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La verità storica dei Vangeli

Pontificia Commissione Biblica
21 aprile 1964

Istruzione De historica Evangeliorum veritate, 21 aprile 1964, n. 2

L'esegeta, per affermare la fondatezza di quanto i vangeli ci riferiscono, badi con diligenza a tre stadi attraverso i quali l'insegnamento e la vita di Gesù vennero a noi. Cristo Signore si scelse dei discepoli [cf. Mc 3,14; Lc 6,13], i quali lo seguirono fin dall'inizio [cf. Lc 1,2; At 1,21-22], ne videro le opere, ne udirono le parole e furono così in grado di divenire testimoni della sua vita e del suo insegnamento [cf.Lc 24,48; Gv 15,27; At 1,8; 10,39; 13,31]. Il Signore, nell'esporre a voce il suo insegnamento seguiva le forme di pensiero e di espressione allora in uso, adattandosi per tale modo alla mentalità degli uditori e facendo sì che quanto egli insegnava si imprimesse fermamente nella loro mente e potesse essere ritenuto con facilità dai discepoli. I quali intesero bene i miracoli e gli altri eventi della vita di Gesù come fatti operati e disposti allo scopo di muovere alla fede nel Cristo e di farne abbracciare con la fede il messaggio di salvezza.

Gli apostoli annunziavano anzitutto la morte e la resurrezione del Signore, dando testimonianza a Gesù [cf. Lc 24,44-48; At 2,32; 3,15; 5,30-32], di cui riferivano con fedeltà episodi biografici e detti [cf. At10,36-41], tenendo presenti nella loro predicazione le esigenze dei vari uditori [cf. At 13,16-41; At 17,22-31]. Dopo che Gesù risuscitò dai morti e la sua divinità apparve in modo chiaro [ At 2, 36; Gv 20,28], non solo la fede fece dimenticare la memoria degli avvenimenti, ma anzi la consolidò, poiché quella fede si fondava su ciò che Gesù aveva fatto e insegnato [ At 2,22; 10,37-39]. A causa del culto con cui poi i discepoli onoravano Gesù come Signore e Figlio di Dio, non si verificò una sua trasformazione in persona “mitica”, né una deformazione del suo insegnamento. Non è tuttavia da negarsi che gli apostoli abbiano presentato ai loro uditori quanto Gesù aveva realmente detto e operato con quella più piena intelligenza da essi goduta [cf. Gv 14,26; 16,13] in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità [ Gv 2,22; 12, 16; 11,51-52, cf. 14,26; 16,12-13; 7,39]. Ne deriva che, come Gesù stesso dopo la Sua resurrezione “interpretava loro” [ Lc 24,27] le parole sia del vecchio testamento come le sue proprie, [cf. Lc 24,44-45; At 1,3] così essi ne spiegarono i fatti e le parole secondo le esigenze dei loro uditori. “Costanti nel ministero della parola” [ At 6,4], predicarono con modi di esporre adatti al loro fine specifico e alla mentalità degli uditori; poiché erano debitori [ Rom 1,14] “ai greci e ai barbari, ai sapienti e agli ignoranti” [1 Cor 9, 19-23]. Questi modi di esporre, usati nella predicazione avente per il tema il Cristo, vanno individuati ed esaminati: catechesi, narrazioni, testimonianze, inni, dossologie, preghiere e altri simili forme letterarie, che compaiono nella sacra scrittura ed erano in uso fra gli uomini di quella età.

Codesta istruzione primitiva fatta dapprima oralmente e poi messa per iscritto — difatti subito avvenne che molti si provassero “a ordinare la narrazione dei fatti” [cf. Lc 1,1] che riguardavano il Signore Gesù — gli autori sacri la consegnarono nei quattro vangeli per il bene della Chiesa, con un metodo corrispondente al fine che ognuno si proponeva. Fra le molte cose tramandate, ne scelsero alcune; talvolta compirono una sintesi, tal'altra, badando alla situazione delle singole chiese, svilupparono certi elementi cercando con ogni mezzo che i lettori conoscessero la fondatezza di quanto veniva loro insegnato [cf.Lc 1,4]. Invero fra tutto il materiale di cui disponevano, gli agiografi scelsero in modo particolare ciò che era adatto alle varie condizioni dei fedeli e al fine che si proponevano, narrandolo in modo da venire incontro a quelle condizioni e a quel fine. Dipendendo il senso di un enunciato dal contesto, quando gli evangelisti nel riferire i detti e i fatti del Salvatore presentano contesti diversi, è da pensare che ciò fecero per utilità dei lettori. Perciò l'esegesi ricerchi quale fosse l'intenzione dell'evangelista nell'esporre un detto o un fatto in un dato modo o in un dato contesto. Invero, non va contro la verità del racconto il fatto che gli evangelisti riferiscano i detti e i fatti del Signore in ordine diverso [cf. s. Giovanni Cris., In Mat. Hom .. I, 3: PG 57,16-17], e ne esprimano i detti non alla lettera, ma con qualche diversità, conservando il loro senso [cf. s. Agostino, De Consensu Evang ., 2, 12, 28: PL 34, 1090-1091]. Dice infatti s. Agostino: “È probabile che ogni evangelista si sia creduto in dovere di narrare con quell'ordine che Dio volle suggerire alla sua memoria quelle cose che narrava: ciò vale riguardo a quelle cose nelle quali l'ordine, qualunque esso sia, nulla toglie all'autorità e alla verità evangelica. Perché poi lo Spirito santo distribuendo i suoi doni a ciascuno come gli pare [ 1Cor 12,11], e perciò anche governando e dirigendo la mente dei santi destinati a un così alto culmine di autorità, nel richiamare le cose da scriversi, abbia permesso che ognuno disponesse il racconto a modo suo, chiunque cerchi con pia diligenza lo potrà scoprire con l'aiuto divino” [ De Consensu Evang ., 2, 21,51ss.: PL 34, 1102].

Se l'esegeta non porrà mente a tutte queste cose che riguardano l'origine e la composizione dei vangeli e non farà il debito uso di quanto di buono gli studi recenti hanno apportato , non adempirà il suo uffizio di investigare quale fosse l'intenzione degli autori sacri e che cosa abbiano realmente detto. Dai nuovi studi risulta che la vita e l'insegnamento di Gesù non furono semplicemente riferiti col solo fine di conservare il ricordo, ma “predicati” in modo da offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi; perciò l'esegeta scrutando diligentemente le testimonianze degli evangelisti sarà in grado di illustrare con maggior penetrazione il perenne valore teologico dei vangeli, e di porre in piena luce di quale necessità e di quale importanza sia l'interpretazione della Chiesa.

Restano molte cose, e di grande importanza nella cui discussione e spiegazione si può e si deve liberamente esercitare l'ingegno e l'acume dell'interprete cattolico, perché ognuno per la sua parte rechi il suo contributo a vantaggio di tutti, a un progresso della sacra dottrina, per preparare il giudizio della Chiesa e documentarlo, a difesa e onore della Chiesa [cf. Pio XII, litt. Enc. Divino afflante Spiritu,30.9.1943: DH 3831]. Sia tuttavia disposto ad obbedire al magistero della Chiesa, né dimentichi che gli apostoli predicarono la buona novella ripieni dello spirito santo, che i vangeli sono stati scritti sotto l'ispirazione dello Spirito santo, il quale ne preservava gli autori da ogni errore. “Invero, non per mezzo d'altri abbiamo noi conosciuto l'economia della salvezza, se non per mezzo di coloro attraverso i quali ci venne il vangelo: (vangelo) che prima predicarono, poi, per volontà di Dio, ci tramandarono nelle Scritture, destinato a essere colonna e fondamento della nostra fede. Non si può infatti dire che abbiano predicato prima di avere una cognizione perfetta, come alcuni osano dire, gloriandosi di essere i correttori degli apostoli. Infatti, dopo che il Signore risuscitò dai morti ed essi furono rivestiti dall'alto della virtù dello Spirito disceso su di loro, furono edotti intorno a tutte le cose ed ebbero una conoscenza perfetta: partirono poi per i confini della terra per proclamare i beni che ci vengono da Dio e per annunziare la celeste pace agli uomini, possedendo tutti e singoli il vangelo di Dio [s. Ireneo, Adv. Haer ., III, 1,1: PG 7, 844]”.

   

Istruzione De historica Evangeliorum veritate, 21 aprile 1964, n. 2, tr. it. in Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 1992, vol. 2, nn. 154-158.