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Le passioni intellettive nella ricerca

Michael Polanyi
1958

La conoscenza personale. Verso una filosofia post-critica

All’interno del suo sviluppo sul rapporto fra dimensione soggettiva ed oggettiva della conoscenza scientifica, in queste pagine tratte una delle sue opere più famose, Michael Polanyi difende il ruolo delle passioni e della vita emotiva del soggetto, sia nell’attribuire ad uno specifico oggetto di ricerca quel valore intrinseco che ne precede e motiva lo studio, sia nel consentire al soggetto di cogliere aspetti di vera conoscenza che un atteggiamento distaccato e impersonale non coglierebbe.

L'affermarsi di una grande teoria scientifica è in parte un'espressione di gradimento. La teoria ha una componente inarticolata che approva la sua bellezza, e questo è essenziale a costituire la convinzione che la teoria è vera. Nessun animale è in grado di apprezzare le bellezze intellettive della scienza.

È vero che il principio attivo della vita animale, in cui ho trovato la prefigurazione di tutte le tensioni intellettive dell'uomo, esprime già una certa passione. Köhler chiaramente dimostrò che gli scimpanzé provano piacere nello scoprire una nuova e ingegnosa manipolazione, a prescindere dai vantaggi pratici che ne derivano. Egli descrisse come questi animali erano vogliosi di ripetere l'operazione per se stessa, come una specie di gioco. W.N. e L.A. Kellogg scoprirono che un giovane scimpanzé è tanto incline quanto lo è un bambino della sua età a ripetere per gioco una manipolazione che comporta l'uso di uno strumento che ha inventato per qualche intento pratico. L'animale risulta anche tanto abile quanto il bambino ad arrampicarsi fino a un posto dove di solito si trovava di fronte al compito di risolvere dei problemi. Questi gusti intellettivi dell'animale prefigurano, senza dubbio, le gioie della scoperta che i nostri poteri articolati possono produrre per un uomo, ma nell'animale non si accostano neppure lontanamente a queste gioie per intensità e altezza. Come in noi il linguaggio rende più ampio l'ambito del nostro pensiero, così il piacere che prova la scimmia nel giocare con un bastone cresce fino a costituire un complicato sistema di risposte emozionali mediante le quali il valore e l'ingegnosità di molte specie vengono apprezzati attraverso le scienze naturali, la tecnologia e la matematica. Questa è la specie di sentimenti che sono descritti nel titolo di questo capitolo come «passioni intellettive». Prima di procedere più avanti devo notare il nuovo contesto in cui viene a collocarsi la scienza quando si bada a questo suo aspetto. Una teoria scientifica che richiama l'attenzione sulla propria bellezza e in parte fa affidamento su di essa quando dichiara di rappresentare la realtà empirica, è simile a un'opera d'arte che richiama l'attenzione sulla propria bellezza come espressione di una realtà artistica. Una teoria scientifica del genere somiglia anche ad una contemplazione mistica della natura; una somiglianza che storicamente appare nelle origini pitagoriche della scienza teorica. Più generalmente, la scienza, in virtù della sua rilevanza emozionale, trova posto fra i grandi sistemi di espressione che cercano di evocare e di imporre modi corretti di sentire. La scienza, nell'insegnare il proprio tipo di eccellenza formale, funzione come l'arte, la religione, la moralità, il diritto e gli altri costituenti della cultura.

Questa impostazione allarga di molto la prospettiva della nostra ricerca. Sebbene noi abbiamo precedentemente notato che la scienza sostiene di apprezzare l'ordine e la probabilità e di dare credito all'abilità e alla dote di intenditore che appartengono alla scienza, queste componenti valutative della scienza sono emozionalmente senza colorito, se paragonate alle passioni intellettive mediante le quali la scienza apprezza la propria bellezza. Se la difesa di una verità scientifica richiede che noi giustifichiamo queste valutazioni ricche di emozione, il nostro compito cresce inevitabilmente anche per giustificare quelle valutazioni egualmente ricche di emozione su cui poggia l'affermazione dei vari settori della cultura. Perciò la scienza non può sperare di sopravvivere su un'isola di fatti positivi, intorno alla quale il resto dell'eredità intellettiva dell'uomo venga sommerso nella condizione di emozionalità soggettiva. Essa deve ammettere che certe emozioni sono giuste e, se può far trionfare questa ammissione, non solo salverà se stessa, ma col proprio esempio sosterrà l'intero sistema della vita culturale di cui è parte.

Pur accettando l'innegabile solidarietà che lega la scienza alle altre province della cultura, in questo libro dovrò realizzare un compromesso fra l'ammissione di una tale connessione e i limiti dello spazio che ho a disposizione. Sebbene alla fine possa risultare più facile difendere una verità più completa su basi più larghe, non posso affrontare qui questo compito nella sua interezza. Perciò mi propongo di proseguire la mia indagine nelle condizioni che servono a difendere la verità fattuale, facendo solo alcune digressioni occasionali, per far vedere quali più ampie implicazioni sono presenti in ciò che andrò dicendo.

Fin dall'inizio di questo libro [ la conoscenza personale ] ho avuto occasione, in contesti diversi, di fare riferimento alla grande esaltazione che lo scienziato prova nel momento della scoperta, un'esaltazione che solo uno scienziato può sentire e che solo la scienza può destare in lui. Già nel primo capitolo ho citato il passo famoso in cui Keplero annunciava la scoperta della sua terza legge: «… niente può trattenermi; cederò al mio sacro furore». L'esplosione di tali emozioni nel corso della scoperta è qualcosa di ben noto, ma non si ritiene che influenzi il prodursi della scoperta. La scienza viene considerata come oggettivamente fondata a dispetto delle sue origini imbevute di emozionalità. Da questo momento dovrebbe essere chiaro che non sono d'accordo con una tale convinzione; adesso sono giunto al punto in cui devo parlare esplicitamente della passione che è presente nella scienza. Desidero mostrare che le passioni scientifiche non sono affatto prodotti secondari puramente psicologici, ma hanno una funzione logica che contribuisce con un elemento essenziale alla costituzione della scienza. Esse rispondono ad una qualità essenziale presente negli asserti scientifici, e quindi si può dire di loro che sono corrette o errate, secondo che noi riconosciamo o neghiamo che in tali asserti esiste tale qualità.

Qual è questa qualità? Le passioni imbevono gli oggetti di emozioni, rendendoli attraenti o repellenti; le passioni positive affermano che qualcosa è prezioso. L'entusiasmo dello scienziato che fa una scoperta è una passione intellettiva la quale dice che qualcosa è intellettivamente prezioso e, più particolarmente, che è prezioso per la scienza . Questa affermazione è parte della scienza. Le parole di Keplero che ho citato non erano un asserto di fatto, ma non erano neppure una semplice informazione sui sentimenti personali di Keplero. Esse asserivano che qualcosa di diverso da un fatto era una valida affermazione della scienza, cioè l'interesse scientifico di alcuni fatti, dei fatti che Keplero aveva appena scoperti. Affermavano che questi fatti sono di immenso interesse scientifico e saranno considerati tali finché durerà il sapere. In tale grandioso sentimento Keplero non si sbagliava. I secoli che sono passati hanno dato sempre nuovi tributi al suo punto di vista e questo avverrà, come ritengo, anche nei secoli futuri.

La funzione che qui attribuisco alla passione scientifica è quella di distinguere fra i fatti dimostrabili che sono di interesse scientifico e quelli che non lo sono. Solo una piccola parte di tutti i fatti conoscibili hanno interesse per gli scienziati e la passione scientifica serve anche come guida nella determinazione di ciò che ha più alto e di ciò che ha più tenue interesse, di ciò che è grande nella scienza e di ciò che è relativamente modesto. Intendo mostrare che questa valutazione dipende, in ultima analisi, da un senso di bellezza intellettiva, che essa è una risposta emozionale che non può essere mai definita in maniera spassionata, così come noi non possiamo spassionatamente definire la bellezza di un'opera d'arte o l'eccellenza di una nobile azione.

Una scoperta scientifica rivela una nuova conoscenza, ma la nuova visione delle cose che l'accompagna non è conoscenza. Essa è meno che conoscenza, perché è una congettura; ma è più che conoscenza, perché è una preconoscenza di cose ancora non conosciute e presentemente forse inconcepibili. La nostra visione della generale natura delle cose è la nostra guida per l'interpretazione di tutte le esperienze future. Tale guida è indispensabile. Le teorie del metodo scientifico che cercano di spiegare la determinazione della verità scientifica mediante un procedimento formale puramente oggettivo, sono destinate al fallimento. Ogni processo di ricerca che non sia guidato da passioni intellettive si dissolve inevitabilmente in un deserto di banalità. La visione della realtà, a cui risponde il senso della bellezza scientifica, deve suggerirci il tipo di domande a cui dev'essere ragionevole e interessante cercare di rispondere. Deve raccomandarci la specie di concetti e di relazioni empiriche che sono intrinsecamente plausibili e che devono quindi essere mantenuti, anche quando ci sono ragioni che sembrano contraddirli. Deve dirci anche, d'altra parte, quali nessi empirici devono essere messi da parte come puramente apparenti, sebbene ci siano ragioni in loro favore, ragioni che per il momento non siamo in grado di soddisfare in modo diverso. Di fatto, senza una scala di interessi e di plausibilità basata su una visione della realtà, niente può essere scoperto che sia di valore per la scienza; solo se cogliamo la bellezza scientifica in corrispondenza con ciò che i sensi ci danno, possiamo destare in noi quella visione della realtà.

   

Michael Polanyi, La conoscenza personale. Verso una filosofia post-critica, Rusconi, Milano 1990, tr. it di Emanuele Riverso, pp. 248-252.