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Indipendenza e originalità della persona di Gesù di Nazaret

Karl Adam
1934

Gesù il Cristo

In questo brano, il teologo tedesco Karl Adam esamina i motivi secondo i quali la storia di Gesù di Nazaret e la sua personalità non sembrano potersi dedurre da fonti già esistenti o da nuove costruzioni religioso-culturali, ma paiono piuttosto inaugurare un accadimento del tutto originale. I tratti caratteristici della persona di Gesù, come trasmessi dai Vangeli, non sembrano mutuati dalle tradizioni elleniche o da un generico contesto politetista, rendendo sensato l’interrogativo su quale sia la vera identità di quest’uomo.

La sostanza della fede cristiana e qualcosa di completamente nuovo nella storia: per questo, in nessun modo, può essere considerata come creazione umana, o come espressione prodotta dalla fede della stessa comunità cristiana.

Sarebbe, per sé, certamente pensabile che la forza della leggenda o della pia credenza, oppure il culto entusiasta di un eroe, o, se si vuole, una consapevole arte letteraria, possa giungere ad innalzare e a glorificare talmente un personaggio puramente umano, da fame una divinità. In questo caso, un processo puramente naturale e spontaneo, oppure voluto dall'arte, avrebbe dato origine all'apoteosi d'un essere puramente umano. Ma sul terreno delle concezioni cristiane, non v'era posto per tale apoteosi.

Infatti nella fede nel Cristo non v'e indizio di glorificazione progressiva, non si tratta già della divinizzazione d'un essere puramente umano, ma piuttosto della professione di fede religiosa in un essere che è e rimane integralmente, completamente, nettamente uomo. Il mistero di tale fede sta appunto in questo: nel fatto che questa integra e completa natura umana e unita personalmente con la divinità.

Il nucleo centrale della fede cristiana sta proprio in questo paradosso: «Un uomo completo e vero, e, nondimeno, Figlio di Dio! ».

Proprio per questo mancava agli evangelisti, agli apostoli e alla loro comunità di fedeli qualsiasi stimolo dogmatico per glorificare, per innalzare comunque fino alla divinità la figura umana di Gesù.

Il loro interesse dogmatico invece converge piuttosto verso la bassezza dell'umanità, verso il fatto che quest'uomo, Gesù, proprio come noi è nato e muore, proprio come noi soffre fame e sete, proprio come noi e afflitto e piange.

Nella storia delle religioni manca qualsiasi parallelo ad una fede siffatta che crede all'integra umanità del Figlio di Dio. In quelle religioni in cut frequentemente accadono delle divinizzazioni, troviamo che l'elemento umano viene dal divino e scompare in esso. Quando Antinoo, favorito dell'imperatore Adriano, morì affogato nel Nilo, fu subito adorato come trasfigurato in Osiride. Non altrimenti accadde nel culto di Simone, di Menandro e di Eichasai.

Il risultato della metamorfosi non era un uomo-dio, ma solo la divinità, la pienezza della divinità. I Kyrioi delle comunità unite per la celebrazione dei misteri pagani non stanno affatto, come il Verbo fattosi uomo, tra Dio e gli uomini, Essi non sono la via che conduce al Padre, i mediatori. Essi stessi sono l'apparizione della divinità. Per questo lo scopo fondamentale cui tendeva la mistica pagana della salvezza non consisteva nell’unione dell'essere col mediatore, al fine di raggiungere per mezzo suo la divinità, ma consisteva nella divinizzazione del mistero in senso assoluto. Il consacrato stesso diventa Iside o Mitra.

Per tale divinizzazione mancava al Cristianesimo qualsiasi fondamento, perche il suo Cristo e, e rimase, pienamente e completamente uomo, e, appunto per mezzo della sua umanità, opera la salvezza.

Altra divergenza fondamentale: il Dio che e unito con  questa umanità, per i cristiani non e un Dio, uno tra i molti dei o dee, uno tra i mille possibili intermediari fra gli esseri: terrestri e il Dio supremo. Il Dio, che e Cristo, e nella sua unione col Padre e con lo Spirito Santo il solo Dio, l'unico Dio del cielo e della terra: Deus solus.

Il solo, l'unico Dio dell'Antico Testamento si continua: qui, in quest'uomo, che è Figlio di Dio sulla terra. In nessun luogo, in tutto l'ambito della storia delle religioni, si trova quest'unico Dio e quest'unico Cristo.

In questo concetto cristiano sta la seconda nota caratteristica che lo distingue da tutti i pretesti paralleli desunti dalla storia delle religioni.

Sempre e dovunque nelle antiche leggende entravano delle divinità sotto forma umana, si trattava di dei, non dell'unico Dio. Tutte queste figure di dèi nascevano da concezioni a fondo politeistico o panteistico. Erano tutte forze della natura proiettate nell'infinito, erano una Natura risultante dalla loro fusione, non erano il Signore, il Creatore della natura. Perciò erano alla mercé della loro essenza puramente naturale, erano soggette per necessita naturale al divenire, al Fato e ai suoi voleri come le altre creature.

Ben altrimenti il Verbo Eterno che, secondo la professione di fede cristiana, e apparso nel Cristo. Egli è Dio da Dio, Lume da Lume. Nelle eterne relazioni della vita divina Egli precede oggi, domani, in tutti i tempi dal seno del Padre, e ne esprime l'essenza nella sua propria Persona sussistente. Egli è il Figlio uguale per natura al Padre, è l'immagine riflessa, e lo splendore del Padre. Il mistero del Cristo per la fede cristiana sta in questo, che la sua natura umana riceve la sua individualità, la sua sussistenza, la sua personalità da questo Verbo divino eguale per natura al Padre e allo Spirito. Il Cristo rimane si un uomo in tutto completo, ma Egli ha la sua più profonda realtà nel Verbo divino. Per questo, quando i Cristiani chiamano «Dio» il Verbo Incarnato, questo «Dio» è infinitamente diverse da tutte le divinità pagane.

Potremmo dire ch'Egli è al-di-là, sostanziale di tutte le forze e di tutte le figure della natura, di tutti gli dèi e le dee, di tutti gli angeli e gli uomini, è l'Essere eternamente identico, che riposa assolutamente in Se stesso, che non ha nessuna specie di rapporti di dipendenza dal mondo e che quindi giammai potrà divenire una parte di questo mondo. Per questo appunto tale Dio dei Cristiani non può tramutarsi come gli dei e le dee dell'ellenismo, in altre figure divine. Egli è col Padre e collo Spirito il grande Unico, l'Esclusivo per essenza: Deus solus.

Qui non v'è nesuno punto di contatto con la fede negli dèi del paganesimo. La pretesa di trattare alla stessa stregua lo theós ellenistico e lo theós cristiano dev'essere qualificata una grossolana confusione o falsificazione di sensi o di concetti. Il loro contenuto è talmente diverso, anzi opposto, quanto lo sono cristianesimo e paganesimo, teismo e panteismo.

Per tre secoli i Cristiani a motivo di questa stridente opposizione hanno sofferto i più sanguinosi martiri. E quando la concezione ellenistica voleva penetrare nel Cristianesimo come talvolta accadde, sotto forma velata, presso l'uno o l'altro apologeta, e poi, più tardi, gettando i veli coll’arianesimo allora l'antica fede, dall'intimo della sua volontà di vita, reagì energicamente.

Allora l'antica fede, in una lotta aspra e quasi disperata contro la forza dello Stato e degli spiriti sacrificò la vita, l'onore, la patria dei migliori eroi fino a raggiungere la vittoria, fin quando il dogma della divinità del Figlio di Dio, della sua essenziale eguaglianza col Padre, non ottenne il riconoscimento universale.

È uno scandalo che disonora la scienza quello di trascurare questi fatti, e, col pretesto della medesima espressione theós di avvicinare l'Incarnazione di Cristo alle incarnazioni pagane.

Ma tale fede nel Figlio di Dio, come non riceve luce dall'ellenismo, cosi non può affatto spiegarsi come una derivazione dal giudaismo. È noto che il popolo giudaico era seriamente e pienamente persuaso della sua fede nell’unico Dio. Esso conservava con zelo geloso, tra la molteplicità degli dèi pagani, il monoteismo rigoroso, come il più prezioso tesoro nazionale.

Per questo appunto la sua mentalità puramente umana doveva essere molto lontana dall'idea che quest'unico Dio viva una vita trinitaria come Padre, Figlio e Spirito.

Ogni giorno i Giudei devoti pregavano nel loro Shemá:

«Ascolta, Israele: il Signore, tuo Dio, è l'unico Dio».

Da secoli era incisa profondamente nella loro coscienza questa idea: Jahvè non ha né moglie né figlio.

Per questo il messaggio dei primi cristiani, che annunciava un Figlio di Dio, apparso come autore della vita tra gli uomini, e da loro ucciso, doveva sembrare ai Giudei una mostruosa bestemmia. Al solo udirlo non potevano far altro che gridare, stracciandosi le vesti: «Scandalo, scandalo! ».

I primi cristiani, già appartenenti essi stessi al giudaismo, da se stessi non avrebbero mai ritenuto lecito o possibile, non sarebbero mai stati capaci di osare tale confessione di fede, se tale fede nuova non fosse arrivata nell'animo loro, con una certezza irresistibile, dall'esterno, dal Gesù storico, ch'era vissuto con loro.

Il messaggio che presenta il Cristo come uomo e, insieme, come Figlio di Dio era completamente estraneo a tutte le attese messianiche dei pagani o dei Giudei. Anche i termini sacri di Salvatore, di Redentore Divino, che abbracciano assieme Dio e l'uomo, hanno un senso totalmente diverso da quello inteso allora comunemente. È impossibile cercarne la fonte nel paganesimo o nel giudaismo.

È vero che da alcuni, ai margini del popolo giudaico, nei circoli degli apocalittici si fantasticava d'un celeste Figliuol dell'Uomo, che doveva venire suite nubi del cielo. È vero anche che talvolta si alzarono voci invocanti questo celeste Figliuolo dell'Uomo, identificato nel « servo di Dio » descritto da Isaia, che scende in lotta per il popolo suo. Ma tali voci risuonavano inascoltate.

La gran massa del popolo giudaico e, in primo luogo, i suoi capi appartenenti ai partiti dei Farisei e dei Sadducei professavano, con tutto il vigore del loro egoismo nazionale, la fede in un Messia di gloria, che avrebbe fatto dei popoli pagani lo sgabello dei suoi piedi. Completamente estranea era allora per la teologia giudaica l'idea d'un Messia paziente.

Quando questo Messia fu trascinato dinanzi a loro, coperto di catene e di oltraggi, e nondimeno parlo della sua futura venuta sulle nubi del cielo sembro loro che la bestemmia fosse spinta al colmo. «Crocifiggilo! », fu la loro unica risposta.

La Croce di Gesù dimostra, con la sua sanguinosa evidenza, quanto estranea, quanto ostile fosse per il pensiero e la mentalità giudaica la fede dei Cristiani in un Salvatore. Era quindi psicologicamente impossibile che tale fede nascesse dal grembo giudaico, dal seno di quella antica comunità di Gerusalemme.

Ma neppure l’ellenismo pagano vi aveva contribuito. Ciò che per i Giudei era scandalo, per i pagani era stoltezza e follia. Come mai il Figlio di Dio, uguale al Padre per natura, questo Dio, unico e solo, adorato dai Cristiani, avrebbe potuto patire e morire? Si conoscevano sì, antichi e nuovi misteri in cui si trattava di salvatori divini che soffrono e muoiono. Ma la fede cristiana in un Dio unico non parlava di miti siffatti; invece il pensiero politeistico-monistico ammetteva l'esistenza di potenze celesti, superiori, ma insieme imperfette e soggette alle vicende del Destino, ammetteva l'esistenza di dèi e di dee.

Non si trattava, come nel Cristianesimo, di un Salvatore dell'umanità, che liberamente dà la sua vita per le moltitudini; ma di sogni vaghi riguardanti esseri celesti sfortunati, per i quali il morire e il risorgere era una tragica necessità imposta loro dal Destino; essi non accettavano liberamente la morte per la salvezza dell'umanità, ma la soffrivano loro malgrado. Finalmente tutte queste figure di salvatore si perdevano nelle lontane nebbie delle leggende. Emergevano dal grigiore di lontani tempi: nulla v'era in essi di storicamente controllabile.

I cristiani invece non volevano saperne di questi sogni. Con tutta serietà professavano la loro fede in un carpentiere di Nazareth, in un uomo vissuto poco tempo innanzi, crocifisso come un malfattore da Ponzio Pilato. Essi confessavano: «Quest'uomo è il Salvatore divino». Tutto ciò costituiva per i pagani qualcosa di incredibile, una inaudita follia e stoltezza.

No, né i Giudei né gli ellenisti avrebbero mai potuto coi propri mezzi arrivare a quella figura del Cristo, che brilla e rifulge net Vangeli. La teoria che vuol cercarne le origini nella forza creatrice della fede della comunità risulta, dal punto di vista storico, falsa e ingannatrice. Aggiungiamo: se la commovente realtà, la singolarità di quest'avvenimento indicibilmente sublime della vita di Gesù non si fosse manifestata con evidenza sul suolo di Galilea, nessun cervello umano avrebbe mai potuto pensare una tal vita, nessuna ingegnosità avrebbe mai potuta comporla.

   

Da Karl Adam, Gesù il Cristo, tr. it. di Pietro de Ambroggi, Morcelliana, Brescia, 1995, 16 ed.,  pp. 74-79.