Tu sei qui

Visione unitaria del mondo e della vita

Luigi Fantappié
1993

Conferenze scelte

Docente di Alta Analisi nell’Istituto Nazionale di Alta Matematica dell’Università di Roma, fondato e diretto da Francesco Severi, Luigi Fantappiè, di cui questo Portale ospita una scheda biografica, si occupò di filosofia della matematica. Particolarmente interessato allo sviluppo di modelli di unità del sapere, in questa conferenza, tenuta a Roma nel 1947, egli offre una sintesi personale della sua visione unitaria del mondo, tesa alla rivalutazione dei principi finalistici (guidata dal riconoscimento dei fenomeni sintropici), che fa guadagnare unità e coerenza al reale, aprendo la scienza al discorso sul fondamento e su Dio.

Capitolo I

Convergenza di tutte le scienze verso l’unità

1. È con grande perplessità che ho accolto l’invito di tenere la conferenza conclusiva di questo ciclo dello “Studium Christi” su “Il Cristianesimo e le Scienze”, non solo per il fatto che il mio nome avrebbe dovuto figurare accanto ai nomi illustri degli oratori che avrebbero parlato prima di me, ma anche per la responsabilità che comporta lo stesso argomento della mia conferenza:”Visione unitaria del mondo e della vita”. Questo tema implica infatti la necessità di ricollegare tra loro, almeno nelle linee essenziali, un po’ tutte le scienze, e quindi, fatalmente, la necessità di uscire dal campo ristretto della mia specializzazione, la matematica.

Era quindi naturale che mi si presentasse una domanda, che mi sembrava dovesse sorgere spontanea: con quale coraggio voi, matematici, osate intraprendere un’escursione così vasta in tutti i campi del sapere? Non è questo forse un atto di superbia?

Inoltre, anche dalla parola di Padre Gemelli e di altri Relatori sono state messe in luce le gravi responsabilità degli scienziati e di chiunque cerchi la verità, con la coscienza dell’importanza e della sublimità di questa verità. Ora uno dei compiti e dei doveri essenziali è quello di non esorbitare: e come si possono conciliare queste due esigenze dell’unificazione e della modestia?

Ho riflettuto molto e ritengo di dover giustificare la mia accettazione, esponendovi le ragioni che mi hanno spinto ad accettare l’invito.

2. Specializzazione e unità nella scienza

Io mi son chiesto infatti se sia permesso agli scienziati di uscire dal proprio campo ed ho creduto di poter rispondere di sì: naturalmente, non per sfarfallare da un campo all’altro in vena di dilettantismo, ma quando esistano motivi seri e fondati.

La divisione della scienza in vari settori – che qualche volta sono divenuti purtroppo dei compartimenti stagni – ha infatti una sua ragione umana e non puramente scientifica, per facilitare, assegnando ad ognuno un ambito limitato, la ricerca della verità nella sua fase analitica. È una ragione di specializzazione  e di divisione del lavoro, la quale è un mezzo per il raggiungimento di un fine, il raggiungimento della verità, ma non deve essere concepita come fine a se stessa. Quindi, se lo scienziato sente di essere sulla via della verità, anche quando questa via lo porta fuori dal campo ristretto per raggiungere una sintesi più ampia, io ritengo senz’altro che egli abbia il dovere di perseverare in questo cammino. Ciò che è mezzo per facilitare il raggiungimento del vero, non deve divenire ostacolo per raggiungere proprio quella conoscenza superiore della verità, nel suo aspetto sintetico e unitario, che è in realtà lo scopo supremo della scienza, come vedremo meglio appresso.

3. Essenza della matematica, potenziatrice e unificatrice della scienza

Di fronte alla matematica c’è poi una seconda obiezione che si può formulare. Da alcuni, che non sono matematici, o che ne conoscono solo i primi elementi, si dice, facendone rimprovero a noi matematici, che la matematica è la scienza della forma e della estensione dei corpi; che è sì una delle scienze più astratte, in quanto astrae dai corpi molte qualità, ma restano sempre come oggetto del suo studio queste proprietà della forma e dell’estensione dei corpi. Come può, quindi, dicono essi, un matematico invadere altri campi, occuparsi di questioni dove non si parla più né di forma né di estensione dei corpi, ma di altre qualità di enti che con la forma e l’estensione non hanno nulla a che vedere?

Come matematico, e restando nell’ambito della mia materia, debbo anzitutto mettere in luce che la matematica, soprattutto dal secolo scorso ad oggi, ha compiuto un’evoluzione veramente grandiosa. Essa, infatti, all’inizio del secolo scorso, era ancora in realtà la scienza della forma e dell’estensione dei corpi ed anche nelle altre scienze, per esempio nella fisica, era utilizzata sì, ma solo per sviluppare quantitativamente teorie che si potevano esprimere in termini comuni, con concetti e le immagini dell’intuizione sensibile.

Attraverso l’elaborazione critica del secolo scorso la matematica ha invece cambiato aspetto, liberandosi sempre più nei suoi concetti fondamentali (punto, retta, piano, numero, ecc.) dai dati dell’intuizione concreta, fino a raggiungere ormai una sistemazione definitiva, in cui non si fa più nessun appello ai dati dei sensi, fondandosi tutti i suoi concetti e procedimenti sulla sola logica; ciò naturalmente non esclude che nell’esposizione didattica che se ne fa nelle scuole ci si appoggi ancora a concetti e immagini intuitive, per non appesantire troppo lo sforzo di astrazione dello scolaro.

La matematica è diventata così un edificio immenso, costruito coi materiali della sola logica, anche se, in un primo tempo i dati dei sensi hanno servito per suggerire alla nostra mente nuovi concetti, nuovi enti matematici, hanno servito cioè come un’armatura per costruire l’edificio, che poi si è visto potersi fondare nel modo più rigoroso e completo, prescindendo in maniera assoluta dai sensi. Non solo, ma si sono venute formando branche della matematica in cui il distacco dalla quantità, dall’estensione e in generale dalle proprietà dei corpi è completo.

C’è per esempio un ramo moderno della matematica, la topologia, che è una vera e propria scienza della qualità, è una matematica qualitativa. Vi sono intere teorie matematiche, come la teoria degli iperspazi, o spazi ad N dimensioni, con N qualunque, la quale, pur comprendendo per N = 2 od N = 3 tutta l’ordinaria geometria del piano e dello spazio, si distacca poi, per N maggiore di 3, da quello che era l’aspetto originario della matematica.

È infatti evidente che questi enti, queste figure dello spazio a cinque, a sei, a cento dimensioni, non sono proprietà di forma o di estensione astratte da qualche corpo, perché non esiste nessun corpo che abbia più di tre dimensioni e che abbia quindi potuto suggerirle per la via dei sensi. Sono enti di pura ragione, creati con la sola logica, sono enti cioè che il nostro intelletto ha fabbricato senza fare appello ai dati dei sensi.

Allora noi vediamo che attraverso tutto questo sviluppo, con cui la matematica si è liberata dai dati dei sensi ed è andata evolvendo verso forme completamente indipendenti dai sensi stessi, è divenuta, in realtà, la scienza delle cose, degli enti possibili, senza contraddizione. In matematica, infatti, dire che un ente esiste significa dire che si può pensare senza contraddizione: ed in questo senso la matematica ha assunto quindi aspetti che sono in realtà comuni alla filosofia e alla metafisica, e in particolare alla ontologia.

Io ritengo che si debba a questa trasformazione sostanziale della matematica la sua straordinaria potenza nella indagine della verità scientifica e specialmente nelle scienze dei fenomeni naturali. Essa è infatti uno strumento meraviglioso, che moltiplica la potenza della nostra intelligenza, offrendole degli schemi logici così ricchi e variati, da poter con questi raccogliere e coordinare complessi sempre più vasti dei dati dell’esperienza, e prevederne altri, e ciò in modo molto migliore di quanto era possibile fare con gli schemi logici tradizionali.

Si erano infatti scoperti dei fenomeni, come l’aberrazione stellare e i risultati dell’esperienza di Michelson, che negli schemi tradizionali con cui si pensava la realtà obiettiva (in questo caso spazio e tempo distinti e completamente indipendenti) si presentavano come contraddittori, in quanto il primo fatto (l’aberrazione) dimostrava che l’etere luminoso non era punto trascinato dalla Terra nel suo moto di rivoluzione attorno al sole, mentre il risultato dell’esperienza di Michelson sembrava invece dimostrare che lo stesso etere era completamente trascinato dal moto della Terra.

L’apparente contraddizione veniva invece sciolta dalla teoria di relatività ristretta che, prendendo appunto dalla matematica lo schema logico di uno spazio a quattro dimensioni (spazio – tempo o cronotopo), in cui venivano fusi e armonizzati spazio e tempo prima separati, faceva vedere la vera origine della contraddizione, costituita dalla pretesa della nostra immaginazione sensibile di volersi figurare l’etere come un fluido, concreto, sensibile, situato nel comune spazio a tre dimensioni, quale lo vedono i nostri occhi e cioè staccato e distinto dal tempo, ma quale non è in realtà.

Un altro caso di apparente contraddizione dei dati dell’esperienza si è poi manifestato con la struttura corpuscolare e insieme ondulatoria della luce e di tutti gli altri fenomeni naturali, strutture inconciliabili nei comuni schemi mentali della nostra intuizione sensibile, ma perfettamente armonizzate nello schema logico offerto dalla teoria degli operatori funzionali. Ecco perché è naturale che la matematica vada penetrando sempre più non solo nella fisica, ma nella chimica e in tutte le altre scienze.

4. Il progresso della scienza marcato dal cammino verso l’unità

Se poi passiamo ad esaminare il processo di sviluppo e di costruzione della scienza, osserviamo anzitutto che questo non è né può ridursi ad una semplice descrizione e rappresentazione dei fatti, ma vuole deve dare anche una spiegazione razionale dei fatti stessi, ricercandone le leggi e dimostrando come esse si possano dedurre logicamente da pochi principi (postulati, assiomi), che si cerca continuamente di ridurre al minor numero possibile.

E sono anzi questi passi verso l’unificazione e riduzione dei principi fondamentali, che marcano le grandi tappe della scienza sulla via verità e del progresso. Quando infatti da più leggi che venivano postulate si riesce a risalire ad un’unica legge da cui esse discendono logicamente, esse vengono spiegate da questa legge più comprensiva, più elevata, e la scienza ha fatto così un ulteriore passo fondamentale.

Quando si fanno questi passi decisivi della scienza, dunque, fatalmente campi che prima erano divisi vengono a fondersi e correlarsi, ed è quindi inevitabile che la scienza, nella sua marcia, diventi sempre più unitaria. È dunque esatto affermare che le grandi tappe del progresso scientifico sono marcate da queste funzioni, da questi coordinamenti di leggi diverse in leggi più ampie e meno numerose.

Di ciò, del resto, si possono portare molti esempi. Ne trarrò uno dall’astronomia. Tycho Brahe ha cominciato ad osservare metodicamente la posizione dei pianeti, raccogliendo quantità enormi di osservazioni: ma la spiegazione di queste posizioni dei pianeti è stata data da Keplero che, da tutto quell’immenso mare di osservazioni, è riuscito a trarre le sue tre leggi fondamentali, con cui tutti quei dati si coordinano e si spiegano logicamente, e da cui si possono inoltre dedurre anche tante altre posizioni che l’osservazione non aveva dato.

Quando infatti si è riusciti a scoprire la legge unificatrice, si ha in mano molto più dei dati di partenza. Dopo Keplero, Newton, da queste tre leggi, è riuscito a risalire ad una unica legge, quella della gravitazione universale, da cui, viceversa, queste  tre leggi si deducono logicamente, e che spiega quindi le leggi stesse. Ma con la gravitazione universale si spiegano anche le perturbazioni e tante altre cose che non sono contenute nelle leggi di Keplero, perché, ripeto, in questa opera di coordinamento e di sintesi, operata da leggi più ampie, non soltanto si riesce a spiegare quanto già era noto prima, ma si conquista una chiave che apre in generale molte altre porte al nostro sapere.

Faccio un altro esempio, togliendolo dalla chimica. Dalle proprietà degli elementi chimici, Mendelejeff, col suo sistema periodico, ha ricavato un principio con cui queste proprietà trovavano spiegazione. Ma questo principio unificatore delle leggi ha dato molto di più, mettendo in evidenza l’esistenza di lacune che hanno indotto i chimici a ricercare e a scoprire elementi che altrimenti, senza questo principio unificatore, sarebbero forse rimasti ignorati.

In una tappa successiva, con la meccanica ondulatoria, riusciamo poi a dare il perché del sistema periodico di Mendelejeff, come pure a spiegare quelle che sembravano anomalie di questo stesso sistema periodico.

Dalla fisica, tolgo l’esempio della elettricità e del magnetismo. È noto infatti che Maxwell, mettendo in forma matematica le leggi dell’elettricità e del magnetismo, ne dedusse necessariamente un’equazione, che era la stessa di quella delle onde sonore: ne concluse che dovevano esserci processi simili a quelli delle onde, che dovevano esserci cioè delle “onde elettromagnetiche”, che nessuno aveva mai percepito coi sensi. Hertz in seguito le trovò nella realtà. E vediamo anzi che l’ottica, che prima era un ramo della scienza del tutto distinto e separato dall’elettromagnetismo, si viene a inquadrare in questo schema unico, perché le onde luminose sono casi particolari di onde elettromagnetiche. Elettricità e magnetismo da una parte, ottica dall’altra, due campi prima completamente separati e distinti, vengono così fusi in uno solo.

Ancor più: nella fisica stessa, elettromagnetismo, ottica, meccanica (e gravitazione) venivano poi unificati nella teoria della relatività, la quale costituisce un altro grande passo su questo processo di unificazione, arrivando in fondo a una unificazione del mondo fisico macroscopico che è pressoché completa.

Con quanto precede credo dunque di aver giustificato il perché io, pur essendo matematico, mi sono anche occupato di altri rami della scienza, e in particolare delle applicazioni e connessioni che la mia disciplina ha in vari campi collaterali. Dopo queste premesse, entro nel vivo della mia teoria.

Capitolo II

Teoria unitaria dell’universo

5. I risultati fondamentali della fisica moderna

Debbo dire subito, intanto, che questa mia teoria unitaria del mondo fisico biologico non è una teoria eclettica, che io ho fabbricato perché così ho voluto sin dall’inizio. Non avrei mai pensato di occuparmi ex-professo della vita. Ci sono caduto direi quasi involontariamente, portato dalla forza stessa delle cose; occupandomi infatti delle equazioni matematiche che rappresentano le leggi fondamentali della fisica: ho voluto vedere che cosa si potesse dire circa queste equazioni.

Osserviamo dunque la somma dei dati della fisica moderna. Bisogna fare anzitutto un’opera di sfondamento, perché le scienze oggi sono arrivate a un punto tale di sviluppo, che rischiano di soffocare gli stessi scienziati. Uno dei problemi più gravi che ci si presenta adesso è infatti quello di vedere che cosa sia essenziale, per buttare via le frasche e identificare i punti sostanziali, che possono portare alla conquista di verità ulteriori.

Ora a me sembra che i risultati centrali, ormai definitivamente acquisiti dalla fisica moderna, si possano raggruppare in tre punti. Primo, le teorie corpuscolari, le quali affermano che tutti gli enti fondamentali della fisica non si presentano in forma di sostanze continue, ma sotto forma discontinua, discreta. La materia si presenta sotto forma  di molecole ed atomi; l’elettricità in granuli, che si chiamano elettroni. La stessa energia raggiante, che fluisce da tante fonti, e che nel passato si riteneva fosse un fluido continuo diffuso nello spazio più o meno uniformemente, si propaga pure per grani o “quanti” di energia.

Secondo punto, pure acquisito, la meccanica ondulatoria. È una teoria recente, che si è sviluppata dal 1926 in poi e che costituisce la conclusione della teoria dei quanti. Secondo la meccanica ondulatoria, tutti i fenomeni dell’universo sono costituiti da onde: onde, veramente, un po’ strane, onde non di etere o di qualche fluido od altro ente concreto, ma onde di probabilità. Quando si è in presenza di un gran numero di corpuscoli, l’intensità dell’onda viene quindi a misurare la densità relativa dei corpuscoli stessi. I risultati di questa teoria sono oramai tali e tanti, a conferma della struttura ondulatoria dei fenomeni, che non se ne può più dubitare. Essa ha permesso infatti non solo di coordinare quanto avevamo già accertato in precedenza, ma di far scoprire nuovi fenomeni, che altrimenti non avremmo mai potuto conoscere. Così, per esempio, la diffrazione dei raggi catodici, che sono raggi corpuscolari (piogge di elettroni) non avrebbe potuto venire in mente a nessun fisico sperimentale, se dalla meccanica ondulatoria non avessimo appreso che ogni fenomeno, essendo ondulatorio, può presentare fatti di interferenza. E in questi raggi corpuscolari l’esperienza ha confermato pienamente le previsioni del calcolo.

Terzo punto: la teoria della relatività, almeno nella sua forma ristretta, come prima approssimazione. Essa ci dice che non c’è uno “spazio” ed un “tempo”, separati l’uno dall’altro, ma che tutti gli enti naturali vengono localizzati, invece che in un punto dello spazio (a sé) e in un istante del tempo (a sé), in un continuo quadridimensionale (spazio-tempo o cronotopo, di cui abbiamo già parlato al n.3) dove spazio e tempo vengono amalgamati insieme e che in realtà, anche se offre difficoltà a chi voglia rappresentarselo intuitivamente, coi sensi, è logicamente molto più perfetto di quei due ambienti staccati che erano prima spazio e tempo.

Come abbiamo già osservato precedentemente, bisogna resistere alla pretesa di volerci figurare sensibilmente questi enti di ragione, che sono offerti dalla matematica, e che sono gli unici capaci di inquadrare logicamente i dati dell’osservazione. Tenete presente che i nostri sensi sono sempre estremamente poveri, rispetto all’immensa ricchezza dell’universo naturale. Il pretendere di figurarci con una immagine visiva quel che accade è assurdo: significherebbe pretendere di ridurre al nostro metro, alla nostra normale intelligenza, alla nostra capacità rappresentativa, una ricchezza di universo che è infinitamente superiore. Con la rinuncia a una comprensione immediatamente sensibile le cose vanno a posto, il che non esclude però che a un’intelligenza convenientemente educata e abituata a questi enti di ragione essi diventino in un certo senso “intuitivi”.

6. Struttura delle equazioni fondamentali dell’universo; fenomeni entropici e sintropici

Fissiamoci ora su questi punti: teorie corpuscolari, meccanica ondulatoria, relatività e vediamo che cosa si può concludere. Oggi come oggi, il fronte di combattimento delle scienze fisiche, che separa le cose conosciute dall’ignoto, è costituito come segue: il mondo macroscopico è unificato dalla teoria della relatività; il microcosmo (atomi, elettroni, quanti, ecc.) è retto dalla meccanica ondulatoria. Come si conciliano questi due mondi, come si fa la saldatura fra essi? Il problema centrale della fisica è ora quello di ottenere una teoria unica, che spieghi insieme microcosmo e macrocosmo, coordinando armonicamente la relatività e la meccanica ondulatoria.

Il problema non è risolto. Si è combattuto e si sta combattendo; qualche conquista si è fatta. Un primo risultato parziale, ma importantissimo e definitivo, si ha nella teoria dell’elettrone, in cui questa conciliazione ed unificazione della relatività e della meccanica ondulatoria è stata fatta da Dirac, scopritore delle nuove equazioni corrette dell’elettrone, che rispondono alle esigenze della teoria della relatività.

Ma questa teoria di Dirac dell’elettrone ha dato origine a cose molto curiose, non spiegando soltanto il comportamento dell’elettrone, per cui era stata fatta, ma presentando anche delle nuove soluzioni che, in un primo tempo, non si capiva che  cosa potessero rappresentare: erano soluzioni cosiddette estranee. Poi si accorsero, matematici e fisici, che queste soluzioni estranee avrebbero potuto rappresentare corpuscoli con la stessa massa di elettroni, ma con carica opposta, che non si erano mai visti in natura. Messi sulla via da queste indicazioni teoriche, Anderson, Blackett e Occhialini giunsero infine alla scoperta effettiva dell’elettrone positivo.

È questo un ulteriore esempio di scoperta di un nuovo ente naturale, fatta non dai sensi, ma dall’intelletto. Prima l’intelletto, potenziato dalla matematica, che non è altro che logica, si è accorto che questi enti potrebbero esistere, e ne ha dato le proprietà caratteristiche, ed è notevole che, quando la matematica ha suggerito la possibilità di nuovi enti, si è sempre verificato in seguito che la fisica sperimentale, disponendo opportunamente i suoi apparati, sia pervenuta a scoprirli effettivamente in natura.

Incoraggiato dal successo di Dirac, io ho voluto prendere a considerare le equazioni, non del solo elettrone, ma di tutti gli altri corpuscoli (e in generale,  in tutti i casi possibili) e che soddisfino insieme alle esigenze della meccanica ondulatoria e della relatività ristretta.

Tali equazioni “ondulatorie” e “relativistiche” rappresenterebbero infatti, per quanto si ritiene oggi certo dai fisici, le vere leggi fondamentali di tutto l’universo naturale, ma disgraziatamente, come ho già detto, esse non ci sono per ora completamente note, fuori del caso dell’elettrone, scoperto da Dirac. In tutti gli altri casi se ne conosce con sicurezza soltanto una parte (i termini d’ordine più elevato), che è comune a tutte le equazioni e anche all’equazione delle onde luminose (o equazione di D’Alembert), cosicché i fisici si erano fermati di fronte a questa conoscenza parziale.

Io, però, come matematico, mi sono accorto che anche questa conoscenza soltanto parziale delle equazioni fondamentali dell’universo ci permetteva di descrivere molte proprietà qualitative delle soluzioni, e cioè ci permetteva di stabilire con sicurezza la forma e il modo di propagarsi dei fronti d’onda. In particolare per le onde originate da sorgenti, si vede che queste equazioni presentano due grandi classi di soluzioni: una prima classe costituita dalle soluzioni che rappresentano onde divergenti dalle sorgenti, e che si dicono “potenziali ritardati”, ma, accanto a queste onde divergenti, ben note, il calcolo mostra che ci sono soluzioni che rappresentano invece anche onde convergenti verso la sorgente (soluzioni dei “potenziali anticipati”), per cui la sorgente funziona negativamente; invece di emettere le onde, le risucchia.

Siccome, d’altra parte, ogni fenomeno naturale, in quanto legato a soddisfare le leggi fondamentali dell’universo, deve essere necessariamente rappresentato da una soluzione delle equazioni ondulatorie fondamentali, che rappresentano quelle leggi, si conclude allora che sono possibili due categorie di fenomeni, una prima categoria, che diremo dei fenomeni entropici, che sono quelli rappresentati dalle soluzioni dei potenziali ritardati e sono quindi costituiti da onde divergenti, ed una seconda categoria di fenomeni (eventuale, perché non sappiamo ancora se ci siano o meno, ma che possono esistere), che chiameremo dei fenomeni sintropici, rappresentati invece dalle soluzioni dei potenziali anticipati e sono dunque costituiti da onde convergenti.

7. Caratteristiche fondamentali dei fenomeni entropici: principio di causalità e principio dell’entropia

Dalle proprietà qualitative delle equazioni, esaminando le caratteristiche dei fenomeni entropici, si deduce poi che essi obbediscono ad alcuni principi essenziali: queste onde divergenti non possono esistere se non c’è la sorgente che le produce. Questa sorgente che emana l’onda e che è la condizione necessaria e sufficiente perché ci sia l’onda, si presenta allora come la causa in senso meccanico-fisico del fenomeno. I fenomeni entropici obbediscono quindi tutti a questo principio fondamentale e per essi caratteristico, il principio della causalità meccanica. E allora abbiamo un criterio molto semplice per riconoscere i fenomeni entropici: tutti i fenomeni che sono causabili, provocabili meccanicamente, anche con esperienze concettuali (perché ci sono cause così grandi che non possiamo metterle in atto in laboratorio), tutti i fenomeni di cui si può pensare una causa meccanica, si dimostrano essere fenomeni entropici.

Seconda proprietà di questi fenomeni: in un ambiente in cui si propagano le onde divergenti, queste si mescoleranno e alla fine si stabilirà una perturbazione pressoché uniforme. Per i fenomeni entropici si verifica quindi la proprietà che, col passare del tempo, si va verso un livellamento generale, si va cioè dal differenziato verso l’omogeneo, dal complesso verso il semplice. Cresce l’omogeneità, l’uniformità del sistema, e quindi anche la misura di questa uniformità, che si chiama l’entropia del sistema. E nella fisica infatti, per i fenomeni conosciuti, che sono tutti entropici, già era ammesso questo principio fondamentale: l’entropia cresce col tempo.

Ma adesso ci si può domandare (e qui nasce un problema importante): come è stata costituita questa nostra scienza? La scienza moderna è stata creata da Galilei col metodo sperimentale. In realtà, quali fenomeni abbiamo studiato nei nostri laboratori? Quelli che potevamo sperimentare, riprodurre in laboratorio che, cioè, potevamo causare. È successo quindi che noi, che pure siamo tanto orgogliosi della nostra scienza, abbiamo per tre secoli studiato fenomeni che, essendo sempre provocati da cause antecedenti, rientrano tutti nella categoria dei fenomeni entropici; ed è avvenuto che gli scienziati, credendo di aver dato fondo all’universo, hanno estrapolato a tutto l’universo proprietà e leggi che sono in realtà proprietà e leggi di una sola parte dell’universo, della parte meccanica o entropica del medesimo. Ma sarà questa l’unica parte dell’universo? Il calcolo suggerisce che ciò può non esser vero, che possono esserci altri fenomeni.

8. Principio di dualità (rovesciamento del tempo)

E allora vediamo un po’ che cosa si può dire sugli altri possibili fenomeni e cioè quelli sintropici. Come già si è visto, le equazioni ci mostrano infatti ( pur non avendo noi completa la struttura di esse) che, accanto ad onde divergenti, ci possono essere onde convergenti. Se esistono fenomeni sintropici, come potremmo riconoscerli?

In un primo momento mi ero visto perduto: avessi avuto almeno una espressione matematica completa della soluzione! Almeno  come si potevano tirar fuori le caratteristiche essenziali di questi fenomeni?

Fortunatamente, soccorre un principio abbastanza semplice. Siccome vige la teoria della relatività ristretta, questa fa sì che nelle equazioni ondulatorie fondamentali dell’universo, che non conosciamo per intero, deve però verificarsi sicuramente un fatto: esse debbono essere simmetriche rispetto ai due versi del tempo.

Ciò porta di conseguenza che se una tale equazione ammette una soluzione, ed è quindi possibile il fenomeno da essa rappresentato, qualora si rovesci il tempo in tale soluzione si ha ancora un’altra soluzione, e quindi l’immagine di un altro fenomeno pure possibile,che è in un certo senso la “negativa” o il fenomeno duale del precedente, come anche diremo, e che si ottiene da esso pensando semplicemente che il tempo scorra a ritroso.

Se prendiamo allora un fenomeno entropico, costituito cioè da onde divergenti, e immaginiamo che il tempo corra alla rovescia, avremo che queste onde divergenti diventano convergenti, e viceversa. Ecco che, rovesciando il tempo, i fenomeni entropici danno un’immagine di possibili fenomeni sintropici; inversamente, se un supposto fenomeno sintropico è tale che, col rovesciamento del tempo, ci dà l’immagine di un fenomeno che decorre come quelli entropici, avremo conferma di quanto avevamo pensato, e cioè che il fenomeno considerato è realmente sintropico.

Questo principio del rovesciamento del tempo io l’ho chiamato principio di dualità. È bene però avvertire esplicitamente che il tempo corre sempre nello stesso modo, e non c’è quindi in realtà nessuna inversione del tempo: questo è soltanto un artificio matematico, per capire come sono fatti i fenomeno sintropici. Si tratterà ora, infatti, di esaminare le negative, o i “duali” dei fenomeni entropici e di veder di ricavare da queste negative immagini di fenomeni sintropici più o meno fantastici, le proprietà caratteristiche, ora sconosciute, di questa seconda categoria di fenomeni.

9. Caratteristiche fondamentali dei fenomeni sintropici: principio di finalità e principio di differenziazione

Prendiamo perciò dei fenomeni sicuramente entropici, cioè qualunque fenomeno che possa essere da noi provocato, causato. Ad esempio, se io butto un sasso in acqua (causa), vedo poi delle onde divergenti (effetto). Immaginiamo di aver preso un film di questo fenomeno e proiettiamolo a ritroso: vedremo, da distanze grandissime, onde tenuissime che vanno convergendo verso un dato punto e che, arrivate al punto centrale, danno delle spinte così ben combinate al sassolino che sta in fondo allo specchio d’acqua, da farlo proiettar fuori.

Se si assistesse nella realtà a un fenomeno di questo genere, la prima esclamazione che verrebbe spontanea sarebbe sicuramente questa: un tale fenomeno non può essere dovuto al caso, esso è stato preparato apposta; queste onde infatti sembra che siano state combinate così bene, proprio allo scopo di far saltar fuori il sasso.

In questi fenomeni col tempo rovesciato, quali caratteristiche dunque si presenterebbero? Il sasso che cade nel fenomeno vero ci si presenta come la causa dell’onda divergente. Il sasso che risale nel fenomeno duale (fantastico) ci si presenterebbe invece come lo scopo del fenomeno, come il fine: tutto sembrerebbe disposto in maniera da raggiungere questo fine.

Secondo esempio di fenomeno che posso provocare: prendo un cannocchiale e lo espongo alle intemperie per un tempo abbastanza lungo; lo vedo arrugginire e incrinarsi e poi si fracassa, si sbriciola, si mescola con la ghiaia e la terra circostante. Immaginiamo di aver preso un film e di proiettarlo a ritroso. Il fenomeno che ne vien fuori sarebbe ancora più strabiliante. Vedremmo infatti dalla ghiaia separarsi dei rottami, dei frammenti informi e questi riunirsi, ripulirsi, riassettarsi, venendo a formare dei corpi geometrici regolari, le lenti, tutte dello stesso raggio, con curvature appropriate, vedremmo poi altri rottami informi che si riuniscono a formare dei tubi con diametro uguale a quello delle lenti e vedremmo queste lenti che vanno a mettersi al posto giusto in tali tubi, fino a costituire un cannocchiale completo.

Chi assistesse nella realtà a un tale fenomeno griderebbe senza dubbio al miracolo, poiché sembrerebbe che tutto fosse disposto verso un fine, quello di costruire un perfetto sistema ottico quale è un cannocchiale. In questo fenomeno immaginario, che però, come duale di un fenomeno entropico sarebbe sicuramente sintropico, vedremmo dunque agire un principio di finalità.

Il centro motore del fenomeno, nel caso di fenomeni entropici, precede il fenomeno e si presenta come la causa che sospinge il fenomeno, successivo nel tempo. In questi fenomeni col tempo rovesciato e cioè nei fenomeni sintropici, il centro motore invece si presenta dopo, come fine che attrae, che risucchia il fenomeno.

Altra proprietà importantissima. Nel caso del cannocchiale si vede un apparato differenziato, un sistema complesso, formarsi da un mucchio di rottami più o meno uniforme, nel fenomeno sintropico vediamo cioè che si passa da un sistema abbastanza omogeneo verso un sistema sempre più differenziato. Si vede cioè in atto un principio opposto a quello dell’entropia: diminuisce l’omogeneità del sistema, cresce la differenziazione del sistema stesso.

Debbo dir subito che, prima di tirar fuori questa mia teoria, mi sentii in dovere, dopo molti mesi di meditazione, di esporla a qualche fisico, perché pensavo che i fisici sarebbero stati i primi a scagliarsi contro di essa. Il fisico più autorevole, che consultai nel 1942, fu Laue, il grande scienziato a cui si deve, fra l’altro, la scoperta della diffrazione nei reticoli cristallini. Dopo un’ora di conversazione, in cui esposi i miei risultati, egli non sollevò nessuna obiezione ed aggiunse anzi:” ritengo che le cose senz’altro siano così”. E questo perché i fisici hanno in mano i mezzi per poter seguire i ragionamenti matematici.

Vedete dunque che, se questi fenomeni sintropici esistono, per essi sono in atto due principi radicalmente diversi da quelli entropici. Infatti questi fenomeni dovrebbero essere retti da un principio di finalità, che è fondamentale, tanto quanto lo è il principio di causalità meccanica per i fenomeni entropici, e cioè per i fenomeni fisici e chimici finora noti (perché riproducibili, causabili). Inoltre, per i fenomeni sintropici deve valere un principio di differenziazione sempre maggiore, che è opposto a quello dell’entropia, che vige per i fenomeni fisici e chimici. Quindi i fenomeni sintropici, se esistessero, presenterebbero caratteristiche abissalmente diverse da quelle dei fenomeni entropici, finora conosciuti.

In tale ipotesi, potremmo però noi sperare di poterli mai riprodurre nei nostri laboratori?

Poincarè aveva visto, nel caso particolare della luce, che ci potevano essere delle onde convergenti, ma siccome nelle nostre osservazioni di laboratorio non le abbiamo mai osservate, credeva che le onde convergenti, pure possibili, non esistessero in natura.

Ma è giusta questa conclusione? È lecito credere di potere nei nostri laboratori provocare dei fenomeni sintropici? Da quanto precede risulta infatti che nei laboratori noi provochiamo sempre i fenomeni che studiamo e quindi questi, automaticamente, per costruzione, risultano sempre entropici. È quindi sicuro che se anche i fenomeni sintropici ci sono nella realtà, noi non potremmo mai produrli in laboratorio.

Vediamo che allora le cose si cominciano a delineare abbastanza. Se questi fenomeni sintropici ci sono, infatti, essi non saranno mai riproducibili in laboratorio, dovranno obbedire a un principio di finalità, e a un principio di sempre maggiore differenziazione.

10. Identificazione dei fenomeni più tipici della vita come fenomeni sintropici

Guardiamoci ora intorno con occhio spregiudicato nel vasto mondo della natura e chiediamoci se questi fenomeni sintropici ci sono o no. Tutti diranno che un cannocchiale che si sfascia si può certamente vedere, ma un cannocchiale che si forma da sé nessuno l’ha mai visto.

Quando però un bambino sta per nascere, come si forma l’occhio? Ci sono tessuti pressoché uniformi, cellule che, da questo ammasso abbastanza omogeneo, si differenziano e vengono a formare una lente, il cristallino, mentre altre cellule vengono pure a riunirsi per formare un’altra lente, il corpo vitreo: lenti che hanno la curvatura dovuta, che vanno a situarsi da sé nella posizione dovuta, per formare un perfetto sistema ottico, l’occhio, ancora più perfetto del cannocchiale.

Riflettete ora se la formazione dell’occhio del bambino che sta per nascere non sia un fenomeno che presenta tutte le caratteristiche meravigliose del cannocchiale che si ricostruisce. L’unica differenza è nella materia dei due fenomeni: nel cannocchiale c’è del ferro e del vetro, nell’occhio c’è della sostanza organica, ma le leggi, le regolarità sono identiche; in entrambi v’è un meraviglioso principio di finalità che guida il fenomeno, e insieme una differenziazione sempre più spinta.

Io credo che bisogna essere ciechi per non vedere che questo non può essere uno di quei tanti fenomeni di cui si occupano i fisici e i chimici, fenomeni tutti causabili in laboratorio, mentre nessuno riuscirà a fabbricare un occhio vitale in laboratorio. Pensato ancora all’orecchio, all’organo del Corti, al numero sterminato di apparati complessi e differenziatissimi che ci sono nel corpo umano, differenziati e rivolti a fini, precisi e coordinati.

Mi pare evidente che nel corpo umano, nel corpo degli animali e delle piante e in generale in ogni essere vivente noi vediamo sicuramente in atto queste leggi: si passa dal semplice al complesso, guidati da una finalità.

Che cosa se ne deve concludere? A me sembra naturale che, una volta che la teoria prevede fenomeni, quelli sintropici, che obbediscono appunto a tali leggi, e l’esperienza ci presenta fenomeni che rispondono in tutti i particolari alle caratteristiche previste dalla teoria, si deve arrivare alla conclusione, come si è fatto in tanti altri casi  nella storia della scienza, che i fenomeni sintropici ci sono effettivamente nella realtà e fondamentalmente la grande maggioranza dei fenomeni sintropici più importanti sono proprio da identificarsi coi fenomeni più tipici e finora più misteriosi della vita.

Dunque, nella vita è da ritenere che ci siano veramente questi nuovi fenomeni. E allora vedete che la scienza moderna viene a cambiare completamente il panorama che veniva offerto dalla scienza anche solo cinquant’anni fa.

La scienza del secolo passato ed anche quella del principio di questo secolo pretendeva infatti di spiegare tutto l’universo, e in particolare la vita, come un complesso di fenomeni puramente meccanici, fisici e chimici, cioè di fenomeni puramente entropici. In tale quadro l’essere vivente si  presentava come un meccanismo, come un automa, che doveva cercare la sua spiegazione nel passato.

Ora, invece, con questa nuova teoria unitaria, la vita si presenta sotto una luce del tutto diversa e si deve anzi pensare che quello che costituisce l’essenza della vita si trova proprio in quest’altra parte di fenomeni, e cioè in un complesso di fenomeni sintropici. Non si esclude con ciò che ci siano anche fenomeni entropici nella vita. Se ci sono onde convergenti (fenomeni sintropici),è da pensare infatti che queste onde ridiventino poi divergenti, dando così luogo a fenomeni entropici susseguenti ed equilibratori dei primi, che però verranno trascinati dalla finalità di questi.

Esempi se ne hanno nei processi di combustione, di digestione, ecc. e in genere nel complesso dei cosiddetti processi catabolici (entropici) di demolizione e dissipazione, susseguenti a quelli anabolici (sintropici) di costruzione e di sintesi, che insieme costituiscono appunto il ricambio materiale ed energetico degli esseri viventi. Ma rispetto alle vecchie idee scientifiche c’è una cosa fondamentalmente diversa: mentre prima si credeva che i fenomeni puramente fisici e chimici (entropici) esaurissero la vita, adesso vediamo che la vita va concepita nella sua essenza anzitutto come un complesso di fenomeni sintropici, finalistici.

C’è nella vita questo anelito verso il futuro, che non si può ridurre, non si può spiegare con un meccanismo, orientato, mosso solo dal passato. Noi viviamo sempre in vista di qualche fine, siamo sempre più collegati al futuro che al passato. Il richiamo continuo di tutti gli esseri viventi, dal più semplice al più elevato, sta situato nel futuro, essi agiscono in funzione del futuro e non del passato.

Credo ora utile dare qualche altro esempio di fenomeno sintropico. Il principio di dualità ci ha permesso di scoprire le proprietà essenziali dei fenomeni sintropici, ricavando le immagini di questi da quelle dei fenomeni entropici col rovesciamento del tempo. Prendiamo ora un altro fenomeno, la combustione del legno, delle foglie secche, che si può sempre provocare, causare, e che quindi è sicuramente un fenomeno entropico.

Vediamo come si svolge: abbiamo prima un sistema molto differenziato (in una foglia, in un pezzo di legno, c’è una quantità di sostanze chimicamente diverse, cellule, strutture complicate, ecc.) che, quando brucia, assorbe ossigeno dall’aria ed emette anidride carbonica, acqua, calore e luce rossastra. Immaginiamo adesso di mandare alla rovescia il tempo e di osservare cos’ il fenomeno duale: vedremmo un corpo che assorbe l’anidride carbonica e l’acqua, invece di emetterle e che, invece di assorbire, emette ossigeno, inoltre assorbe calore, e luce rossastra.

Ma un corpo, che assorbe luce rossastra dalla luce bianca del sole, ci rimanda le radiazioni rimanenti della luce bianca e quindi ci appare del colore complementare del rosso, che è il verde.

Quindi il fenomeno duale della combustione si presenta come un fenomeno finalistico, in cui si vedrebbe un corpo di colore verde che assorbe acqua, anidride carbonica, calore ed emette ossigeno. Ma questo è il processo clorofilliano, almeno nelle sue grandi linee, quale appunto si svolge nelle foglie verdi delle piante.

Così pure si spiegano benissimo come fenomeni sintropici, finalistici, non riproducibili né dall’uomo né da altri agenti naturali, i fatti meravigliosi della apparizione, nella storia del nostro pianeta, di tante specie viventi, così ricche, e sempre più differenziate, di cui indarno le teorie darwinistiche tentano di dare una spiegazione con sole cause “efficienti” e cioè con cause fisiche, meccaniche, che quindi ridurrebbero tali fatti della vita a puri processi entropici. In tal caso infatti, dovrebbe valere per essi anche il principio dell’entropia, e si sarebbe quindi dovuto osservare, col passare del tempo, una corsa degli esseri viventi verso una sempre maggiore semplificazione, mentre, almeno nelle grandi linee, è proprio l’opposto ciò che si è effettivamente verificato.

Vediamo così che alcuni di quei processi della vita che i biologi ritenevano oscuri e non completamente spiegati, in questo nuovo quadro presentato dalla mia teoria unitaria vengono ad essere chiariti, almeno nelle linee generali e si può così comprendere anche il perché delle difficoltà che si incontravano nel vano tentativo di voler inquadrare in uno schema puramente meccanico ciò che meccanico non è. È infatti chiaro che da questi tentativi debbano venir fuori contraddizioni coi fatti e impossibilità di ogni specie.

Oggi dunque, mentre possediamo abbastanza bene le scienze del mondo entropico, dei fenomeni meccanici, causalistici e cioè, praticamente, della quasi totalità dei fenomeni fisici e chimici, siamo invece ancora all’inizio della conoscenza di quella che è l’altra metà dell’universo e cioè del complesso dei fenomeni sintropici. Per la scienza si apre quindi un nuovo campo di lavoro, di un’estensione sterminata.

11. Essenza della vita: tendere a fini. Per l’uomo vivere è amare

Vediamo ora, in conclusione, che cosa si può dire per la vita. Quello che distingue la vita dalla non vita è dunque la presenza, negli esseri viventi, di questi fenomeni sintropici, finalistici, come fenomeni tipici della vita. Ora come si considera essenza del mondo entropico, meccanico, il principio di causalità, è naturale considerare essenza del mondo sintropico il principio di finalità. Quindi l’essenza della vita è proprio in questo principio di finalità. Vivere, in sostanza, significa tendere a fini. In particolare, nella vita umana, che aspetto prendono questi fini? Quando un uomo è attratto dal denaro, si dice che “ama” il denaro. L’attrazione verso un fine, per noi uomini, è sentita come “amore”. Noi vediamo dunque che la legge fondamentale della vita umana è questa: la legge dell’amore. Non sto facendo una predica sentimentale; io visto esponendo dei veri e propri teoremi dedotti logicamente da premesse sicure, ma è certo meraviglioso e forse commovente che, arrivati ad un certo punto, quelli che sono teoremi parlino anche al nostro cuore!

Noi vediamo così stampate nel gran libro della natura – che, diceva Galilei, è scritto in caratteri matematici – le stesse leggi che sono scritte nel Vangelo. Che la legge fondamentale dell’uomo sia legge d’amore sta scritto nel Vangelo, ma sta scritto anche nella stessa natura. Più in generale, la legge della vita non è dunque la legge dell’odio, le legge della forza, cioè delle cause meccaniche, questa è la legge della non vita, è la legge della morte; la vera legge che domina la vita è la legge dei fini, e cioè la legge della collaborazione per fini sempre più elevati, e questo anche per gli esseri inferiori. Per l’uomo è poi la legge dell’amore, per l’uomo vivere è, in sostanza, amare, ed è da osservare che questi nuovi risultati scientifici possono avere grandi conseguenze su tutti i piani, in particolare anche sul piano sociale, oggi tanto travagliato e confuso.

Queste sono le conclusioni essenziali di questa mia teoria unitaria. Sin qui siamo sul piano puramente naturale; siamo arrivati a tratteggiare un principio unitario di tutte le scienze e credo che in ciò consista il valore principale del contributo offerto dalla presente teoria.

In tale quadro rientrano infatti perfettamente tutte le scienze fisiche e chimiche, ma anche le scienze biologiche e se volete, per quanto riguarda il piano naturale, anche quelle psicologiche, morali, sociali, in cui però entrano altri fattori essenziali: la coscienza e la libertà.

La legge della vita è dunque legge d’amore e di differenziazione, non va verso il livellamento, ma verso una diversificazione sempre più spinta. Ogni essere vivente, modesto o illustre, ha i suoi compiti e i suoi fini che, nell’economia generale dell’universo, sono sempre pregevoli, importanti, grandi.

Capitolo III

Scienza moderna e religione

12. La finalità dell’universo come manifestazione di una Intelligenza suprema

Sotto la luce di questa teoria unitaria i rapporti tra scienza unificata e religione cambiano però fondamentalmente. La scienza sta diventando da sé più religiosa. Questo corso che si è intitolato “Il Cristianesimo e le scienze” credo si possa concludere dando un rapido accenno al Cristianesimo e alla scienza, sempre più unitaria.

Che cosa si vede nei rapporti tra scienza e religione? Intanto possiamo subito prendere in esame questi risultati ultimi che abbiamo rilevato. Il fatto che ora la finalità dell’universo si presenti non più solamente come un principio metafisico, che gli scienziati del secolo scorso respingevano perché dicevano estraneo alla scienza, ma come un portato naturale, necessario, delle stesse equazioni scoperte dai fisici, sullo stesso piano su cui si presenta il principio di causalità meccanica, fa sì che tale finalità non si può respingere nella scienza stessa. Le cose rivanno così al loro posto. Questa stessa scienza, che prima si era presentata come una ribellione contro la fede, contro la religione, e in particolare contro ogni finalismo, ora invece che è giunta a una maggiore maturità si accorge da sé, senza interventi coattivi dal di fuori, della necessità che accanto alla causalità meccanica ci sia nell’universo una finalità. E questa finalità la vediamo non più solo coi sensi, ma con l’intelletto. Che ci fossero dei fenomeni finalistici era evidente anche prima, per chiunque, e ci voleva la buona volontà di alcuni scienziati del secolo scorso per negarlo. Essi ai metafisici dicevano infatti: abbiate pazienza, tra un secolo, tra qualche secolo, spiegheremo tutto questo, che sembra finalistico, con uno schema meccanico. Ora invece è la scienza stessa a farci vedere che deve esserci un finalismo nell’universo, non solo coi dati dei sensi, bensì come una conseguenza matematica delle stesse equazioni che vengono date dai fisici per i fenomeni meccanici, ma che hanno una portata molto più ampia.

Avviene sempre, infatti, che con lo strumento matematico si risale a qualche legge che spiega un punto di partenza, ma che insieme dà molto di più. I dati della meccanica e della fisica ci hanno portato così ad equazioni fondamentali per questi rami della scienza, equazioni che però ci fanno vedere la necessità della finalità.

Ma se noi ci sentiamo sicuri, non solo perché lo dice il senso, ma anche l’intelletto, che esiste una finalità, allora dobbiamo tirare le necessarie conclusioni, confrontando questa certezza con quello che è il nostro modo  di agire. È infatti proprio di un essere intelligente agire in vista di un fine e disporre di mezzi adeguati a perseguirlo. Quindi la spiegazione di una struttura finalistica si può avere soltanto come rivelazione di un’intelligenza.

Quando noi vediamo stampato in modo certo, sicuro, matematico, questo principio di finalità nell’universo naturale, noi per forza dobbiamo dunque pensare che attraverso questa finalità si sente la presenza di un essere intelligente; che l’unico modo di spigare questa finalità è ammettere l’esistenza di un Essere intelligente. E dove mai potrà trovarsi questo Essere? È chiaro che non può stare dentro la natura stessa, perché è un’intelligenza che dispone le cose della natura verso fini. Questo Essere deve stare al di fuori: e allora siamo portati per forza a questa considerazione, che l’universo naturale non si può esaurire logicamente in se stesso, non è logicamente concluso, non si può spiegare da sé solo, ma ha bisogno di qualche altra cosa.

Vediamo che la scienza ci porta a questo punto, che cioè non possiamo fermarci allo studio della sola natura. Qui veramente è questione di ragione. Quando si parla di razionalismo bisogna affrontare una delle due soluzioni: se volete restare nella sola natura, dovete rinunciare alla spiegazione di questa finalità; ma, se veramente volete essere razionalisti e arrivare sino in fondo, non potete negare che dovete domandarvi il perché di questa finalità. E allora dovrete cercare una spiegazione in qualche cosa che sta al di fuori dell’universo naturale.

Ecco la necessità di qualche altra cosa evidente, reale, che possa spiegare l’universo naturale. La scienza è costretta ad uscire dal campo della pura natura.

13. La virtù eroica come prova del trascendente

Ma c’è un altro motivo, per cui siamo costretti ad uscire dalla natura. Prendiamo il principio di dualità già ricordato, che consiste nel rovesciamento del tempo. Se la natura fosse logicamente completa, che cosa ne deriverebbe? Noi assistiamo al fatto, nel campo entropico, che le cause più vicine sono quelle che hanno maggiore influenza delle cause lontane; ed anzi, una causa anche intensissima può alla fine, se allontanata, avere minore influenza di una causa molto meno intensa, ma più prossima.

Dualmente che cosa dovrebbe avvenire? Rovesciando il tempo si dovrebbe avere il fatto stesso, dovrebbe cioè avvenire che un fine lontano avrebbe minore influenza di un fine vicino; e questo in molti casi, nei casi naturali, avviene. Un fine, anche importantissimo, agisce, se allontanato, quanto un fine di minore importanza e viene ad essere sommerso dall’attrazione di un fine anche poco intenso, ma più vicino.

Questa dovrebbe essere la legge generale. Si verifica sempre questa legge? Noi vediamo che l’uomo, soprattutto nella sua condotta morale, è attratto da diversi fini. Un problema fondamentale consiste anzi nel vedere quale sia la gerarchia di questi fini. E che cosa vediamo? Che un uomo può essere maggiormente attratto da un fine lontanissimo, che non affievolisce mai la sua azione per la distanza, come avverrebbe invece se fossimo in un piano naturale e puramente deterministico. Qui, evidentemente, le leggi di pura natura non sono rispettate. Sono i casi della virtù eroica, in cui l’uomo attratto da un nobile fine sacrifica anche la vita che, per la sua stessa immediatezza, è influentissima, restando sempre attratto da questo fine lontano, che dovrebbe attenuarsi, ma che conserva invece tutta la sua efficacia.

Ed in certi casi vediamo qualcosa di più: che abbiamo fini che non possiamo localizzare nello spazio e nel tempo, e cioè nella pura natura. Ad esempio quello dello scienziato che ricerca la Verità. Dov’è localizzato questo fine che attrae lo scienziato? Non è localizzato in questo mondo, naturalmente, eppure ha la sua influenza. Chiunque si occupi di scienza sente con che forza agisce questo richiamo, che noi sentiamo non essere di questo mondo, ma al di là di esso.

14. La ragion d’essere della realtà: Dio

Terzo argomento fondamentale: noi abbiamo visto che tutto l’universo naturale viene unificato nello schema di questa equazioni ondulatorie e che tutto l’essenziale è racchiuso in quei certi termini che sono uguali per tutte. È la struttura di questi termini che è la ragione insieme della causalità e della finalità dell’universo. È questo suggello impresso in tutte le leggi naturali che è alla radice di tutto quel che si è detto; è di lì che discende tutto quanto.

Ma, se non vogliamo fermarci sulla via dei perché, è naturale domandarci: di equazioni possibili, nell’universo matematico, ce ne sono in numero infinito: non solo queste di secondo ordine, ma di terzo, di quarto ordine, ecc., di nature diversissime. Perché dunque, tra tante leggi possibili, quella che noi vediamo realizzata nell’universo naturale è solo questa e non un’altra?

Caratteristica della scienza moderna ( di fronte al carattere della scienza del secolo scorso, in cui si dava forse più importanza ai sensi che alla pura ragione) derivata dalle tante scoperte cui ho accennato (onde hertziane, scala periodica di Mendelejeff, ecc.) è quella di essere andata sempre più evolvendo nel senso che oggi non l’elemento sensibile ha la prevalenza ma l’elemento razionale. I positivisti credevano esistente solo quello che vedevano, che passava attraverso i sensi; ma ormai la scienza moderna sa che quello che passa attraverso i sensi non è la cosa più importante. Si è cominciato di lì, ma i grandi successi ottenuti dalla scienza attraverso il suo sviluppo e il suo orientamento sempre più razionale, hanno costretto a modificare quel punto di vista. È questa razionalità dell’universo ciò che la scienza moderna ha sempre più verificato e dimostrato. Se le caratteristiche del reale sono queste, l’elemento sensibile e l’elemento razionale, ma soprattutto il razionale, non ci si può fermare sulla via della ricerca delle ragioni sempre più alte delle cose.

Come si spiega, infatti, che nell’universo naturale sia in atto solo un certo tipo di equazioni e non un altro? Ci deve essere un perché. Cos’è che ha fatto uscire dall’infinito universo matematico (ricordiamo che, a differenza di quanto si poteva credere nel passato, la scienza è riuscita a dimostrare che l’universo matematico non ha limiti, e che noi non potremo mai esaurire, con la nostra conoscenza, tutti i teoremi possibili) solo una certa parte che si verifica nell’universo naturale?

Questo qualche cosa, che fa uscire una parte dell’universo matematico dal campo della pura logica per entrare nel campo della piena realtà, questa ragione della realtà naturale, evidentemente, la dobbiamo trovare al di fuori della natura stessa. Se poi pensiamo a tutta la realtà, anche a quella che può esservi al di fuori, che cosa si dovrà concludere?

Il quadro complessivo della realtà conterrà l’universo naturale e tanti altri enti che non abbiamo la possibilità di indagare coi sensi. Ma quale informazione ci può venire da questi enti? Non attraverso l’osservazione diretta dei sensi, ma solo attraverso una rivelazione al nostro intelletto. Nulla di strano che questi enti ci vengano fatti conoscere attraverso una rivelazione; del resto questa è l’unica via per conoscerli. Gli apparecchi dei sensi lasciati a se stessi non ci possono dir niente di tutto questo immenso universo extranaturale.

Noi vediamo che per poterlo chiudere logicamente, dovendo essere razionale nella sua totalità, il nostro universo deve postulare qualche cosa che è la ragione della realtà di tutto ciò che esiste.

Questo Essere cui la stessa scienza per tante vie ci conduce, questa Ragione suprema di tutto ciò che esiste, questo Principio che trascende l’universo stesso e che è l’alfa e l’omega, la radice e il sostegno di tutte le cose, non può essere che Dio.

15. Studium Christi e ricerca della verità

Questo Iddio, di cui la nostra ragione insistentemente ci parla, si è manifestato storicamente in Cristo. Non spetta a me esporre e vagliare le prove della divinità di Cristo. Tuttavia, confrontando la meravigliosa coincidenza di alcuni principi del Vangelo coi principi che la stessa scienza va faticosamente distillando, a distanza di millenni, dalle osservazioni della natura (come ad esempio il principio dell’amore), sentiamo di trovarci non di fronte a un libro umano, ma davanti a un’opera divina; non possiamo così non far credito a Cristo anche per tutte le altre cose che ci ha insegnato, rivelandoci un mondo superiore e promettendoci la forza di pienamente conquistarlo.

In particolar modo, oltre al principio dell’amore che, come abbiamo veduto, coincide mirabilmente con le più alte conquiste della scienza moderna, noi sentiamo Cristo il quale afferma:”Io sono la verità”. Egli dunque non ha detto semplicemente:”Io vi dico la verità”, ma “Io sono la verità”.

E allora che cosa si può dire circa i rapporti tra scienza e religione?

Questo è un corso dello Studium Christi; è uno studio per la ricerca amorosa di Cristo. Quando si fa la scienza non si fa che uno studio, una ricerca amorosa della verità. Sono questi due termini, Cristo e Verità, diversi tra di loro?

Quando si studia rettamente, senza secondi fini indegni della grandezza dell’uomo, quando si cerca la  verità solo per amore della verità e per rispondere all’attrazione che la verità esercita su di noi, che cosa si fa veramente?

A me sembra di poter affermare con sincerità e sicurezza che la ricerca della verità, in ultima analisi, non sia altro che la ricerca di Cristo.

Mi sembra quindi naturale che il presente corso dello Studium Christi si debba concludere in questo modo: lo studio di Cristo e lo studio della verità non sono cose diverse, ma finiscono per essere la stessa cosa.

La scienza moderna sta riaccostandosi alla religione; ciò non deve stupire. Ricordiamoci come è nata la scienza moderna e quali sono le caratteristiche più alte e più nobili. E facciamoci ancora una domanda: perché la scienza, come noi oggi la concepiamo, non nacque in Cina, in India, in Egitto e in nessuna delle civiltà antiche? In quelle civiltà lontane vi furono sì delle scuole, delle sette che cercavano la verità, ma poi si chiudevano in circoli ristretti e segreti, quasi temendo di comunicarla ad altri, quasi mettendo la verità al servizio di altri interessi.

Nel mondo cristiano, ove si è sempre predicata la verità per la verità, nulla di tutto questo. La verità è aperta per tutti gli uomini, senza distinzione di razza, di colore e di classe; è il precetto cristiano che dice di amare la verità e altamente proclama:”La verità vi farà liberi”.

Si comprende allora che chi cerca la verità, come fine a se stessa, quando l’abbia raggiunta, arrivando a scoprire nuove formule, nuovi dati, nuovi teoremi, provi una gioia ineffabile; una gioia che può confrontarsi solo con un’altra: quella di poter comunicare agli altri il frutto della propria scoperta; una gioia che non può essere che un anticipo di un’altra: quella di poter comunicare agli altri il frutto della propria scoperta; una gioia che non può essere che un anticipo di quell’altra, cui fermamente crediamo, e che ci sarà offerta quando potremo raggiungere tutta quanta la Verità, cioè Dio.

Le caratteristiche fondamentali di questa scienza moderna, presa nel suo significato più nobile, sono dunque la ricerca della verità per se stessa e la comunicazione della verità a tutti gli altri. Queste caratteristiche della scienza, nata dalla nostra civiltà occidentale, esprimono come essa sia figlia del Cristianesimo, perché solo il Cristianesimo, che predica l’amore della verità per la verità, poteva dare questo grandioso frutto. È quindi naturale che, dopo accidentali errori e parziali deviazioni, la scienza nostra d’Occidente debba di nuovo sboccare sulla via della religione, dalla quale essa ha iniziato i suoi primi grandi passi.

16. Responsabilità degli scienziati e dei credenti

Da tutto quanto si è detto appare evidente la grande responsabilità che incombe su tutti gli scienziati e su tutti i credenti. Già prima di me altri oratori hanno messo in luce l’enorme responsabilità di ogni scienziato e gli impegni che ne derivano: prima di tutto quello di non tradire la verità, lasciandosi suggestionare da secondi fini meno nobili, e in secondo luogo di non applicare la scienza a fini tecnici che divengano dannosi per l’uomo.

Permettete tuttavia che uno scienziato possa parlare anche della responsabilità dei credenti a questo riguardo. Bisogna che i credenti non vedano nello scienziato un nemico. Lo scienziato che cerca la verità per la verità, è sulla via di Dio.

Se riusciremo ciascuno a prendere piena coscienza dei nostri compiti – lo scienziato nei confronti della religione e il credente nei confronti della scienza – un grande passo sarà fatto sulla via del progresso umano.

E così, noi, ai colleghi della scienza che credono di non avere Dio, ma che cercano la verità per amore della verità, potremo dire: quel Dio che voi credete di non possedere c’è, e già lo amate; voi pensate di non possedere alcuna fede religiosa; in realtà le siete molto più vicini di quanto voi stessi possiate immaginare.

D’altra parte si apre davanti al nostro sguardo un compito immensamente vasto. Vi sono interi continenti in cui gli uomini sono affascinati, anzi direi ossessionati, dalla scienza. Sono stato in America e l’ho potuto constatare coi miei occhi; mi si dice che la stessa cosa avvenga nel vasto mondo slavo. Altri valori potranno ivi essere presi più o meno in considerazione; una cosa però è universalmente stimata, la scienza: tutti credono nella scienza.

Se a queste persone che pensano di non credere in Dio, ma che credono invece fermamente nella scienza, noi potremo far capire che proprio la scienza stessa, nelle sue grandi linee e al vertice della sua strada, conduce sicuramente a Dio, noi potremo aprire una grande porta, attraverso la quale passeranno interi popoli, proprio per mezzo di quella scienza, che nel secolo passato molti reputavano come nemica della religione.

Così operando potremo tutti insieme contribuire a riconoscere e ad avvicinare sempre più quel Regno di Dio, che è l’aspirazione costante di tutti i cristiani degni di questo nome, che non si limitano ad aspettarlo passivamente come un dono, ma sentono il dovere di dare tutta la loro libera volontà e di offrire tutte le loro forze per affrettarne la realizzazione!

Luigi Fantappié, Conferenze scelte, Di Renzo Editore, Roma 1993, pp. 35-57.