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I giovani e la matematica

Ennio De Giorgi
1979

da un inedito in Atti del Seminario di Studio Ennio De Giorgi tra scienza e fede, Lecce il 6 dicembre 2006,

Si tratta di un inedito trovato tra i documenti del matematico italiano Ennio De Giorgi (il titolo è del curatore), preparato per la rivista di divulgazione «Angolo acuto, Palestra per i Giovani appassionati di Matematica» (Firenze), periodico mensile (a cura di Giuseppe Spinoso) fondato nel 1970 e che ha cessato la pubblicazione nel 1979, data a cui probabilmente risale questo scritto. De Giorgi era ben noto al mondo scientifico per aver risolto nel 1957 il XIX problema di Hilbert, alla cui soluzione si erano dedicati per oltre mezzo secolo i più importanti studiosi di matematica. In questo testo egli sprona i giovani allo studio della matematica, di cui vide sempre il valore umanistico e le potenzialità a favore della pace e dello svilupppo, sottolineando in particolar modo il suo valore sapienziale, intendendo qui la parola sapienza nel suo significato più ampio.

A differenza del ragazzo inclinato verso gli studi di fisica, ingegneria, biologia, economia, filosofia, lo studente portato alla matematica non trova nei giornali, nella televisione, nell’opinione pubblica molto incoraggiamento a proseguire nello studio della Matematica, che sembra un po’ lontana dallo sviluppo della cultura e della vita contemporanea. Qualche incoraggiamento può venirgli dalla pratica acquisita nel campo dei calcolatori che per lo più i giovani imparano a maneggiare molto più rapidamente degli adulti. Ma anche in questo campo resta un po’ un equivoco di fondo sui rapporti tra matematica e informatica, la cui definizione è abbastanza difficile così come è difficile definire con chiarezza i rapporti tra la “Matematica pura” e la “Matematica applicata” o meglio ancora tra Matematica e altri rami del sapere.

Penso che tutte queste difficoltà derivino in parte dallo scarso interesse dei mass-media per la matematica, in parte da una certa sfiducia dei matematici nel valore della loro scienza, nella possibilità di comunicarla, nell’arricchimento umano che potrebbe venire a tutta la società da questa comunicazione.

Gli stessi matematici in fondo sono spesso rassegnati all’idea che la loro disciplina sia troppo formale ed astratta per suscitare un vero entusiasmo paragonabile a quello che possono suscitare la musica, la pittura, quel vero interesse per la vita e i problemi quotidiani degli individui, delle famiglie, dei popoli che è all’origine del lavoro di un economista, un giurista, o uno storico.

Per questo cercherò di segnalare alcuni aspetti di quello che io chiamo il valore sapienziale della Matematica, intendendo la parola sapienza nel suo significato più ampio, che comprende scienza e arte, immaginazione e ragionamento, giustizia e misericordia, prudenza e generosità, desiderio di comunicare le proprie idee e di comprendere le idee altrui in una atmosfera di fraterna fiducia.

Da questo punto di vista mi sembra importante il fatto che i matematici siano riusciti a sviluppare un linguaggio e un sistema di idee facilmente comunicabili tra persone di diverse nazioni, religioni, culture, che forse i matematici, quasi senza accorgersene, siano riusciti a superare tante barriere che ancora dividono gli uomini. Si può aggiungere che in fondo ogni persona naturalmente dotata di attitudine alla matematica può abbastanza rapidamente raggiungere degli ottimi risultati anche se parte da basi culturali molto limitate, che degli studi matematici di ottimo livello possono essere condotti anche in paesi economicamente poveri e tecnicamente arretrati, che la matematica meglio di altre discipline può essere per così dire “innestata” su tutte le culture, può attrarre sia persone con mentalità più pratica e più attiva che trovano nella matematica un potente strumento di lavoro, una potente forza di progresso, sia persone con mentalità più teorica e contemplativa che in fondo trovano nella matematica le occasioni più ricche di riflessione e di contemplazione del tutto disinteressate.

Si potrebbe dire qualcosa di più: per esempio che tutta la matematica pura ed applicata è un continuo passaggio dal concreto all’astratto e dall’astratto al concreto, che le teorie rimandano agli esempi e gli esempi rimandano alle teorie.

Potremmo dire che, pur rispettando la varietà dei caratteri e delle doti naturali delle diverse persone, una meditazione sulla matematica ci dice che il mondo concreto e il mondo dei principi astratti non possono essere separati, che la saggezza è soprattutto armonica intesa tra persone più o meno portate all’azione o alla contemplazione, alla concretezza o all’astrazione, ma ugualmente convinte della necessità di capirsi e di collaborare.

Oltre ad una reale possibilità di comprensione tra uomini dello stesso tempo penso che la matematica offra singolari possibilità di comprensione tra uomini di epoche diverse, che l’innovazione matematica è forse la meno “distruttiva” tra le diverse forme di innovazione proprie di altre discipline e di altre attività umane.

Dopo millenni, i teoremi di Pitagora, Talete, Euclide, Archimede sono ancora pienamente validi, anche se con il progresso della Matematica è cambiato il linguaggio in cui vengono esposti e si è molto allargato il quadro generale in cui vengono presentati. Egualmente la scoperta delle geometrie non euclidee nulla ha tolto all’importanza della geometria euclidea, anche se ha molto allargato il campo delle realtà che la matematica cerca di esplorare. Avendo usato la parola “realtà” si può aggiungere che gli enti considerati in matematica, la loro natura, reale o ideale, convenzionale, attuale o potenziale etc., sono sempre stati tra gli oggetti più interessanti della riflessione filosofica e mi dispiace solo di non avere le cognizioni necessarie per dare un’idea sintetica di tutto ciò che i maggiori filosofi hanno detto su questo argomento. Mi mancano pure le cognizioni necessarie per parlare della storia della matematica e di tutto ciò che essa ci può insegnare. Mi limiterò solo ad osservare che talvolta anche grandi matematici hanno commesso qualche errore nella dimostrazione di un teorema o per lo meno hanno fornito dimostrazioni incomplete e poco soddisfacenti, anche rispetto alle esigenze dell’epoca in cui sono state scritte. È invece assai difficile che un grande matematico enunci teoremi complicati, oscuri, poco interessanti, che in ultima analisi non meritano nemmeno lo sforzo di affaticarsi a stabilire se le dimostrazioni proposte siano corrette o no. Dirci che in fondo l’arte del matematico è in primo luogo l’arte del buon testimone che cerca di esporre con chiarezza le cose che sa e che ritiene importanti e solo in un secondo momento è l’arte del buon avvocato capace di convincere chi lo ascolta della verità di ciò che afferma. Con questo non voglio sottovalutare l’interesse delle dimostrazioni matematiche; con esse il matematico collega tra loro affermazioni apparentemente lontane, arrivando ad una più profonda comprensione delle idee fondamentali di una teoria, ai accorge che un gruppo di assiomi apparentemente abbastanza povero può rivelarsi molto più ricco di conseguenze interessanti di quanto non appaia da una prima affrettata valutazione. Naturalmente il discorso può anche essere rovesciato, da parte di chi tenta di introdurre nuovi concetti matematici. La valutazione delle conseguenze di un determinato gruppo di assiomi può anche indurre ad abbandonare una impostazione che si riveli meno interessante del previsto e scegliere nuove vie che si spera portino più lontano e raggiungano mete più interessanti.

Uno degli insegnamenti della ricerca matematica che credo abbia un valore umano oltre che tecnico è la disponibilità che il ricercatore deve mantenere di fronte agli sviluppi più impensati del suo lavoro, la disponibilità a quello che in altre occasioni ho chiamato “lo sfruttamento dell’insuccesso”. Accorgersi che una congettura la cui dimostrazione è stata tentata con molti sforzi e con grande fatica è falsa non è una tragedia, ma può essere anzi una buona occasione per scoprire nuove direzioni di lavoro a priori impensate. Accorgersi dell’errore e riconoscerlo è un atto di onestà intellettuale senz’altro apprezzabile. Partire da questo riconoscimento per riprendere con maggiore slancio nella proprio ricerca muovendosi verso direzioni nuove e più promettenti è un atto di intelligenza attraverso cui in fondo il ricercatore più moderno si ricollega alla sapienza più antica, a Socrate che diceva di sapere di non sapere, a re Salomone che chiedeva al Signore la saggezza necessaria a dirigere un regno per il cui governo non si sentiva abbastanza esperto.

Dovendo dare un consiglio ad un giovane a cui piace la ricerca matematica, gli raccomanderei di mantenere sempre una grande disponibilità ad uno sbocco inatteso del suo lavoro, a pensare che una vera ricerca è sempre quella di cui a priori non si può prevedere la conclusione.

Nello studio dei problemi più difficili consiglierei sempre la tattica del lavorare su due fronti: cercare da una parte la dimostrazione che un certo teorema ritenuto interessante, è vero, cercare di trovare controesempi i quali provino che l’enunciato di cui si è cercata la dimostrazione è falso; le difficoltà incontrate in una direzione si trasformano allora in aiuti per procedere nella direzione opposta.

Naturalmente non è da escludere che vi siano teoremi interessanti apparentemente refrattari sia alla dimostrazione che alla confutazione, per esempio vi è il classico “ultimo teorema di Fermat” (1) il quale afferma che se n è un intero maggiore di 2 non esistono tre interi positivi a, b, c tali che an = bn+cn . In questo caso occorre che il matematico non si disperi di fronte ai ripetuti insuccessi ma sappia godere accorgendosi di aver trovato un “bel problema” dove nel termine “bel problema” includiamo due aspetti: un enunciato semplice, chiaro, elegante ed una grande difficoltà nello smentire o confermare l’enunciato stesso. Alla contemplazione del bel problema il matematico può unire sia la ricerca intorno ad argomenti diversi abbastanza interessanti e meno difficili, sia le possibili variazioni sullo stesso tema, che possono consistere tanto nella considerazione di qualche caso particolare significativo che in quella di una classe più generale in cui rientra il problema precedente considerato. Non si può in genere dare una regola assoluta per stabilire a quale livello di generalità il matematico debba fermarsi, in questo entra in modo determinante quella dote indefinibile che è il gusto matematico, e che rende il lavoro del matematico partecipe un po’ del lavoro dell’artista e di quello dello scienziato sperimentale.

Al pari dell’artista il matematico cerca le soluzioni ed i problemi “più belli”, ed armoniosi, al pari dello scienziato sperimentale il matematico deve essere pronto a modificare le proprie ipotesi di lavoro sulla bade dei risultati via via ottenuti.

Queste attitudini sono importanti sia per il matematico che ha poca familiarità con i moderni calcolatori sia per il matematico che invece ha imparato a usare il suo calcolatore con la maestria con cui un musicista suona il suo strumento preferito. Per questo matematico il calcolatore non sarà mai un surrogato della immaginazione e della fantasia, ma potrà essere nello stesso tempo quello che per un musicista è un violino o un pianoforte e per uno scienziato sperimentale un qualsiasi moderno apparecchio scientifico.

Naturalmente, se i calcolatori non sostituiscono ma accompagnano l’immaginazione matematica, essi possono costituire a loro volta oggetto di riflessione o eh idealizzazione matematica. L’esempio più classico di idealizzazione delle macchine calcolatrici. noto anche ai matematici che come me hanno assai scarse informazioni nel campo della logica e dell’informatica, è la cosiddetta macchina di Turing. In sostanza si tratta di una macchina ideale a prima vista molto più semplice e meno potente delle macchine reali, ma dotata della proprietà preziosa di poter lavorare per tempi comunque lunghi. In termini un po’ grossolani potremmo immaginare che una macchina di Turing possa lavorare per miliardi di miliardi di secoli e che noi abbiamo la possibilità di considerare i risultati che la macchina conseguirà dopo un lavoro così lungo.

Questa ipotesi informale fantascientifica può essere trasformata in assiomi matematici perfettamente formalizzabili e da essi seguono molti teoremi interessanti riguardanti la vera macchina di Turing, che è un ente matematico ideale caratterizzato come tutti gli enti matematici da alcuni postulati da cui a loro volta seguono vari teoremi.

Il discorso fatto sui rapporti tra matematica e informatica può in parte ripetersi studiando le relazioni tra informatica, scienze sperimentali, tecnica, arti, filosofia ecc: il matematico può trarre molte ispirazioni da tutti questi rami del sapere, ma deve avere piena libertà di svilupparle secondo la propria sensibilità, la logica interna e la tradizione di questa scienza, senza sentirsi vincolato a introdurre soltanto gli oggetti che hanno “significato” fisico, economico, biologico, etc.

Per esempio, nel calcolo delle variazioni hanno un notevole interesse i problemi del tipo ricerche di superfici minime liberamente “ispirati” allo studio della forma delle bolle di sapone. Alcuni dei risultati più recenti ed interessanti sulle superfici minime riguardano le superfici immerse in spazi ad otto dimensioni o un numero di dimensioni più grande di otto. Evidentemente si tratta di risultati che non hanno una immediata interpretazione fisica, almeno nell’ambito delle bolle di sapone, che sono evidentemente realizzabili solo nello spazio fisico usuale a tre dimensioni.

Tuttavia non si può mai escludere che oggetti matematici di cui inizialmente non si conoscevano interpretazioni fisiche possano successivamente avere interpretazioni fisiche del tutto inattese.

Per esempio quando Apollonio studiò le sezioni coniche (comprendenti ellissi, iperboli e parabole), nessuno poteva immaginare che molti secoli dopo Keplero avrebbe mostrato che i pianeti si muovevano su orbite ellittiche. Se è importante per il progresso della scienza che il matematico possa sviluppare liberamente le suggestioni che provengono da altre discipline, è ugualmente importante che lo studioso di discipline sperimentali o il tecnico possano liberamente scegliere il modello matematico più adatto alla descrizione matematica dell’oggetto da essi studiato, cambiare i modelli di cui le esperienze mostrano l’inadeguatezza, modificare ove occorre i modelli proposti dalla letteratura matematica.

Il fisico, il biologo, l’economista debbono sapere che la letteratura matematica descrive ciò che si sa oggi degli enti matematici ma non ciò che si potrebbe sapere e forse si saprà domani, e che la realizzazione di queste possibilità può anche essere favorita dalle domande degli scienziati sperimentali, i quali chiedono se si possono immaginare oggetti dotati di certe proprietà.

In altri termini le relazioni più fruttuose tra matematica ed altri rami del sapere si possono avere quando da tutte le parti vi sia l’amore per la propria disciplina, la coscienza delle sue caratteristiche e della sua logica interna, della sua autonomia, la coscienza che nell’ambito di ogni disciplina ciò che conosciamo è una parte piccolissima di ciò che esiste e di ciò che potremmo sapere, la coscienza che tutte le forme del sapere umano sono rami dell’unico albero della sapienza e conservano la loro bellezza e fecondità se non vengono separati dal tronco comune.

Questa coscienza mi sembra opposta a ogni forma di riduzionismo antico e moderno che in forme diverse pretende di imporre l’egemonia di una disciplina su tutte le altre, per esempio lo scientismo, che tendeva a imporre l’egemonia delle scienze matematiche, fisiche e naturali oppure lo storicismo, che tende ad imporre una analoga egemonia delle scienze storiche.

Ovviamente questa affermazione e tutte le altre contenute in questo articolo, non pretendono di costituire delle “dimostrazioni”, nel senso matematico della parola, ma di indicare alcune tra le tante considerazioni umanamente importanti che a mio avviso sono suggerite dalla esperienza matematica.

Del resto gli stessi matematici che sono d’accordo sull’enunciato e sulla dimostrazione di un dato teorema, ritenuto da tutti molto importante, possono avere idee diverse sulle ragioni di tale importanza. Per esempio il classico teorema di Gödel sull’esistenza di proposizioni indecidibili in aritmetica può essere letto per così dire sia in chiave pessimistica che in chiave ottimistica. Il pessimista dirà che il teorema di Gödel prova la debolezza della ragione umana, la sua incapacità di conoscere perfettamente perfino un oggetto familiare da millenni come l’insieme dei numeri naturali; l’ottimista si rallegrerà constatando che questo teorema prova le infinite potenzialità della matematica, dimostra che sarà sempre possibile senza distruggere le teorie tradizionali proporre nuovi assiomi o nuovi teorie originali molto ricche e interessanti.

La meditazione su questo teorema e più in generale su tutta la storia passata della matematica e le sue potenzialità ancora inesplorate può alla fine portarci a conclusioni abbastanza simili a quelle cui era giunto Pascal che parlava insieme della grandezza e della miseria dell’uomo, della forza e della debolezza della ragione, raccomandava nello stesso tempo le virtù dell’umiltà e della speranza. Non pretendo che le mie opinioni sul significato “sapienziale”, sul “valore umano” della “matematica pura” siano condivise da tutti i matematici, molti dei quali preferiranno mettere l’accento sul valore delle applicazioni della matematica o della didattica della matematica; nelle prime si può riconoscere più facilmente il contributo che il matematico può dare alla soluzione di problemi umani urgenti, malattie, povertà, inquinamento etc., nella seconda si potrà vedere il difficile impegno necessario per evitare che lo studio sia per molti ragione di delusione, fastidio, sfiducia in sé stessi e diventi invece per tutti, sia per i più dotati che per i meno dotati, fattore importante di crescita umana così che tutti arrivino a comprendere e amare questa disciplina nella massima misura consentita dalle loro naturali inclinazioni. D’altra parte può accadere che un ragazzo dotato di spiccate attitudini matematiche, ma poco favorito da altri punti di vista (per esempio a causa di condizioni sociali ed economiche sfavorevoli, difficili situazioni familiari, cattiva salute, carattere timido e introverso, ambiente ostile o poco accogliente etc.) raggiunga nella matematica un successo che difficilmente otterrebbe in altri campi. Tra l’altro, pur sapendo che i matematici non sono privi di umane debolezze e possono, come tutti gli altri uomini sbagliare più o meno in buona fede nei loro giudizi, è indubbiamente possibile nel giudizio sui meriti di un matematico una obiettività maggiore di quella che si può avere in altri campi, e anche una persona a priori poco nota può ottener ripidamente la stima e l’ammirazione della comunità matematica se dimostra un teorema molto bello. Ciò che vale per gli individui vale del resto anche per i popoli; nazioni la cui storia è stata assai tragica possono in breve tempo raggiungere nella matematica il livello delle nazioni che la storia ha più favorito, e questo successo può essere un importante fattore di prestigio, fiducia in sé stessi, progresso tecnico e umano. Egualmente si può notare che l’insegnamento della matematica non è facile neanche nel proprio paese, nella propria città, nel proprio ambiente culturale: esso richiede sempre intelligenza, sensibilità, cultura, ma che d’altra parte le difficoltà crescono meno che per altre discipline quando si passa a un paese lontano per lingue, tradizioni, mentalità e cultura.

Probabilmente la matematica e uno dei settori in cui la cooperazione internazionale può avere maggiore successo o per lo meno incontrare difficoltà minori di quelle che si incontrano in altri campi.

Del resto è sempre vivo in Cina il ricordo di un famoso missionario cattolico, Matteo Ricci, che portò ai cinesi la scienza europea e raggiunse una profonda comprensione della cultura cinese attraverso un dialogo con i dotti cinesi che ebbe come punto di partenza il comune interesse per le applicazioni della matematica alla astronomia e alla geografia.

Naturalmente mi auguro che anche altri, matematici e non matematici, vogliano su questa stessa rivista esporre altre idee sul senso di questa esperienza e altre interpretazioni, in modo che attraverso un confronto su idee diverse possa meglio emergere il significato umano della matematica, che a mio avviso è più ricco di quanto comunemente si crede. Per esempio penso che un confronto con le idee di persone più lontane dalla matematica aiuterebbe a superare il pregiudizio per cui questa disciplina studia soltanto gli aspetti quantitativi della realtà e non quelli qualitativi.

Chi ha una familiarità sia pur modesta con la matematica moderna sa che ormai i risultati di carattere qualitativo sono assai più numerosi di quelli di carattere quantitativo, che, nello studio di molti fenomeni e già importante poter disporre di un modello matematico avente proprietà qualitative simili a quelle del fenomeno considerato, anche in casi i cui non è possibile disporre di dati abbastanza precisi e di metodi di calcolo abbastanza potenti per arrivare a delle previsioni quantitative soddisfacenti.

Se nella ricerca scientifica non va troppo lontano chi rinuncia allo “sfruttamento dell’insuccesso”, si arresta ancora prima chi rinuncia allo sfruttamento del successo e si propone solo problemi difficilissimi che non possono essere affrontati con i metodi conosciuti e richiedono invenzioni di metodi del tutto nuovi. Occorre anche saper adoperare con intelligenza i metodi conosciuti nello studio di problemi abbastanza belli di media difficoltà. L’unica cosa da evitare sono i problemi “brutti”, inventati solo perché si possiede un metodo atto a risolverli.


(1) L’ultimo teorema di Fermat è stato dimostrato alcuni anni dopo la redazione del presente articolo di Andrew Wiles, vedi: A. Wiles, Modular elliptic curves and Fermat’s last theorem, Ann. of Math. 141 (1995), pp. 443-551, e R. Taylor, Ring-theoretic properties of certain Hecke algebras, Ann. of Math. 141 (1995), pp. 553-572.

Ennio De Giorgi tra scienza e fede, a cura di D. Pallara e M. Spedicato, Edizioni Panico, Galatina 2007, pp. 179-187.