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Della Creazione

San Giovanni della Croce
1591

Poesie in Opere (1959)

Fra le poesie del mistico spagnolo san Giovanni della Croce (1542-1591), proponiamo questo testo, dedicato alla creazione, come esempio di prospettiva cristocentrica rinascimentale. Ricollegandosi al pensiero di alcuni Padri, Atanasio di Alessandria (295-373) e Massimo il Confessore (580-662) in particolare, ed in continuità con l’intuizione di Giovanni Duns Scoto  (1265-1308) circa il rapporto fra il Verbo incarnato e la creazione, san Giovanni della Croce immagina un mistico sposalizio fra il Verbo e il creato, premessa dello sposalizio fra il Verbo e l’essere umano (incarnazione), fra il Verbo e la Chiesa (presenza sacramentale). L’umanità di Gesù Cristo preesiste misteriosamente alla creazione, che Dio Padre inaugura per Amore del Figlio, allo scopo di consegnarla in dono a lui, come condizione di possibilità della sua umanità glorificata. Siamo di fronte ad una prospettiva cristocentrica, comune anche ad altri autori, secondo la quale l’intero “allestimento” della creazione è orientato non soltanto alla comparsa dell’uomo, ma anche all’incarnazione del Verbo-Figlio, che assume la natura umana quale frutto della paziente attesa dell’intero creato.

8

«Una sposa che t’ami o mio dolcissimo
Figliolo, ti vo’ dar,
che tua mercè s’abbelli, e così meriti
sempre con noi restar.

 

Vo’ che seduta al desco mio medesimo,
sappia qual bene ho in Te,
e che rapita da tue eccelse grazie
goda anch’essa con me».

 

«Deh! si faccia, o mio Padre, disse il Figlio,
si faccia pur così;
e a colei che tra tutte il tuo consiglio
in mia sposa aggradì,
 
La mia vaghezza e il mio chiaror medesimo
in dote sua darò,
 affinché Te conosca e da Te sappia
venire il ben ch’io ho.

 

Reclinar la faro sovra i miei omeri,
e d’amor arderà,
sublimate in un santo eterno gaudio
per somma tua bontà».

 

9

«Facciasi dunque, disse il Padre allora,
come Tu meriti». E raggiante e bello
tosto dal nulla balzò il mondo fuora.

 

Era un superbo e ben adorno ostello
tutto in sapienza per la sposa eretto,
in due spazi diviso: ricco quello

 

che in alto s’apre per incanto eletto;
popolato quell’altro ch’è più in basso
d’un ordine di cose men perfetto.
 
E poi, perché la sposa, passo passo
conosce lo sposo e il suo valore,
essendo per natura in sé più crasso,

 

di sotto pose l’uomo; e nel fulgore
di quello più in sublime collocate,
degli Angeli costrusse le dimore.

 

Quantunque l’un dall’altro separato,
un corpo solo tra di loro si fanno,
congiunti assieme in così dolce stato

 

dall’alto amor che senza invidia e affanno
incentra entrambi nello stesso Sposo:
quelli di sopra in quanto che già l’hanno,

 

e quei di sotto in quanto che un ascoso
senso li accerta che li avranno anch’essi.
A questi intanto con un suon gioioso

 

Parla l’Eterno, ed ai loro cuor oppressi:
«Giorno, dice, verrà che il vostro stato
i’ degnerò dei miei soave amplessi.

 

Più alcuno allor vi sprezzarà: l’usato
splendor deposto, fatto a voi simile
sulla terra con voi sarò ospitato.

 

Un uomo allora sarà Dio; e umile
l’uom vedrà seco conversare Iddio
sopra la terra non più bassa e vile.

 

Appagando per giunta un voto mio,
sino alla fine, sotto oscuro veio,
in ricordo lasciarmi a voi desìo.

 

E quando poi fra lo splendor del cielo
tutti potremo ritrovarci stretti?
Capo alla Sposa come i’ son, anelo

 

di unirle i figli, i membri suoi, gli eletti.
Allora serrata sul mio ardente cuore,
l’inonderò dei miei divini affetti.

 

Poi, presentata al sommo pio Fattore,
Ei lieta la farà di sua amicizia.
Come il Padre il Figliuolo e il Santo Amore

 

Vive l’un nell’altro e si delizia,
Così, in quei Tre sommerso ogni desìo,
vivrà per tutti i secoli in letizia
la stessa vita che si vive Iddio».

         

Nazareno dell’Addolorata O.C.D (a cura di), San Giovanni della Croce, Opere, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1959, pp. 986-989