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Il senso del lavoro umano

Papa Paolo VI
24 febbraio 1966

Un incontro tenuto con un gruppo di lavoratori preso lo stabilimento chimico-farmaceutico ICAR di Roma offre a Paolo VI la possibilità di svolgere alcune considerazioni sul significato del lavoro e della tecnologia nei piani di Dio e sulla percezione intima nello spirito che il ricercatore coglie quando studia le profondità della materia

Il Santo Padre è lieto di incontrarsi con i diletti figli e ringraziarli della loro accoglienza. Ha desiderato di conoscerli, di prendere contatto con loro, e nel vederli così numerosi, così cordiali, sente una grande consolazione.

Vorrebbe che ognuno portasse nella sua vita il ricordo di essere stato personalmente salutato dal Papa, che è lì per loro e rivolge il Suo pensiero ad un complesso tanto imponente di lavoro e di comunità operosa.

Non credano che gli ecclesiastici vivano con gli occhi rivolti al passato, siano assenti alla nostra epoca e non la comprendano e non vogliano parteciparvi. Essi, invece, hanno gli occhi aperti, per ammirare i grandi complessi tecnici ed economici che assicurano la vita e il lavoro e poi, come è stato detto poco prima, lavorano non solo per sé, ma per produrre cose che vanno a beneficio della società e salvano tante esistenze umane; giacché nulla è più provvidenziale del farmaco per guarire malanni che altrimenti sarebbero fatali.

Sempre vivo nella Chiesa l’amore ai lavoratori

Il Papa pertanto guarda con immensa simpatia al loro sforzo organizzato, scientifico, che tende a suscitare esteso bene per tutti.

Dovrebbe anche ricordare che ha conosciuto il conte Armenise, e proprio in un momento difficile della opera da lui svolta, verso la fine della guerra. Il conte si recò varie volte a trovarlo, e fu tanto buono da porre a disposizione Monte Cavo, che era di sua proprietà, dove, così, si svolse il Campo nazionale degli Scouts. E questo bastò perché il Papa avesse ammirazione per un uomo di così grande e geniale capacità lavorativa e di tanta bontà, tutto avendo in animo di rivolgere - oltre che per le sue imprese - a fare del bene agli altri, ed opere utili alla vita pubblica.

Il Santo Padre sa che, tra le cose gentili previste, c’è una visita agli impianti. Egli non è qui competente e non si intende troppo di chimica, ma ne sa abbastanza per apprezzare, per compiacersi dello stabilimento che gareggia con tanti altri di Europa e del mondo.

Tuttavia, non è questa la vera ragione della visita. Il Papa è venuto, sì, perché ha trovato non solo le porte, e pur i cuori aperti, ma anche perché conosce la efficiente varietà delle maestranze.

Il reale motivo della sua presenza è che il Concilio, durato quattro anni con la partecipazione dei Vescovi di tutto il mondo - circa duemila e cinquecento - ha esaminato e discusso le cose della vita e della Chiesa, si è interessato dei lavoratori, dei fenomeni che riguardano l’esistenza; ha osservato, meditato e, in certo senso, sofferto guardando il panorama umano, la società, come adesso si attua e, in modo speciale, il fenomeno più notevole nella società moderna: il lavoro organizzato.

Dal lavoro artigianale od agricolo, personale, si è passati a sistemi di lavoro che interessano migliaia di persone innestate in grandi complessi, perché è sopravvenuto un elemento nuovo che prima mancava: la macchina, sostituitasi alle mani dell’uomo. Un secolo fa, ad esempio, l’Africa, eccettuata la zona vicina al Mediterraneo, non conosceva, nella maggioranza delle altre regioni, la ruota; e ciò significava non avere mezzi di trasporto, non avere strade, ed essere ancora a uno stadio di civiltà molto primitiva.

Ricordata l’importanza degli strumenti e degli attrezzi di lavoro, primo fra tutti l’aratro, il Papa illustra le conseguenze, e l’impulso, la spinta al progresso allorché alla macchina, prima manovrata dall’uomo, si poté applicare una energia; un risparmio ingente di fatica.

Ciò arreca grandi fenomeni, che di per sé sarebbero estranei non riguardando la Chiesa o la fede. Eppure il lavoro industriale tocca profondamente la psicologia dell’uomo, la sua mentalità, condizionata dall’ambiente in cui viviamo e dall’attività svolta.

Le trasformazioni delle attività umane

Ecco perché il Papa ha vivissimo interesse ai problemi del lavoro. Non solo i presenti risentono di questa condizione, ma tutta la popolazione dell’Italia e del mondo, si può dire, impegnata nel lavoro organizzato, scientifico, industriale, è, quindi, influenzata dalla macchina e dai fenomeni che la macchina produce.

Pertanto Colui che il Signore ha voluto fosse Maestro delle anime, Pastore dei popoli, Guida dei cristiani, è profondamente desideroso di sapere che cosa il lavoro produce nelle loro anime.

Il sorgere di uno stabilimento, di una centrale di lavoro, produce, come primo fenomeno, proprio la ricerca del lavoro. Il Santo Padre ricorda che, nel dopoguerra, allorché andava a portare qualche soccorso in zone depresse, più volte si incontrò con gente, con giovani che chiedevano ansiosamente lavoro, ma non erano preparati professionalmente.

Tanta gente ha lasciato i campi, la famiglia anche, per andare in città: la ricerca di lavoro, anzi, ha mosso milioni di persone, che si sono spostate, divenendo esuli, immigrati nelle grandi città ove non avevano conoscenze. Abbiamo assistito ed assistiamo al passaggio dalla società ove prevaleva il lavoro agricolo, all’altra, caratterizzata dal lavoro industriale. La Chiesa guarda con sollecitudine, con amore, e comprende; accompagna quanti cercano un tenore di esistenza più elevato; molto ha fatto per gli emigrati; e cerca sempre di seguirli e di proteggerli.

Anche le donne passano in una nuova forma di vita, divengono direttamente responsabili in determinati settori, capaci di un lavoro diverso da quello domestico. La Chiesa fa il possibile per ridare una comunità all’operaio, all’operaia che ha lasciato la casa, la parrocchia, il paese, l’ambiente nativo, perché ci sia ancora qualcuno che accolga, conosca, sorregga, orienti.

Precedentemente il lavoro era basato sul contratto individuale e questa povera gente, che andava in mezzo alle folle della città, rimaneva tanto sola. Ora è diverso: ma sempre la Chiesa ha pianto su questi figli che ama, e fa tutto quello che può per ridare loro la casa spirituale, il tempio, le associazioni; apre loro le braccia, il cuore e desidera che nessuno si senta estraneo e forestiero nel nuovo ambiente.

Organizzazione moderna ed esigenze spirituali d’ogni tempo

Il lavoro moderno ha prodotto felicità?

La caratteristica saliente è che si è ingrandito, accentuato il fatto economico, come il salario, e gli aspetti sociali: la società si è suddivisa in classi, che non vanno d’accordo; l’attrito inasprisce e arroventa i rapporti tra gli uomini; e specialmente all’inizio del periodo industriale la lotta di classe è diventata comune, perché i rapporti di lavoro non erano regolati ed ancora non lo sono completamente.

«Vediamo – diceva Leone XIII – che la condizione di tanti operai è poco meno che una schiavitù»; da tale asprezza di rapporti è nato il proletariato. La Chiesa è stata calunniata, ma la verità è che essa, nelle sue sfere più autorizzate e rappresentative, ha guardato con cuore materno e si è avvicinata all’operaio che soffre ed ha riconosciuto legittimo il suo anelito per migliorare le sue condizioni, per adeguare il salario alle necessità familiari, per avere una casa, modesta ma decorosa. La Chiesa è alleata, è comprensiva di tutto questo impegno di elevazione sociale.

È quello che la Chiesa ha detto agli operai, invitandoli non a irose e sterili querimonie, che ritardano il progresso, ma a trattare; mentre agli imprenditori - tante volte il Papa ha avuto occasione di fare questo a Milano - ha ricordato che non basta il salario, ma che produttori e dirigenti devono mettersi a fianco dei lavoratori, e farsene non dei forzati, lontani strumenti, ma degli amici, dei collaboratori. Ecco l’ideale che la Chiesa ha sempre propugnato a vantaggio dell’economia generale e sociale. E questo processo di elevazione sociale ed economica la Chiesa lo rivendica per i lavoratori; ogni volta che c’è un’aspirazione legittima, onesta ed umana che deve essere accolta, essa lo proclama quale inalienabile diritto, e si pone vicina all’operaio.

«Più studio la materia, più trovo lo Spirito»

C’è un altro fenomeno ancora: quali effetti sono prodotti dal lavoro industriale? Se l’uomo si mette a studiare, ad applicare le conquiste della sua scienza alle macchine, compie cose mirabili, e nasce in lui una grande soddisfazione di sé; così pensa di poter bastare a se stesso e che la ragione può essere soddisfatta dai risultati di una mentalità che potremmo definire matematica.

E tutto il resto potrebbe non esistere più; la vera filosofia della vita potrebbe essere la scienza; e allora si sente dire che la scienza è contro la fede.

La Chiesa dichiara di non aver prevenzioni contro la scienza; anzi, ha cercato sempre di favorirla e di stimolare il pensiero umano; la Religione Cristiana è sorgente di energie per pensare bene, per divenire coscienti, per capire le cose, per guardare che cosa veramente si deve conoscere e si deve fare.

Ora, quando l’uomo dice che la scienza è tutto, la Chiesa risponde che la scienza è una scoperta perché a forza di osservare, di indagare finisce per scoprire, per vedere l’essenza delle cose e la loro reale natura. Un celebre scienziato affermava: più studio la materia più trovo lo spirito. Chi scruta nella materia vede che esistono delle leggi; questo mondo che sembrava opaco, inerte, è una meraviglia, e il Papa pensa che sarà proprio la scienza - che sembra allontanare le masse, gli uomini moderni, la gioventù da Dio - a ricondurli a Dio, allorché il mondo sarà veramente intelligente e dirà: io devo rendermi ragione di quanto vedo; non io ho creato questo: il mondo è creato da Uno che ha fatto piovere la sua sapienza su tutte le cose. E il Santo Padre cita Teilhard de Chardin, che ha dato una spiegazione dell’universo e, tra tante fantasie, tante cose inesatte, ha saputo leggere dentro le cose un principio intelligente che deve chiamarsi Iddio. La scienza stessa dunque obbliga ad essere religioso, e chi è intelligente deve inginocchiarsi e dire: qui c’è Dio. I lavoratori, perciò, che hanno dinanzi a sé aspetti meravigliosi e grandi del creato, si chiedono chi ha infuso un senso di superiore presenza. Sono chiamati per primi a questo colloquio gigantesco con l’universo, a leggerlo, a viverlo. Così un operaio modello saprà far sorgere dalle sue officine, dalle sue fatiche, dai suoi sudori, dalle sue speranze, un inno a Dio, il creatore e il padre di tutti. L’uomo si domanda perché si lavora, si ama, si muore: la scienza pone interrogativi, non dà risposte. Allora occorre un supplemento di sapienza: Dio che ha detto: io sono il Maestro, la Via, la Verità e la Vita, è quel Cristo del Vangelo che non è soffocato dal progresso, non è assente dai nostri dolori e dalle nostre aspirazioni. Egli ci aspetta, ci sente, ci parla e ci chiama: è nostro amico, nostro Redentore; ha santificato le lacrime umane, ha voluto bene ai fanciulli, ha perdonato ai peccatori, è stato operaio, e deve essere nostro esempio.

Fonte del testo: L'Osservatore Romano, 26 febbraio 1966, p. 1.