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Steensen, Niels (1638 - 1686)

Anno di redazione: 
2002
Francesco Abbona

I. Cenni biografici - II. I contributi scientifici - III. Il metodo di studio - IV. La personalità e le convinzioni - V. Il pensiero filosofico - VI. Il rapporto scienza-fede.

Nel panorama scientifico del Seicento Niels Steensen occupa una posizione secondaria rispetto ai grandi nomi di Keplero, Galilei, Newton, Cartesio, Pascal, eppure è una personalità non meno geniale e certo delle più affascinanti di quel secolo così decisivo per la storia della cultura. «È uno dei grandi spiriti della sua epoca» (Gohau, 1990, p. 32). A renderlo tale non sono solo le sue scoperte fondamentali in anatomia ed in altre discipline, che lui stesso inaugura come paleontologia, geologia e cristallografia, ma soprattutto le sue qualità: spirito di ricerca, rigore di metodo, unità di pensiero e di azione, onestà e integrità di vita.

In un'epoca in cui si stavano consolidando i nazionalismi, egli percorse l'Europa con autentico spirito universale, che non ignora il paese d'origine, ma sa integrarlo in una sintesi culturale di più ampio respiro. Per questo è anche una delle personalità più rappresentative ed interessanti dell'Europa del suo tempo, di attualità anche per l'Europa di oggi.

  

I. Cenni biografici

Niels Steensen, in latino Nicolaus Stenonis, in italiano Niccolò Stenone, nacque il 1° gennaio 1638 (calendario giuliano) a Copenhagen da Steen Pedersen, discendente di una famiglia di pastori luterani, orafo e fornitore della casa reale, e da Anne Nielsdatte. Niels rimase orfano di padre all'età di 6 anni; la madre si risposò successivamente altre due volte, sempre con orafi. Di salute cagionevole, il piccolo Niels trascorse l'infanzia in compagnia di adulti, di cui seguì con curiosità le conversazioni serie e gravi, ispirate ad un luteranesimo praticato con fede e devozione. All'età di dieci anni fu avviato agli studi primari nella scuola di Notre Dame. Qui sotto la guida di appassionati insegnanti ricevette una buona educazione umanistica e letteraria, apprendendo anche nozioni di matematica e scienze naturali. La posizione della famiglia gli consentì di frequentare famiglie illustri, tra cui quella di Simon Paulli, professore di anatomia e medico personale del re. L'ambiente era austero, come suggeriscono le massime sapienziali di casa Paulli: «Uomo, ricordati dell'eternità! L'occhio di Dio è posato su di te». «Vivi pensando alla morte, il tempo passa, noi non siamo che ombre». Frequentava il laboratorio paterno, dove assisteva e spesso partecipava alle operazioni che vi si svolgevano: misura di volumi, saggi chimici, molatura di lenti, osservazioni al microscopio, costruzione di macchine idrauliche.

La vita era dura e precaria: nel 1648 era finita la guerra dei trent'anni e di lì a poco, nel 1657, sarebbe scoppiata la guerra con la Svezia. Nel 1654 la peste portò via un terzo della popolazione di Copenhagen e metà dei compagni di Stenone, ma le pratiche della carità cristiana erano vive: anche Stenone si era prodigato nella sepoltura dei compagni.

A diciott'anni si iscrisse all'Università di Copenhagen, scegliendo come campo di studi medicina e scienze naturali, mentre avrebbe preferito matematica e geometria. Tra i professori ebbe i fratelli Thomas e Rasmus Bartholin: il primo era un famoso anatomo; il secondo, allievo di Cartesio, coltivava la geometria cartesiana e le scienze naturali. Le personalità che più ebbero influenza furono però Ole Borch e Simon Paulli, entrambi cultori di scienze naturali e della sperimentazione. Il periodo era tutt'altro che favorevole agli studi: il 9 agosto 1658 Copenhagen venne posta in stato d'assedio dalle truppe del re svedese Carlo X Gustavo, per cui gli studi furono interrotti. Stenone, arruolato nella difesa della città, si dedicò nei momenti liberi alla lettura nella Biblioteca dell'Università ed in altre private. Dopo che l'assedio venne respinto (11 febbraio 1659), Stenone volle fare il punto sullo stato delle sue conoscenze e più in generale della sua vita, e stese tra l'8 marzo e il 3 luglio 1659 una specie di diario, che intitolò Chaos, testimone prezioso per comprendere la formazione e la personalità dello Stenone.

Nel 1659, terminato il triennio di studi all'Università di Copenhagen, passò a completare i suoi studi in Olanda, allora all'apogeo della potenza ed in pieno rigoglio intellettuale e culturale, con cui la Danimarca intratteneva stretti rapporti commerciali e culturali. Scelse come sede Amsterdam, dove poco dopo il suo arrivo (Pasqua del 1660) fece la prima scoperta in anatomia: il dotto che porterà il suo nome, che trasferisce la saliva dalla parotide alla cavità orale. Questa scoperta fu causa di una controversia tra lui e il suo professore, Blasius, che cercò di appropriarsene; essa si concluse solo nel 1663, con il riconoscimento della paternità a Stenone. L'esperienza di Amsterdam lo deluse, cosicché dopo aver sostenuto una dissertazione sulle acque termali, De Thermis, nel luglio dello stesso anno si trasferì a Leida, sede di una celebre Università. Qui trovò un ambiente stimolante e favorevole alle ricerche anatomiche, dove insegnavano valenti studiosi, tra cui Francesco de la Boe (Sylvius) e Jan van Horne. Nel giro di tre anni conseguì risultati ragguardevoli, consegnati in quattro dissertazioni (Observationes anatomicae), che lo imposero all'attenzione dell'Europa scientifica. Per questi meriti fu nominato dottore in medicina in absentia (4.12.1664).

Il soggiorno a Leida rappresentò un momento fondamentale anche sotto un altro aspetto. L'ambiente intellettualmente vivo e tollerante, dove gli interessi scientifici si intrecciavano con quelli filosofici e teologici, e la frequentazione di Baruch Spinoza (1632-1677) furono all'origine di un profondo ripensamento delle convinzioni religiose. La riflessione sulle sue esperienze in anatomia gli consentì di superare la crisi e di rinsaldarsi nella fede dei padri. Nella primavera del 1664 ragioni familiari lo costrinsero a ritornare a Copenhagen. Qui pubblicò tre dissertazioni, tra cui una De musculis et glandulis in cui riassunse i risultati delle sue ricerche. La mancata nomina a professore di anatomia e la morte della madre lo indussero a lasciare la città nell’agosto del 1664.

Si portò quindi a Parigi dove si trovavano alcuni suoi amici. Qui la fama di anatomo gli aprì le porte del circolo di Melchisedec Thévenot, un mecenate umanista, che raccoglieva l'aristocrazia intellettuale e scientifica di Parigi. Eseguì alcuni lavori di embriologia e numerose dissezioni, che lo fecero altamente apprezzare, e tenne una celebre conferenza sul cervello (Discours sur l'anatomie du cerveau). Anche in questo soggiorno si manifestarono i vasti interessi di Stenone, in particolare quelli religiosi, suscitati dal contatto con persone ed istituzioni cattoliche. Importanti furono i colloqui con Maria Perriquet, cugina di Thévenot, alla cui azione egli attribuì un ruolo decisivo nella sua evoluzione religiosa.

Verso la fine dell'estate del 1665 lasciò Parigi per un lungo viaggio in Francia, che lo portò tra l'altro a Montpellier. Qui conobbe W. Croone, J. Ray e M. Lister, naturalisti inglesi interessati alla geologia, che saranno fondatori o membri della Royal Society. Saranno questi studiosi a far conoscere le opere di Stenone in Inghilterra. Nel febbraio del 1666 si trasferì in Italia. Prima fu a Pisa, poi a Roma, dove conobbe Kircher e Malpighi, e quindi a Firenze, ospite del Granduca Ferdinando II, che lo nominò anatomo dell'ospedale di Santa Maria Novella. Iniziava il fecondo periodo fiorentino di Stenone, da cui usciranno notevoli scoperte ed anche profondi cambiamenti sia nella ricerca sia nella vita. L'accoglienza fiorentina fu così cordiale che Stenone definirà Firenze «la mia seconda casa». Entrò in rapporto con le menti più brillanti, che ruotavano intorno all'Accademia del Cimento e all'Accademia della Crusca: Viviani, Redi, Magalotti. A Firenze poté continuare nel 1667 gli studi anatomici e completare il secondo grande trattato sui muscoli (Elementorum Myologiae Specimen). È di questo periodo la scoperta di nuovi campi di indagine, la geologia e la mineralogia, in cui Stenone si lanciò con passione e metodo. Compì numerose escursioni geologiche, percorrendo montagne e colline della Toscana, visitando saline e miniere, dovunque raccogliendo materiale di studio. Nel bel mezzo di queste indagini, l'8 dicembre 1667, ricevette dal re Federico III l'invito a rientrare in Danimarca. Decise di raccogliere rapidamente i risultati e le riflessioni in un piccolo trattato, in previsione di uno più ampio (che non apparirà mai): De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus (1669), solitamente indicato come Prodromus.

In quello stesso periodo si verificò un avvenimento decisivo per la sua vita spirituale. Il 2 novembre 1667, dopo lunghe approfondite riflessioni, decise di abbracciare la fede cattolica. Il passaggio al cattolicesimo non modificò il suo stile di vita né le sue ricerche, ma suscitò ripercussioni negative in ambito protestante. Di fronte a critiche spesso ingenerose, Stenone intervenne più volte con scritti ora apologetici ora polemici. Furono probabilmente queste reazioni a far sì che egli lasciasse cadere l'invito del suo re a rientrare in patria, cui peraltro rimase sempre profondamente legato.

Nell'autunno del 1668 intraprese un lungo viaggio per l'Europa. Prima visitò Roma e Napoli, quindi risalì a Bologna, dove compì studi anatomici con Malpighi; fu poi a Innsbruck, dove le ricerche anatomiche (De vitulo hydrocephalo) si accompagnarono ad escursioni mineralogiche e geologiche in Tirolo e dintorni. Fu a Vienna. Visitò le famose miniere di Scemnitz e Kremnitz, donde inviò minerali a Firenze. Da Praga si portò in Olanda, dove rimase fortemente impressionato dalle condizioni di indifferenza, se non di ateismo, di molti studiosi. Questo soggiorno fu all'origine dell'accresciuto interesse per gli aspetti più propriamente religiosi. Nel luglio del 1670, dopo tre mesi di soggiorno olandese, rientrò a Firenze. Fu incaricato dal nuovo granduca, Cosimo III, della catalogazione dei minerali delle collezioni toscane (Indice di cose naturali). Nel contempo proseguì gli studi geologici con la visita di grotte nei pressi dei laghi di Garda e Como, ma più abbondante fu la produzione di carattere religioso e filosofico. È di questo periodo la lettera sulla Vera Philosophiaindirizzata a Spinoza, reformator novae philosophiae, che però non gli risponderà. Dopo alcune esitazioni, decise di accettare l'invito del nuovo re di Danimarca, Cristiano V, e rientrò in patria.

Nel luglio 1672, dopo otto anni di assenza, rimise piede a Copenhagen. Pur essendo anatomicus regius, le sue lezioni e dissezioni si svolsero tuttavia in case private. Una sola fu la dissezione pubblica, di cui fu pubblicato nel 1673 il Prooemium. Durante il soggiorno si occupò anche del sistema muscolare degli animali e pubblicò la prima grande monografia di zoologia: Historia Musculorum Aquilae (1673), che fu anche l'ultimo lavoro scientifico di Stenone. Lo stato di incertezza personale, alcuni attacchi da parte protestante, il restringimento della libertà religiosa lo convinsero ad abbandonare la Danimarca per rientrare a Firenze, dove Cosimo III lo attendeva.

Nel Natale del 1674 lo troviamo a Firenze, dove fu nominato precettore del principe ereditario, per il quale scrisse: Trattato di morale per un principe. L'interesse religioso si concretò nella scelta del sacerdozio: il 13 aprile del 1675, giorno di Pasqua, fu ordinato sacerdote. Da questa data fino alla morte (1686), Stenone non si occupò più direttamente di scienza per dedicarsi interamente agli impegni del suo ministero sacerdotale. Furono dodici anni di vita condotta nel più puro spirito evangelico di povertà, dedizione agli altri e ascesi «per amor di Dio». Furono anni molto duri, per le difficoltà obiettive dell'ambiente in cui fu inviato ad operare, la Germania del Nord, e per le incomprensioni che gli vennero anche dalla comunità cattolica. Pur mite di carattere, si dimostrò inflessibile in un caso di simonia e comandò ai missionari di tenere linguaggio e comportamento evangelici nella polemica contro i protestanti.

Il 26 settembre 1677, su richiesta del duca di Hannover, il cattolico Giovanni Federico, Stenone fu nominato vescovo di Hannover; qui strinse relazione con G.W. Leibniz (1646-1716), bibliotecario dello stesso duca. Quando, nel 1679, a Federico successe il fratello protestante, Stenone fu chiamato a Münster, dove rimase tre anni. L'intensa esperienza pastorale in cui si prodigò senza risparmio gli suggerì il libretto:Parochum hoc age (I doveri del pastore), che uscì nel 1684. Fu quindi inviato ad Amburgo come vicario apostolico per il Nord Europa e per l'ultima volta visitò Copenhagen. Chiamato dal duca di Schwerin a dirigere la piccola comunità cattolica di quella città, vi si trasferì. Qui trascorse l'ultimo anno di vita: morì il 25 novembre 1686 dopo dolorosa malattia. La salma riposa nella chiesa di s. Lorenzo, a Firenze, dove fu trasportata nell'ottobre del 1687 per disposizione del granduca Cosimo III. Niels Steensen fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 23 ottobre 1988. Un passaggio dell'omelia pronunciata in quell'occasione ne ritrae sinteticamente la vita: «Ricercatore appassionato, scienziato di primo piano, non soddisfatto mai delle pure ipotesi e sempre alla ricerca della piena certezza, Steensen tuttavia fu mosso soprattutto dall'anelito verso la scoperta della ragione ultima di ogni cosa: Dio».

  

II. I contributi scientifici

Fu detto che Stenone era come il re Mida: ogni cosa che toccasse, la trasformava in oro, nell'oro della conoscenza. E difatti in tutti i settori disciplinari che affrontò, lasciò una traccia duratura: anatomia, geologia, paleontologia, cristallografia. Gli scritti si distaccano nettamente da quelli dei suoi contemporanei per chiarezza, concisione, forza di argomentazione, rifiuto di vane speculazioni, evidente riflesso di un pensiero geniale, dalle idee chiare e distinte. Riepiloghiamo quindi, in modo schematico, alcuni dei risultati più significativi.

Impareggiabile anatomo, era di una grandissima abilità manuale e di eccezionale chiarezza espositiva: «la cosa più straordinaria in lui è che egli fa tutto in modo così evidente che uno è costretto a convincersi, e fa meraviglia che le stesse cose siano sfuggite a tutti i precedenti anatomi» (Journal des Sçavans, 1665). Appena ventiduenne, scopre il dotto parotideo (che da lui prende nome), e nel giro dei tre anni successivi compie una serie di importanti scoperte sulle ghiandole, da lui definite un «capolavoro del Creatore», che farà dire a H. Moe, storico della medicina: «rivoluziona le idee sulle ghiandole e ne fonda la scienza». A lui spetta il merito di avere distinto tra ghiandole secernenti e ghiandole linfatiche e di aver dato la corretta interpretazione della funzione secretiva ghiandolare. Rettifica l'interpretazione data da Cartesio circa la formazione delle lacrime e spiega la continuità della lacrimazione rispetto al pianto.

Anche sul cuore i suoi apporti sono decisivi: dimostra che il cuore non è la fonte del calore innato, né sede dell'anima e dello spiritus vitale, ma è vere musculus; fornisce la prima illustrazione dell'architettura muscolare di quest'organo; descrive per primo le malformazioni anatomiche della tetralogia di Fallot, riscoperta duecento anni dopo. Il libro De Musculis et Glandulis Observationum Specimen del 1664 sarà definito «aureus libellus» (Haller, 1760), mentre il lavoro Elementorum Myologiae Specimen, dal sottotitolo rivelatore: seu musculi descriptio geometrica (1667), sarà considerato «una svolta nella storia della fisiologia muscolare» (E. Bastholm, History of Muscle Physiology, Copenhagen 1950). Stenone tenta infatti di applicare la matematica alla soluzione di problemi fisiologici (concezione biomeccanica).

Anche il cervello «principale organo dell'anima» è oggetto delle sue ricerche ed è al centro di una celebre lezione tenuta a Parigi, pubblicata con il titolo Discours sul l'anatomie du cerveau (1669). Definita come «un raggio di luce nell'oscurità» (O.J. Rafaelsen, in Poulsen et al., 1986), quest’opera «è il vero punto di partenza dei moderni studi sul cervello» (Darenburg, 1870, in Poulsen et al., p. 27); contiene una lucida denuncia della radicale insufficienza delle conoscenze e delle idee preconcette sul cervello ed è altresì un testo fondamentale per la metodologia di studio del cervello e per le prime descrizioni di anatomia comparata. Interpreta le circonvoluzioni cerebrali come sede delle funzioni superiori, contrariamente a Cartesio, che attaccato allo schema interno-esterno non vi vedeva che una specie di imballaggio o involucro. Stenone si occupa anche dell' organo riproduttivo femminile. Comparando gli organi sessuali di animali e di esseri umani, scopre che gli organi detti «testes muliebres» sono ovaie, destinate a produrre uova, trasportate nell'utero lungo le trombe uterine (tube di Falloppio). Non mancano altri studi anatomici, tra cui indagini sull'embriologia del pulcino; studio della muscolatura di un'aquila; anatomia dei selacei.

Il trattato Elementorum Myologiae Specimen del 1667 contiene due appendici Canis carchariae dissectum caput Dissectus piscis ex canum genere, dove la dissezione di una testa di squalo lo porta quasi insensibilmente a ricerche prima paleontologiche e poi geologiche. Dalla rassomiglianza dei denti di squalo attuali con le glossopietre, oggetti duri di forma triangolare presenti in certi terreni, in particolare a Malta, egli perviene ad una corretta interpretazione della natura dei fossili, resti di animali marini vissuti in epoche precedenti. Già altri, tra cui Leonardo da Vinci (1452-1519) e Fabio Colonna (1567-1640), si erano espressi in tal senso. Il merito di Stenone è di averne dato una chiara dimostrazione e soprattuto di aver saputo cogliere il significato della loro presenza collegandola ai sedimenti che li includono. Per questi lavori Stenone è considerato il fondatore della paleontologia. «I princìpi della ricerca così eccellentemente stabiliti da Stenone nel 1669 sono quelli che sin da allora, consciamente o inconsciamente, hanno guidato le ricerche in paleontologia» (T. Huxley, The Rise and Progress of Paleontology, 1881, cit. in Poulsen et al., 1986, p. 187).

Dai fossili Stenone passa quindi ad occuparsi dell'ambiente del loro ritrovamento, cioè dei sedimenti. I risultati delle sue ulteriori ricerche e le considerazioni che ne trae sono consegnate nel Prodromus del 1669. In questo breve, rivoluzionario trattato egli enuncia i princìpi della geologia stratigrafica tuttora validi (il principio della sovrapposizione degli strati; della orizzontalità iniziale e della continuità laterale) e pone così le basi per la costruzione della scala del tempo geologico. Nelle sue osservazioni applica implicitamente il principio dell'attualismo, formulato oltre cent'anni più tardi da Hutton (1795). Studia l'erosione; si occupa del problema dell'origine delle montagne e ricostruisce le vicende geologiche della Toscana. Per questi contributi è considerato Geologiae Fundator (come scolpito sul monumento di fronte alla biblioteca universitaria di Copenhagen). Dall’osservazione dei cristalli di quarzo e di ematite deduce la prima legge della cristallografia — la costanza degli angoli diedri — generalizzata nel 1783 da Romé de l'Isle. Respinge come fantasiose le spiegazioni correnti sulla formazione dei cristalli e dimostra che essi crescono per deposito di materia sulle facce, demolendo così l'idea diffusa che si formino come le piante. Propone il corretto meccanismo di crescita delle facce dei cristalli per strati e osserva il carattere anisotropo della crescita. Per questo è considerato anche fondatore della cristallografia. Per Schack A. Krogh, premio Nobel 1920 per la medicina, il Prodromus e i trattati del 1667 sono gli esempi più belli di come si origina e si sviluppa un’idea scientifica fino alla sua conferma attraverso prove irrefutabili. E lo storico contemporaneo, Gohau (1990), annota: «la geologia gli deve molto, anche se ci mise molto tempo per accorgersene, e non si sia finito di riconoscere il suo merito».

  

III. Il metodo di studio

La frequentazione del laboratorio paterno, la sviluppata cultura tecnica del suo paese, la diffusione del metodo cartesiano spiegano l'importanza data da Stenone all'esperimento ed all'osservazione come strumenti privilegiati di conoscenza nell'indagine dei fenomeni naturali. In questo applicava l'insegnamento di uno dei suoi primi maestri, Ole Borch: «L'esperienza è la vera via regale che conduce alla conoscenza della verità». Non che sottovalutasse l'importanza della teoria, anzi riconosce esplicitamente la necessità di princìpi. Si legge nel manoscritto dell'opera di Stenone, Chaos: «Nel campo delle scienze naturali noi non sappiamo nulla se non attraverso esperimenti ed osservazioni, insieme con tutto quello che può essere dedotto con i principi metafisici e meccanici». Sono le teorie allora in vigore a suscitare le sue riserve perchè non ancorate all'osservazione: «In questioni di scienze naturali è bene non legarsi ad alcuna teoria, ma classificare con ordine tutte le osservazioni, cercando di arrivare con la propria iniziativa ad un risultato».

Il suo punto di partenza è l'assioma di Cartesio: De omnibus dubitandum est. Scrive infatti nel Discorso sul cervello: «Io cerco di seguire le leggi della filosofia che ci insegna a cercare la verità dubitando della sua certezza, e a non accontentarci prima che si sia raggiunta conferma attraverso la dimostrazione». Questo principio lo porta a contestare affermazioni dello stesso Cartesio. A questi ed ai suoi seguaci, che sostenevano che gli animali non hanno anima né sensazioni, replica: «Debbo confessare che non senza orrore sottopongo animali a così lunghe torture (cioè alla vivisezione). I Cartesiani si vantano della certezza della loro filosofia. Vorrei che rendessero anche me così certo, come essi sono, del fatto che gli animali non hanno anima... » (cfr. Moe, 1994, p. 67). La critica di certe posizioni contenute nel De Homine di Cartesio (pubblicato postumo nel 1662) è vigorosa. A proposito della ghiandola pineale, luogo di incontro dell'anima e del corpo, annota: «Quanto più teste apro, tanto meno — così mi sembra  — l'ingegnoso organismo ideato da Cartesio si accorda con le creature stesse» (cfr. Moe, 1994, p. 69). Già da giovane mostrava indipendenza di giudizio, al punto da commentare con ironia nel suo diario Chaos la fine del pur amato Cartesio: «Quando in Svezia, colpito dalla febbre, volle curarsi secondo i princìpi della sua filosofia, morì per continua ingestione d'acqua».

La verità rimane l'obiettivo della ricerca. Nello studio di fenomeni complessi, quali ad esempio il cervello, riconosce che si rende necessaria l'azione di più competenze ed invita gli studiosi ad unire gli sforzi «per conseguire qualche conoscenza della verità, e questo dovrebbe invero essere il grande scopo per coloro che pensano e studiano con onestà e serietà». Stenone è conscio della necessità di una visione globale: «poiché la ricerca scientifica di più aree comporta che uno non possa mantenere le varie aree isolate le une dalle altre, ma è obbligato a prenderne molte in considerazione allo stesso tempo. E quanto più a lungo uno è occupato con il particolare, maggiore è il numero degli elementi di cui manca nell'insieme» (cfr. Poulsen et al., 1986, p. 116). Il lavoro dello studioso è duro e deve mirare ad una conoscenza certa. Scrive Stenone nelProoemio (1673): «[…] cercherò di combinare esperienza e ragionamento in modo tale che se non tutti, almeno molti fatti, quando tutto sia preso in considerazione, raggiungano la certezza della prova» (cfr. Moe, 1994, p. 138). Tuttavia ammette che l'impresa non è facile soprattutto a causa dei condizionamenti personali: «Poiché nulla è più difficile che metter da parte i pregiudizi, anche opere moderne, sebbene sia stata applicata la più grande cura, non risultano così indenni da non contenere traccia di idee preconcette; e se io volessi fare eccezione a me stesso, meriterei la censura per il mio sfrontato orgoglio» (ibidem). Il principio di studio degli oggetti naturali è formulato chiaramente: «Dato un corpo dotato di una figura e prodotto secondo le leggi della natura [qui si riferisce ai cristalli naturali], trovare nel corpo stesso la spiegazione del modo e del luogo della produzione» (De solido... prodromus, 1669).

Il giudizio sulla medicina del suo tempo è severo. Leggiamo in Chaos: «In medicina non impariamo che a pronunciare alcune parole, il cui significato preso separatamente non è talvolta irragionevole, ma prese insieme non hanno senso utile». E ancora: «Quale grande beneficio i nostri predecessori avrebbero lasciato a noi e all'umanità, se solo tutti gli anatomi che spendono la loro vita nel fare dissezioni avessero trasmesso ai successori solo risultati certi! La nostra conoscenza sarebbe meno estesa, ma certo meno dannosa. La medicina che si basa su certi princìpi potrebbe non avere successo nell'alleviare i dolori del malato, ma almeno non ne aggiungerebbe» (cit. in “Stenoniana” (1991), p. 98). Un posto particolare è riservato alla matematica, disciplina della massima certezza, regno delle idee chiare e distinte. Nel lavoro sui muscoli egli dichiara: «L'idea base della mia trattazione è di fare della miologia una parte della matematica, come lo sono l'astronomia, la geografia, l'ottica» (cfr. Moe, 1994, p. 98). Con questa impostazione riduttivistica dà l'avvio alla biomeccanica.

Conscio della complessità dei fenomeni naturali e della possibilità di più interpretazioni, onestamente dichiara: «Mentre dimostro la plausibilità del mio punto di vista, non intendo accusare di disonestà coloro che sostengono tesi opposte. Lo stesso fenomeno può essere spiegato in vari modi, invero la natura nei suoi processi persegue lo stesso fine con mezzi diversi» (cfr. ibidem, p. 108). Fu sempre ammirato per la sua modestia, che spesso era una “dotta ignoranza”. A proposito delle prime dissezioni della testa di squalo: «Non sono ancora arrivato ad un conoscenza abbastanza solida in questo settore per poter presentare il mio giudizio». Dopo anni di indagini sul cervello, inizia la sua famosa lezione a Parigi (1665) confessando: «Signori, invece di promettervi di soddisfare la vostra curiosità a proposito dell'anatomia del cervello, vi confesso onestamente e francamente che non ne so nulla». Ma nello stesso tempo demolisce tutte le supposte conoscenze di cui dimostra l'inconsistenza, espone le conoscenze sicure, frutto di osservazione, e pone le basi per un nuovo metodo di indagine del cervello. Acutissimo ed ancora attuale è il suo giudizio su questo organo: «È cosa certa che il cervello è il principale organo della nostra anima e lo strumento con cui essa compie cose meravigliose; essa crede di avere penetrato ciò che è al di fuori di sé al punto che non c'è nulla al mondo che possa limitare la sua conoscenza: eppure, quando rientra in casa sua, non saprebbe descriverla e non vi si riconosce più».

Anche quando tratta di religione, Stenone applica lo stesso spirito critico. Dibattuto tra confessione luterana e cattolica, si documentò non sulle traduzioni latine, ma sui testi originali scritti in ebraico e greco, lingue che aveva appreso in gioventù. E nel confronto tra le confessioni religiose, utilizza un criterio che è ancora “sperimentale”: Doctrinae veritatem vitae sanctimonia demonstrat (la santità della vita dimostra la verità della dottrina, Lettera a Leibniz, 1675).

  

IV. La personalità e le convinzioni

Ad un primo rapido sguardo, la vita di Stenone appare segnata da instabilità e provvisorietà. Certo essa fu movimentata, come risulta dai numerosi viaggi che compì per l'Europa — si calcola che abbia percorso poco meno di 30000 Km, visite pastorali escluse, in circa 27 viaggi — al punto da essere definito dal Redi «pellegrino del mondo per nativa curiosità». Fu per le sue ricerche in Danimarca, Olanda, Francia, Italia, Germania, Austria, ma non sostò in nessuna sede per più di tre anni, se si eccettua Firenze. Fu, come quasi tutti gli studiosi del suo tempo, uomo di molteplici interessi: scientifici, filosofici, religiosi. La sua ricerca scientifica fu occasionale e molto differenziata, spaziando dall'anatomia alla geologia. Un evento mutò radicalmente la sua vita: non tanto il passaggio al cattolicesimo, quanto l'ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1675, e due anni più tardi l'elezione a vescovo. Questi eventi significarono l'abbandono della ricerca scientifica a motivo della sua dedizione all'attività pastorale.

Il radicale cambiamento di vita diede luogo ad un dibattito sulle sue motivazioni, sorto già dopo il suo passaggio al cattolicesimo nel 1667. Ci fu chi vide opportunismo, inganno, ingenuità. Leibniz ironicamente gli chiese se aveva trovato la fede cattolica «nel midollo delle ossa» e sentenziò: «Da grande naturalista è diventato un mediocre teologo», ma dirà di lui: «Io lo stimo oltre misura, ... e riconosco in lui zelo ispirato da vero amore per il prossimo». Nel 1881 Capellini, al congresso internazionale di Geologia a Bologna, espresse il suo interrogativo in forma rude «che desse un addio alle scienze naturali e si facesse frate, non so perdonarglielo, né so rendermi ragione come un tale addio non dovesse costargli grandissimo sacrificio», ma si fece promotore di una lapide sulla tomba di Stenone a Firenze. Più recentemente fu avanzata un'altra interpretazione: «negli anni della maturità abbandonò la scienza per una carriera nella Chiesa» (J.G. Burke, Origins of the Science of Crystals, Berkeley 1966). Per altri «abbandona le attività scientifiche per l'abito talare forse perché non riesce a conciliare opere scientifiche con convinzioni religiose» (Y. Gayrard-Valy, I fossili, orme di mondi scomparsi, Torino 1992) e dello stesso avviso sembra Morello (1979). Secondo altri, invece, è «una scelta consapevole dell'impossibilità di conciliare due missioni, che non potevano essere svolte altro che con una completa dedizione» (Cipriani, 1986).

Eppure, se c’è una personalità fortemente unitaria, è proprio quella di Stenone: modo di pensare, convinzioni religiose, metodo di studio, attività di ricerca, comportamento personale sono così strettamente intrecciati da una logica interna, conseguente ad un’unica ispirazione di fondo, che se questa non viene colta, il senso dell'agire risulta incomprensibile o per lo meno ambiguo. Ciò è dovuto anche al fatto che Stenone espose il suo pensiero in modo non sistematico, ma occasionale, cosicché possiamo ricostruirlo solo a partire dall'insieme dei suoi scritti.

Un'opera fondamentale per comprenderne la personalità giovanile e gli sviluppi della maturità è un manoscritto, redatto a 21 anni, che intitolò Chaos, con l'intestazione, significativa, «In nomine Jesu». È un documento di grande interesse, in cui egli riporta citazioni, commenti, idee di esperimenti, progetti di vita. Dimostra di avere letto un centinaio di opere scientifiche di 80 autori diversi, tra cui Keplero, Galileo, Cartesio, Gassendi. Manifesta la sua adesione al metodo cartesiano e alle teorie di Copernico, più che a quelle del connazionale Ticho Brahe. Troviamo in questo scritto quella che sarà la convinzione pressoché costante di tutta la sua vita: «Dio vede e provvede. Ogni cosa proviene da Lui ed è per la gloria del Suo nome». E ancora: «Affidiamo tutto alla provvidenza di Dio, non preoccupiamoci del domani, non diffidiamo del Suo aiuto. Evitiamo la superstizione e guadagnamoci con il lavoro l'alimento per noi e per i poveri. Accogliamo i doni di Dio senza farne cattivo uso». Questa fede non è passività e abbandono, ma impegna il cristiano a indagare la natura per scoprirvi i segni della grandezza del Creatore, anzi è da riprovare chi non fa uso della ragione a questo scopo. Leggiamo ancora nella stessa opera: «Peccano contro la maestà di Dio coloro che non intendono studiare le opere della natura, ma si accontentano di leggere le opere altrui; in tale modo formano per sé nozioni immaginarie e, non solo si privano della gioia di guardare le meraviglie di Dio, ma pure perdono il loro tempo che dovrebbe essere speso per le necessità e a beneficio del prossimo, e affermano molte cose indegne di Dio... D'ora in poi spenderò il mio tempo non in speculazioni, ma esclusivamente nell'investigazione, in esperimenti...».

Queste convinzioni, formatesi nel pio ambiente famigliare, conosceranno una forte crisi durante il soggiorno olandese, che egli riuscirà a sormontare grazie ai risultati delle sue osservazioni anatomiche. Superato lo scoglio di un razionalismo pretenzioso, gli fu più chiaro il senso del ricercare. Così si esprimerà nel Prooemio (1673): «Questo è il vero scopo dell'anatomia, che attraverso l'ingegnosa struttura del corpo gli spettatori siano portati a cogliere la dignità dell'anima e di conseguenza attraverso le meraviglie del corpo e dell'anima, imparino a conoscere ed amare il Creatore […]. Pertanto la ragione è sollevata dalla contemplazione delle singole parti e dal confronto di queste tra loro, a cercare il Creatore di così grandi meraviglie» (OP, vol. II, p. 242).

Alcuni tratti della sua personalità sono propri della cultura danese in cui si era formato: profondo senso religioso, inquietudine spirituale, spirito di concretezza, senso di lealtà, valorizzazione della tecnica e della sperimentazione. Altri sono suoi specifici: trasparenza di carattere, tensione verso unità di pensiero e di vita, acutezza di giudizio, onestà intellettuale, spirito critico, indipendenza di giudizio, sensibilità d'animo, affabilità di tratto. Un elemento molto importante, che forse ereditò dall'ambiente di lavoro paterno, fu il senso della bellezza: bellezza dei diamanti, delle perle, dei fiori, della mano, del corpo umano, la cui contemplazione lo riempiva di gioia e meraviglia. Scrive nel Prooemio del 1673: «Se un singolo tratto del viso umano è già così bello, e attira tanto l'osservatore, quale bellezza non vedremmo, quale gioia non proveremmo se potessimo osservare a fondo la meravigliosa costruzione del corpo e di lì arrivare all'anima... ». Non è un caso che proprio in quella occasione, nella dissezione del cadavere di una donna giustiziata, «orrenda maschera della morte», abbia pronunciato le famose parole «Pulchra sunt quae videntur, pulchriora quae sciuntur, longe pulcherrima quae ignorantur (Belle sono le cose che si vedono, più belle quelle che si conoscono, bellissime quelle che si ignorano)» (OP, vol. II, p. 254).

Una caratteristica costante della sua vita furono la ricerca della certezza e della verità, e la coerenza. Riconobbe che oltre la certezza matematica esiste la certezza morale, e che anch’essa ha il suo fondamento nella ragione. Oltre queste esiste una certezza divina, che è il punto di incontro della ricerca dell'uomo e del dono di Dio. Tra le due certezze c'è continuità. Scrive a Leibniz: «Mi sembra che Dio nella sua provvidenza mi abbia dato le conoscenze e le scoperte di naturalista come una specie di grazia naturale, affinchè io fossi preparato a ricevere la grazia sovrannaturale». Ma ammette: «Sed divina certitudo nemini nisi eum experienti demonstrari potest (ma la certezza divina non può essere dimostrata a nessuno se non a colui che ne fa esperienza)» (E, n. 73). Pervenuto a questa certezza, ne trae con logica coerenza le conseguenze: «mi sento spinto dal profondo del cuore ad offrire a Dio ciò che ho di meglio, e il meglio possibile». Decise di offrire i giorni restanti della sua vita. «Dio... ti ha fatto vedere nella natura ciò che era necessario per confutare errori di filosofi e medici... ti ha fatto tanti doni... non arrestarti a questi doni, ma volgiti verso il Donatore! ... Egli ha convertito la tua anima e ha messo in te l'ardente desiderio dell'eternità presso di Lui. Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi? (cfr. Sal 116,12)» (De actionum perfectione in generali). Si orientò verso il sacerdozio «per poter presentare le azioni di grazie per i benefici ricevuti, l'espiazione per i peccati commessi e ogni offerta che possa piacere a Dio» (lettera a Kircher).

È doveroso qui accennare ai rapporti di Stenone con il mondo protestante. Oggetto di critiche ed attacchi anche pesanti, rispose sempre con decisione in numerosi scritti, non transigendo sui principi — era convinto della verità della dottrina cattolica —, ma sempre rispettando l'interlocutore. Intervenne sempre e talora duramente contro i giudizi ingenerosi e le intemperanze da parte cattolica. Vescovo ad Hannover, seppe conquistarsi la stima dell'ambiente protestante e attirarsi la simpatia, ricambiata, del vescovo luterano, di cui ammirava la pietà e la carità. C'erano speranze di un riavvicinamento delle Chiese, e molti operavano in tal senso. Il più illustre promotore era Leibniz, che più volte ne discusse con Stenone. Ma le posizioni e le mentalità dei due erano troppo distanti. Stenone concluse avvertendo Leibniz, propenso a soluzioni sincretistiche, che «chi asserisce di poter trovare la vera fede in quasi tutte le religioni, stia attento a non ritrovarsi escluso da tutte […]. Non è in alcun luogo, chi vuole essere dovunque» (Angeli, 1996, p. 244). E fu di fronte a cattolici e protestanti che la sera del 24 novembre 1686, prima di spirare, fece pubblicamente la sua ultima confessione.

La scienza e il sacerdozio furono per lui due modi di realizzare la stessa profonda aspirazione della sua vita, quale si era già delineata nel suo diario Chaos. Come si era dato all'una («Il dovere di fare delle ricerche che ci insegnano la verità richiede un uomo tutto dedito, che non abbia che quello da fare», Discorso sul cervello), così si dà tutto all'altra, dove aveva trovato verità e pienezza di vita.

 

V. Il pensiero filosofico

Stenone occupa un posto singolare nel contesto filosofico del suo tempo. Letture fin dal periodo della stesura di Chaos e contatti successivi, soprattutto nei soggiorni di Leida, Parigi e Firenze, lo avevano messo al corrente dei principali filoni di pensiero dell'epoca. Come appassionato cultore di geometria e matematica, avrebbe potuto essere attratto dalle idee neoplatoniche e pitagoriche che dominavano soprattutto in ambito italiano, come studioso di cristalli avrebbe potuto aderire all'atomismo che sembrava la dottrina più adatta per spiegare i fenomeni da lui osservati. Stenone invece volle mantenere separata la ricerca scientifica da passeggere idee filosofiche o sistemi preconcetti e pervenire piuttosto a leggi ed osservazioni comunque valide.

La riserva nei riguardi della filosofia trova una ragione nella sua esperienza personale. Stenone era stato così affascinato dalla filosofia razionalista di Spinoza, per cui conta solo il sapere che trova la certezza nella ragione, che sembra abbia pensato di aderirvi e di lasciare nel contempo la medicina per la geometria, in quanto strumento di solida conoscenza. Riuscì a superare il pericolo di «idolatrare il pensiero umano» grazie alle sue scoperte, fatte proprio in quel periodo: «In un modo meraviglioso, contro ogni attesa, Dio mi ha fatto comprendere e riconoscere la vera composizione del cuore e dei muscoli. Così le loro [dei cartesiani] ingegnose costruzioni sono state rovesciate senza una sola parola, semplicemente da preparazioni anatomiche» (E, n. 72). Riconobbe che la sua fede aveva corso un grosso rischio, ma ne era stato salvato «perchè Dio con le scoperte anatomiche mi fece rinunciare alla presunzione filosofica e mi ricondusse poco a poco a ricevere l'amore dell'umiltà cristiana, che è il più degno amore dell'anima ragionevole» (E, n. 143). Già vescovo, Steensen scriverà a Leibniz nel 1677: «Se questi signori, che quasi tutti gli studiosi adorano, hanno ritenuto come dimostrazioni infallibili ciò che io in un'ora di tempo posso far preparare da un giovinetto di dieci anni al punto che, senza alcuna parola, la sola vista fa crollare i più ingegnosi sistemi di questi grandi spiriti, quale sicurezza posso avere delle altre sottigliezze di cui si vantano? Voglio dire, se costoro nelle cose materiali esposte ai sensi si sono talmente ingannati, quale sicurezza mi daranno di non ingannarsi allo stesso modo, quando trattano di Dio e dell'anima?» (ibidem).

Era l'applicazione coerente del metodo cartesiano da lui seguito a fornirgli argomentazioni contro le pretese degli stessi cartesiani. Però precisa: «Io non critico il metodo di Cartesio, ma il cattivo uso che egli ne fa. Io debbo al metodo la luce sulle mie idee preconcette; il suo cattivo uso avrebbe potuto allontanarmi dallo studio della religione, ciò di cui si hanno molti esempi» (OT, vol. I, p. 390). Stenone aveva infatti constatato che «molti si lasciano trascinare verso ciò che è ancor peggio del cartesianesimo e, anche se non si allontanano dal cristianesimo, lasciano che svanisca […]. Questo si vede bene in Spinoza e seguaci, che dicono di aver spinto la filosofia cartesiana ancora più lontano, ma in realtà l'hanno rovesciata con il risultato di essere diventati perfetti materialisti […]. E poiché al modo di Cartesio non vogliono confessare la loro ignoranza sui rapporti tra anima e corpo, tra ciò che è pensiero e ciò che è estensione, sono caduti nel più grave degli errori pretendendo che pensiero ed estensione siano attributi della stessa sostanza […]. Non conoscendo che la materia, essi erigono a dio la somma di tutte le cose e permettono tutti i godimenti dei sensi. Non essendoci libero arbitrio, la preghiera è vana, perchè la morte non è seguita né da sanzione, né da ricompensa» (ibidem, p. 388).

La riserva nei riguardi della filosofia non significa però che egli escluda princìpi interpretativi a priori. Quando disseziona la testa dello squalo, enuncia un criterio importantissimo che gli consentirà di individuare la natura dei fossili: «Con riguardo alla forma dei corpi […], poichè questa corrisponde perfettamente a parti di animali, la somiglianza delle forme sembra suggerire una somiglianza di origine» (GP, p. 110). E a proposito degli esperimenti fatti in laboratorio: «io non dubito che la Natura operi in modo simile nel seno della Terra» (p. 112).

I criteri gnoseologici sembrano ispirarsi ad un realismo di tipo empirico. Dal Prooemio (1673): «C'è chi accusa i sensi di non mostrare le cose come stanno in sé e di darci una falsa o incerta impressione di ogni cosa […]. Ma i sensi non sono intesi a presentarci le cose come sono o a darci un giudizio su di esse; essi sono intesi a trasmettere per l'investigazione della ragione quanto del carattere esterno delle cose è adeguato per raggiungere una conoscenza delle cose che corrisponda alle necessità dell'uomo» (cfr. Moe, 1994, p. 136). È sempre viva in lui la preoccupazione di una conoscenza ben fondata. Sempre dal Prooemio: «allo scopo di evitare errori, io non mi atterrò alla sola esperienza, né presenterò esclusivamente argomenti di ragione, ma cercherò di raggiungere una combinazione di entrambi i punti di vista, cosicché se non tutto, almeno molto di quello che dirò, possa contenere una certezza dimostrabile» (cfr. Poulsen et al., 1986, p. 132).

Egli si avvicina dunque alla natura senza preconcetti di tipo magico-numerico, e mutua da Cartesio e Gassendi il concetto di «particelle impercettibili» come costituenti dei corpi solidi e liquidi. Tuttavia si rifiuta di entrare nel merito della costituzione ultima della materia e si limita ad enumerare una serie di opinioni circa la questione «se la materia consista di atomi, o di particelle che possono cambiare forma in mille modi, o di quattro elementi, o di tanti elementi chimici quanti sono necessari per spiegare la varietà di opinioni dei chimici» (GP, p. 146). L'importante è aver trovato una legge, o una relazione comunque valida: «Quello che io ho proposto circa il movimento [delle particelle nei fluidi] si accorda con ogni movente, sia che lo si chiami forma, o proprietà emanante dalla forma, o Idea, o materia sottile comune o materia sottile speciale, o anima particolare, o influenza immediata di Dio» (ibidem).

  

VI. Il rapporto scienza-fede

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, appare evidente che non ci fu conflitto in Stenone tra fede religiosa e sapere scientifico. Se tensione ci fu, fu tra visione religiosa e concezioni filosofiche. Come la grande maggioranza degli studiosi del Seicento, Stenone era cresciuto in un contesto culturale ove vigeva una triplice fede: in Dio, nella intelligibilità del reale e nelle capacità della ragione umana di raggiungere la verità. I fermenti filosofici dovuti a Cartesio e soprattutto a Spinoza avevano iniziato a mettere in dubbio quelle convinzioni. Furono i risultati delle ricerche scientifiche a dimostrare a Stenone l'inanità di certe speculazioni filosofiche e a riportarlo alla fede in Dio. Si potrebbe pensare a lui come ad uno dei precursori della teologia naturale, che si affermerà nel Settecento. La natura è opera di Dio, e lo scienziato non fa che scoprire le meraviglie di questa opera, meraviglie nascoste all'uomo comune. Nelle Observationes anatomicae (1662) mette in risalto «con quale cura il saggio Creatore degli esseri viventi abbia disposto affinchè nulla inquini la testa, trono regale del corpo. Le cavità delle orecchie, gli occhi e il naso debbono essere mantenuti umidi, e non c'è nulla di superfluo in naso, occhio o bocca, quando uno vive secondo l'ordine della natura».

Commentando le varie modalità di inserimento dei vasi linfatici nella vena cava, annota, riferendosi al determinismo di Spinoza, che sosteneva la necessità del tutto: «Da questa eccezionale varietà negli individui della stessa specie è facile dedurre che, tra gli attributi della Divinità che noi possiamo conoscere attraverso lo studio dei corpi, Dio creatore ha voluto proporci anche questi due: che Egli non è trascinato dal caso, perchè segue una regola generale, e che nello stesso tempo Egli non è costretto da alcuna necessità, perchè in ciascun individuo cambia liberamente le condizioni particolari» (OP, vol. I, p. 142).

I risultati delle ricerche geologiche sono inseriti nella concezione biblica del suo tempo. È interessante però osservare — e questa è una novità — che il punto di partenza non è il racconto biblico, ma l'osservazione della natura. La conclusione è che non solo non c'è disaccordo con il racconto biblico, ma questo trova una conferma dall'indagine dei fenomeni geologici. Anzi: «De prima terrae facie in eo Scriptura et Natura consentiunt, quod aquis omnia tecta fuerint; quomoda vero, et quando coeperit, et quanto tempore talis exstiterit, Natura silet, Scriptura loquitur (Circa la prima forma della Terra la Scrittura e la Natura concordano che tutto fu sommerso dalle acque; in quale modo, quando iniziò e per quanto tempo rimase, la Natura tace, la Scrittura parla)» (GP, p. 204). Creazione e Diluvio sono eventi storici, ma solo del secondo è possibile rinvenire tracce sicure sulla superficie terrestre. Egli riconosce però che localmente possono essersi ripetuti fenomeni alluvionali, come in Toscana, dove individua ben sei periodi alternantisi di deposizione ed erosione. Ammette nel Prodromus che «le montagne oggi esistenti non furono così all'inizio»: la Terra ha subito un'evoluzione da quando si è formata, che continua tuttora.

Pur avendo il grande merito di avere introdotto i fondamentali concetti di tempo e di evoluzione in geologia, Stenone non ha elementi per mettere in dubbio la datazione, ritenuta al suo tempo in accordo con la narrazione biblica, secondo cui la Terra avrebbe avuto un'età di circa 6000 anni. Difatti scrive: «Quanto ai movimenti della terra, alle eruzioni di fuoco dalla terra ed alle alluvioni fluviali e marine, si può facilmente mostrare che numerosi e vari cambiamenti occorsero in 4000 anni» (GP, p. 211). Lo storico della geologia Adams sostiene che Stenone, in certe conclusioni, specie geologiche, fu influenzato dall'autorità ecclesiastica. L'affermazione non ha trovato finora riscontro, né rende onore all'onestà intellettuale sempre mostrata dallo scienziato danese, che ben conosceva il pensiero di Galileo e si era espresso fin da giovane a favore delle teorie copernicane. Sapeva cioè distinguere il contenuto delle verità di fede da quello delle verità scientifiche.

Come profonda era la sua passione per la scienza, altrettanto intensa era la sua fede. Sono frequenti nei suoi scritti anche scientifici le note vibranti della sua personale preghiera. Già le prime annotazioni giovanili, riportate nel manoscritto Chaos, rivelano uno spirito profondamente religioso: «Conducimi, o Signore, per la gloria del tuo nome. Dammi di poter fare qualcosa di buono con ordine e costanza». «Dio mio, concedimi la forza di astenermi da ogni peccato, soprattutto da ogni giudizio troppo affrettato e sconsiderato, e da affermazioni su cose a me sconosciute o non perfettamente note». «Oggi ho fatto ben poco di buono. Perdona, o Dio... Fa' che abbia sempre davanti agli occhi l'idea della morte, e sulle labbra le parole: memento mori». E ancora: «Sii presente, Gesù, con la tua grazia!».

La ricerca scientifica porta elementi di contemplazione al suo spirito riflessivo e la spiritualità si affina. Già prima del passaggio alla confessione cattolica, a 25 anni, redige la preghiera che porterà sempre con sè: «Tu, senza il cui cenno non cade capello dal capo, foglia dall'albero, uccello dall'aria, né viene un pensiero alla mente, una parola alla lingua, un movimento alla mano, Tu mi hai condotto finora su vie a me sconosciute. Guidami ora, veggente o cieco, sul sentiero della Grazia. A Te è certamente più facile accompagnarmi là, dove Tu vuoi che io vada, che a me tenermi lontano da ciò, cui il mio ardente desiderio mi sospinge» (OT, p. 387).

La meraviglia di fronte alle bellezze della natura che egli stesso ha contribuito a scoprire lascia il posto ad una meraviglia più profonda che si trasforma in gioia quando si sente oggetto dell'attenzione speciale di Dio: «La grazia divina mi riempie di una tale felicità che i miei amici possono vedere la mia gioia interiore da segni esterni. Ma questa certezza divina non vale che per chi la esperimenta» (E, n. 73). Johann von Rose testimoniò che «erano evidenti la sua gioia e la sua esaltazione, quando parlava della gloria di Dio e del bene delle anime, e lo faceva con tanta grazia che anche gli eretici restavano catturati dal suo fascino, e spesso si convertivano parlando con lui» (cit. in “Stenoniana” (1991), p. 103). Al tempo del suo apostolato missionario in Germania scrive: «Quanto meno l'umana speculazione si aspetta in materia divina, tanto più chiaro emerge alla luce del giorno il disegno della Provvidenza. […] In questioni apostoliche uno deve agire in modo apostolico, afferrando le occasioni come vengono e lasciando l'esito alla clemenza divina» (ibidem, p. 107).

Viene l'ora della sofferenza fisica. Sul letto di morte confessa: «Soffro dolori indicibili e spero, mio Dio, che essi Ti inducano a perdonarmi, se non penso costantemente a Te. Non Ti chiedo di liberarmi da questi dolori, bensì di concedermi la grazia di saperli sopportare con santa pazienza. Se dalla Tua mano abbiamo accettato il bene, perchè non dovremmo accettare anche il male? Sia che Tu ora voglia che io continui a vivere oppure che io muoia, io voglio solo ciò che Tu vuoi, mio Dio. Sii lodato in eterno, e sia fatta la Tua volontà!» (J. von Rose, La vie et la mort de Sténon, cit. in Moe, 1994, p. 166). Il giorno prima di morire si preoccupa dell'estinzione di un debito di 300 talleri e acutamente descrive i sintomi del suo male. Chiude l'esistenza terrena con l'invocazione giovanile: «Jesu, sihi mihi Jesus! — Gesù, sii sempre per me Gesù».

  

Bibliografia: 

 

Opere di Niels Steensen, indicate nel testo con le seguenti sigle: Ch = A Danish Student in His Chaos Manuscript 1659, a cura di H.D. Schepelern, “Acta Hist. Scient. Natur. et Medicin.”, Copenhagen, 38 (1987); E =Nicolai Stenonis Epistolae et epistolae ad eum datae, 2 voll., a cura di G. Scherz e J. Raeder, Copenhagen - Freiburg 1952; GP = Steno. Geological Papers, a cura di G. Scherz, Odense Univ. Press, 1969; OP = Nicolai Stenonis Opera Philosophica, 2 voll., a cura di V. Maar, Copenhagen 1910; OT = Nicolai Stenonis Opera Theologica, 2 voll., a cura di K. Larsen e G. Scherz, Copenhagen - Friburg 1941-1947; Opere scientifiche, a cura di L. Casella, Nuova Europa, Firenze 1986.

Opere su Steensen: G. MONTALENTI, Nicola Stenone. Prodromo di una dissertazione sui corpi naturalmente inclusi in altri corpi solidi, Edizioni Leonardo da Vinci, Roma 1928; R. CIONI, Niccolò Stenone Scienziato e Vescovo, Le Monnier, Firenze 1953; G. SCHERZ, Niccolò Stenone, Paoline, Roma 1965; G. SCHERZ (a cura di), Steno Nicolaus and Brain Research in the Seventeenth Century, Pergamon Press, Oxford 1968; G. SCHERZ (a cura di), Dissertations on Steno as Geologist, Odense Univ. Press, 1971; SACRA CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM, Osnabrugen. Canonizationis Servi Dei Nicolai Stenonis Episcopi Titiopolitani (1686). Positio super introductione Causae et super Virtutibus ex Officio concinnata, F. Veraja, Roma 1974; G. SCHERZ, Steensen, Niels, in DSB, vol. XIII, 1980, pp. 30-35; N. MORELLO, La nascita della Paleontologia nel Seicento, F. Angeli, Milano 1979; L. NEGRI, N. MORELLO, P. GALLUZZI, Niccolò Stenone e la scienza in Toscana alla fine del '600, a cura di A. Dillon Bussi, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze 1986; L. CASELLA ET AL., Niccolò Stenone: opere scientifiche, 2 voll., Nuova Europa, Impruneta 1986; J.E. POULSEN, E. SNORRASON (a cura di), Nicolaus Steno. A re-consideration by Danish Scientists, Nordisk Insulinlaboratorium. Gentofte 1986; N. QUATTRIN, Nicola Stenone, scienziato e santo. Nel III centenario di sua morte, Accademica Olimpica, Vicenza 1987; Nicolò Stenone, "Il futuro dell'uomo" 14 (1987), pp. 13-183; L. NEGRI, Il contributo di Nicolò Stenone al progresso delle scienze anatomiche, in ibidem, pp. 53-65; C. CIPRIANI, Stenone e la mineralogia, in ibidem, pp. 67-81; M. NALDINI (a cura di), Niccolò Stenone. Conversione ed attività pastorale. Scritti scelti, Nardini Editore, Firenze 1988; G. SCHERZ, P. BECK, Niels Steensen (1638-1686), Royal Danish Ministry of Foreign Affairs and Bianco Luno, Copenhagen 1988; L. NEGRI, Niccolò Stenone, in "Scienza e Fede. I protagonisti", De Agostini, Novara 1989, pp. 85-92; G. GOHAU, Les sciences de la Terra aux XVII° et XVIII° siècles, Albin Michel Ed., Paris 1990; "Stenoniana" Nova Series 1 (1991), Laegeforeningens Forlag, Copenhagen, pp. 9-158; H. MOE, Nicolaus Steno, Rhodos, Copenhagen 1994; R. ANGELI, Niels Steensen, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996.

  

Vedi: