifica, vi assista sempre, signori, il senso del divino. Come non ricordare Isacco Newton, il quale non pensava affatto, come avrebbe successivamente detto Augusto Comte, che la scienza deve sorgere dalla rovina della religione e della metafisica, ma scorgeva nell’universo la presenza di Dio, non immanente, ma trascendente la natura? Nello “Scolio generale” aggiunto alla seconda edizione dei suoi “Philosophiae naturalis principia mathematica”, Newton scriveva: “Questa elegantissima compagine del sole, dei pianeti e delle comete non poteva nascere senza il disegno e la potenza di un ente intelligente e potente, egli regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come Signore dell’universo . . . Da una cieca necessità metafisica, che sia assolutamente identica sempre e ovunque, non nasce alcuna varietà di cose. L’intera verità delle cose, per luoghi e per tempi, poté essere fatta nascere soltanto dalle idee e dalla volontà di un ente necessariamente esistente” (cf. L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, Garzanti, 1970, vol. II, p. 646) 

Con Newton, che era convinto dell’inseparabilità del pensiero scientifico dal pensiero religioso, si accorda il messaggio rivolto “agli uomini di pensiero e di scienza” dal concilio ecumenico Vaticano II: “Forse mai, grazie a Dio, è apparsa così bene come oggi la possibilità di un accordo profondo tra la vera scienza e la vera fede, entrambe a servizio dell’unica verità. Non disperdete questo incontro prezioso: abbiate fiducia nella fede, questa grande amica dell’intelligenza!”. 

La verità scientifica, o signori, che nobilita la vostra intelligenza ed eleva la vostra ricerca a valori di contemplazione del mondo e del suo Creatore, dev’essere trasmessa all’intera umanità per la promozione integrale dell’uomo e delle nazioni e dei vostri progetti. 

4. Diversi sono i modi con cui l’uomo di cultura vive il prezioso valore del sapere. Bernard de Clairvaux, uno dei più grandi personaggi della storia, che discese dalle più alte vette della mistica per comunicare la verità divina e umana alla società ecclesiale e civile del suo tempo, vero maestro della carità dell’intelligenza, ha delineato i profili, che sempre si trovano nella storia, dell’uomo di cultura. Sono cinque secondo san Bernardo gli stimoli che incitano l’uomo allo studio: “Il est des gens qui ne veulent savoir que pour savoir: c’est une curiosité basse. D’autres cherchent à connaître pour être connus eux-mêmes: c’est une honteuse vanité, et ceux-là n’échappent pas aux railleries du poète satyrique qui disait à l’intention de leurs pareils: “Pour toi, savoir n’est rien, si un autre ne sait pas que tu sais”. Il y a encore des gens qui acquièrent la science pour la revendre et, par exemple, pour en tirer de l’argent ou des honneurs: leur mobile est laid. Mais certains veulent savoir pour édifier: c’est la charité. D’autres pour être édifiés: c’est la sagesse. Seuls les hommes de ces deux dernières catégories n’abusent pas de la science, puisqu’ils ne s’appliquent à comprendre que pour faire le bien” (Œ uvres mystiques de Saint Bernard, Sermon trentesixième sur la Cantique des Cantiques,Editions du Seuil, 1953, pp. 429-430). 

Le parole del mistico san Bernardo, che dimostra una così profonda conoscenza delle spinte che animano l’uomo di cultura, sono quanto mai attuali per richiamare tanto i maestri del pensiero quanto i discepoli alla vera finalità della scienza. Nel mio discorso a Colonia del 15 novembre 1980 a scienziati e studenti delle università tedesche rilevavo che “la nostra cultura in tutti i suoi settori è impregnata di una scienza, che procede in modo largamente funzionalistico” e ammonivo: “La scienza puramente funzionale, destituita di valore e di verità, può essere completamente asservita dalle ideologie”. 

Mi piace ricordare quanto, circa quarant’anni or sono, un illustre compianto membro della Pontificia Accademia delle Scienze rilevava in una conferenza a Losanna indirizzata a giovani universitari: “Alla ricerca del vero si è andata sostituendo la ricerca dell’utile. I giovani che prima si volgevano ai maestri del pensiero per avere luce alle intelligenze, incominciarono a chiedere loro quei segreti della natura, da cui sgorgano in sì gran copia i beni materiali. Dei diversi rami del sapere si andarono a poco a poco valorizzando non quelli che tendono alle più alte vette del pensiero, ma quelli che si presentano più fecondi di pratiche applicazioni” (G. Colonnetti, Pensieri e fatti dall’esilio, Conferenza del 12 giugno 1944, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1973, p. 31). 

San Bernardo de Clairvaux ha innalzato il sapere al livello dell’amore, della carità, dell’intelligenza: “Sunt qui scire volunt ut aedificent, et charitas est”. 

5. Signori accademici, signori scienziati! In questo momento così grave della storia io vi chiedo la carità del sapere che edifica la pace. La pace è un dono di Dio offerto agli uomini di buona volontà. La mia parola si rivolge ora a tutti gli uomini di buona volontà, a qualunque fede essi appartengano, e anzitutto a voi che ascoltate. 

La scienza che aduna ricercatori, tecnici, operai, che mobilita i poteri politici ed economici, che trasforma la società a tutti i suoi livelli e in tutte le sue istituzioni, ha oggi un compito che mai le è toccato così urgente e indispensabile, quello di cooperare alla salvezza e alla costruzione della pace. 

Dalla profondità dei secoli trascorsi si eleva la voce di un profeta disarmato, Isaia: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci” (Is 2, 4). 

In tempi recenti in un momento foriero di guerra si levò con forza biblica la voce profetica di un pontefice disarmato, Pio XI, che citò il salmo: “Dissipa gentes quae bella volunt” (Sal 67, 31). 

I profeti disarmati sono stati oggetto di irrisione in tutti i tempi, specialmente da parte degli accorti politici della potenza, ma non deve forse oggi la nostra civiltà riconoscere che di essi l’umanità ha bisogno? Non dovrebbero forse essi soli trovare ascolto nell’unanimità della comunità scientifica mondiale, affinché siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita? Lo scienziato può usare della sua libertà per scegliere il campo della propria ricerca: quando in una determinata situazione storica è pressoché inevitabile che una certa ricerca scientifica sia usata per scopi aggressivi, egli deve compiere una scelta di campo che cooperi al bene degli uomini, all’edificio della pace. Nel rifiuto di certi campi di ricerca, inevitabilmente destinati, nelle concrete condizioni storiche, a scopi di morte gli scienziati di tutto il mondo dovrebbero trovarsi uniti in una volontà comune di disarmare la scienza e di formare una provvidenziale forza di pace. 

Dinanzi a questo grande malato, in pericolo di morte, che è l’intera umanità, gli scienziati, in collaborazione con tutti gli altri uomini di cultura e con le istituzioni sociali, devono compiere un’opera di salutare salvezza analoga a quella del medico, che ha giurato di impegnare tutte le sue forze per la guarigione degli infermi. 

6. La pace non nasce soltanto dall’estinzione dei focolai di guerra; quando anche tutti fossero estinti altri sorgerebbero inevitabilmente se l’ingiustizia e l’oppressione continuano a governare il mondo. La pace nasce dalla giustizia: “opus iustitiae pax” (Is 32, 17). Ora la scienza che cerca la verità ed è libera dalle ideologie può e deve promuovere la giustizia nel mondo, può e deve, non rimanendo schiava dei popoli economicamente privilegiati, diffondersi ovunque per far sì, con tecniche appropriate, che a ogni popolo e a ogni uomo sia dato il suo. Il mondo moderno attende la liberazione della scienza che è una conseguenza della liberazione dell’intelligenza. Siate uniti, signori, nella difesa delle vostre libertà per edificare nella giustizia la pace nel mondo. 

È un lavoro instancabile che non cesserà mai, perché continuamente a causa del peccato, sia individuale che sociale, sorgono nel mondo dei focolai d’ingiustizia. Con un attento senso della storia il concilio ecumenico Vaticano II ha avvertito: “Poiché il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma è soggetto, con il progresso del tempo, per quanto concerne le sue concrete esigenze, a continue variazioni, la pace non è stata mai qualcosa di stabilmente raggiunto, ma è un edificio da costruirsi continuamente” (Gaudium et Spes, 78). 

“Pax perpetuo aedificanda”. La pace è uno sforzo continuo affidato, per quanto vi compete, alla vostra ricerca, alle applicazioni tecniche che dovete indirizzare con il vostro prestigio alla promozione della giustizia, con quella liberazione e libertà dell’intelligenza che vi consente altre scelte, ove le vostre ricerche e scoperte subissero delle strumentalizzazioni violente contro la giustizia e la pace. 

7. La comunità scientifica è più di ogni altra comunità una comunità di pace, poiché la severa ricerca del vero che vi compete nel campo della natura è indipendente dalle ideologie, quindi dai conflitti che ne derivano: la vostra è un’attività che esige una sincera collaborazione, una schietta comunicazione dei risultati delle vostre ricerche. 

La comunità scientifica, comunità di pace, deve essere allargata a tutte le nazioni con la fondazione ovunque di istituti di ricerca e di una sana applicazione tecnologica. Non basta che sia cessato il colonialismo politico, occorre che cessi pure ogni forma di colonialismo scientifico e tecnologico. Non posso non rallegrarmi con la Pontificia Accademia delle Scienze che abbraccia un numero sempre più grande di scienziati appartenenti a tutte le nazioni del mondo, senza alcuna discriminazione razziale e religiosa: è una forma di ecumenismo culturale che la Chiesa, promotrice di un verace ecumenismo religioso, non può non considerare con senso di viva soddisfazione. 

8. Dalla comunità scientifica, soprattutto quando si estende a tutte le regioni del mondo, sono scaturite delle scoperte che hanno in ogni campo aiutato lo sviluppo dell’umanità: malattie e pestilenze sono state vinte, nuove risorse alimentari sono state trovate, le comunicazioni tra gli uomini sono state intensificate, i popoli di tutti i continenti sono stati ravvicinati, catastrofi naturali sono state previste e dominate. Chi può enumerare i benefici portati dalla scienza e quanto più grandi essi sarebbero stati se le tecniche che da essa derivano non fossero manipolate da poteri malefici? Chi può negare che la scienza e le applicazioni che ne derivano possono essere poste a servizio dell’uomo e di una più grande giustizia? 

È compito insurrogabile della comunità scientifica vagliare, come è nelle vostre intenzioni, signor presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, affinché le scoperte della scienza non siano messe a servizio della guerra, della tirannia e del terrore. La ferma volontà di indirizzare la scienza alla promozione della giustizia e della pace esige un grande amore all’umanità. Ogni umana virtù è una forma di amore: lo è la giustizia, che è amore verso il prossimo, individui e popoli. Solo chi ama vuole che l’altro abbia giustizia. Chi non ama cerca soltanto di ottenere giustizia per se stesso. 

9. Verità, libertà, giustizia, amore siano, signori, i fondamentali capisaldi della vostra generosa scelta di una scienza che edifica la pace. Questi quattro valori, capisaldi della scienza e della civile convivenza, debbono essere alla base di quell’universale appello di scienziati, uomini di cultura, cittadini del mondo, che la Pontificia Accademia delle Scienze, con la mia piena e convinta approvazione, vuole lanciare al mondo per la riconciliazione dei popoli, per il successo dell’unica guerra che deve essere combattuta, quella contro la fame, la malattia, la morte di milioni di esseri umani che potrebbero essere soccorsi e promossi a qualità e dignità di vita col 7 per cento delle spese che ogni anno si fanno per un incessante minaccioso riarmo delle nazioni più ricche. 

Permettetemi ora di richiamare con voi, nel nome della scienza e della vostra personale autorità morale, l’esigenza di una universale conversione ai veri beni dell’uomo. La pace non può essere invocata, come lo è da molti a garanzia del permissivismo etico e del consumismo. L’universale invocazione alla pace deve essere permeata da una profonda riflessione sul destino dell’uomo, sul senso e la qualità della vita. Ove la conversione alla verità, alla libertà, alla giustizia e all’amore, non diventi una esigenza diffusa, una prassi ovunque promossa, la pace sociale è instabile, perché priva della sua più profonda radice, che si trova nel cuore dell’uomo. 

10. Da Dio è la pace per coloro che sono in comunione con lui e per quanti, pur non avendolo trovato, lo cercano con cuore sincero, con un animo che non soffoca, ma libera dentro di sé il senso del divino. 

Io ho fiducia in voi, signor presidente, signori accademici, signori scienziati; e mentre volge al termine questo mio discorso desidero far mie le parole che il mio predecessore Paolo VI rivolse nel 1966 alla Pontificia Accademia delle Scienze: “Più che ogni altro la Chiesa si rallegra di ogni vera conquista dello spirito umano, in qualunque dominio si eserciti. Essa riconosce e apprezza grandemente l’importanza delle scoperte scientifiche . . . non vi scorge soltanto un magnifico uso dell’intelligenza; ma vi scopre inoltre l’esercizio di alte virtù morali, che conferiscono allo scienziato l’aspetto e il merito di un asceta, talvolta di un eroe, al quale l’umanità deve corrispondere un largo tributo di lode e di riconoscenza” (Paolo VI, Allocutio ad Pontificiam Academiam Scientiarum, 23 aprile 1966: Insegnamenti di Paolo VI, IV [1966] 199). 

A voi, o Signori, uomini di pensiero e di scienza, pellegrini della verità, esploratori nelle diverse branche della scienza e del sapere dell’uomo e dell’universo, a voi che vi sottomettete alla fatica dell’osservare, del pensare, del cercare, affinché l’uomo sia sempre più uomo e trovi nella natura l’ambiente del suo sviluppo, a voi chiedo di lavorare per la giustizia, l’amore e la pace e di credere che, oggi come mai nella storia, la Chiesa cattolica è la vostra alleata, la Chiesa che ama la vera scienza e il retto pensare, la Chiesa che prega per voi e nella mia persona, rispettosa delle vostre credenze, invoca su ognuno di voi la benedizione di Dio.