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I tentativi dell’ateismo scientista

Etienne Gilson
1970

L’ateismo difficile

L’opinione pubblica attribuisce spesso alla scienza la responsabilità di aver contribuito in modo determinante al processo di secolarizzazione e al diffondersi dell’ateismo. Ma verso quale immagine di Dio si è diretto l’ateismo scientista, supposto che di “ateismo” si possa parlare?

È stato detto che l’agente più moderno di secolarizzazione degli spiriti è la scienza («Time», 8 aprile 1966, p. 52, col. 3), ed è vero, ma in che senso?
Eliminiamo anzitutto dalla discussione i conflitti ben noti tra scienza e mitologia; non sono conflitti tra scienza e religione. Le mitologie sono un fenomeno inevitabile, la scienza stessa ha le sue. Sono spiegazioni immaginarie della realtà, che devono essere in un certo grado verosimili e che la ragione ammette provvisoriamente in attesa di meglio.
L’uomo non pensa senza immagini; anche se pensa a qualche oggetto la cui natura sfugge all’immaginazione, egli ne formerà un’immagine. I primi Cristiani hanno dovuto combattere il panteon greco-romano perché il suo culto era una adorazione di «falsi dei» e ostacolava il riconoscimento del «vero Dio»; ma persino quei Cristiani non pretendevano che i falsi dei non esistessero; al contrario li identificavano con quelli che essi chiamavano i demoni. Alla distanza in cui siamo dalla «querelle», non siamo obbligati a schierarci pro o contro, tanto più che gli dei della mitologia, loro sì, sono veramente morti. Sono diventati dei personaggi per Offenbach e per J.-P. Sartre. Occorre però dire che un elemento di vera pietà religiosa dev’essere entrato come componente nell’adorazione pagana degli idoli. Tuttavia i filosofi greci non hanno atteso il cristianesimo per denunciare l’immoralità delle favole che gli Antichi raccontavano a proposito dei loro dei; quel Giove che percuoteva sua moglie era un personaggio da commedia. Il Dio cristiano è ben diverso, ma un elemento mitologico rimane e rimarrà sempre nel nostro modo di rappresentarci un essere la cui essenza trascende la natura e per ciò stesso sfida l’immaginazione. Spetta ai teologi regolare il problema dei «nomi divini», ma il fatto stesso che il problema si pone basta a far vedere che un minimo di rappresentazione mitologica è inevitabile, in quanto non si può nominare Dio senza immaginarlo né immaginarlo senza mitologizzarlo.
Tutto ciò che la scienza può fare a questo proposito è di ringiovanire le nostre mitologie, la vera fede religiosa per se stessa non s’interessa a tali operazioni. Gli spiriti religiosi si sono abituati a pensare che le rivoluzioni scientifiche non riguardano in nulla la verità religiosa. Che il mondo della creazione sia quello di Tolomeo, di Galileo, di Cartesio, di Newton, di Darwin, di Einstein in attesa di divenire quello di qualche altro, la coscienza religiosa non ha da preoccuparsene. Fatto esperto da tante crisi, il credente anche non molto istruito si è abituato all’idea che l’universo che Dio ha creato è quello della scienza, per lo meno nella misura in cui quest’ultimo è anche l’universo reale. Che ci siano ancora oggi dei Cristiani fisici, biologi e scienziati di ogni ordine non prova nulla a favore della religione, ma permette almeno di affermare che lo spirito scientifico non esclude l’assenso all’idea Dio.
Non è la stessa cosa per lo scientismo, che consiste nel non ammettere nulla (in linea di principio) che non sia scientificamente dimostrato o dimostrabile con i metodi della fisica matematica, cioè con l’esperienza e con la ragione. Non tutti gli scienziati sono scientisti, non tutti gli scientisti sono scienziati, ma è incontestabile che la semplice esistenza della scienza, rappresentata agli occhi di tutti dai successi pratici spettacolari che accumula, basta a diffondere in molti spiriti un sentimento di sprezzante indifferenza verso qualunque proposizione che non sia possibile ritenere scientificamente dimostrata, per lo meno nella mente di alcuni.
La spiegazione della morte di Dio che richiede ora la nostra attenzione mi sembra molto ben riassunta nella proposizione del teologo anglicano David Jenkins: «Il prestigio della scienza è così grande che i suoi paradigmi si sono introdotti negli altri campi della vita; infatti, la conoscenza è divenuta per noi ciò che può essere conosciuto tramite studio scientifico, e ciò che non può essere conosciuto per questa via ci appare in certo qual modo privo d’interesse, irreale». Nei secoli che hanno preceduto il nostro, era nell’uomo di pensiero, prete o filosofo, che si vedeva la fonte della sapienza. Oggi, il Saggio sarebbe piuttosto una autorità «che ha familiarità con i metodi di osservazione dei fenomeni, un uomo che basa ciò che dice su un corpo di cognizioni fondato sull’osservazione e sulla sperimentazione, continuamente verificato con nuove operazioni e con nuove osservazioni» (ibidem, p. 52, col. 3; p. 53, col.1).
In poche parole il prestigio della scienza sperimentale ha progressivamente messo fuori uso le idee astratte e non verificabili dall’esperienza, di cui si accontentano necessariamente i teologi.
Non si può dire nulla di più giusto, ma altresì nulla più estraneo al problema dell’ateismo. Le prospettive della scienza non devono far dimenticare quelle della storia, Dio vive nelle coscienze umane da secoli e per innumeri folle che non hanno mai saputo nulla della scienza moderna; egli vive anche nel pensiero di un certo numero di uomini, inferiore, è vero, ma degno di attenzione, che hanno familiarità con i metodi e lo spirito della scienza moderna. I due campi sono così distinti, non solo di diritto ma di fatto, che si fa fatica a comprendere come il progresso incessantemente accelerato delle scienze potrebbe avere per effetto di rendere estranea agli spiriti la nozione di Dio e la credenza nella sua esistenza. C’è stato almeno un teologo dotato di un amore sincero e attivo per la ricerca scientifica, Alberto Magno, ma anche lui si considerava essenzialmente un teologo, non uno scienziato. Gli altri teologi celebri non hanno mai preteso di essere qualcosa d’altro. Taluni hanno studiato la scienza del proprio tempo, come avevano il diritto e il dovere di fare; in ogni caso nessuno di loro ha preteso di fondare la sua religione sulla sua filosofia e nemmeno sulla sua teologia. È su Dio che filosofia, teologia e religione si fondano. È stato necessario che si producesse una confusione tra la nozione di Dio e le speculazioni che non hanno cessato di moltiplicarsi attorno alla sua esistenza, perché la loro svalutazione ad opera della scienza diventasse dapprima una minaccia, poi un fatto.

 

Étienne Gilson, L’ateismo difficile, tr. it. di Angela Contessi, Vita e Pensiero, Milano 1983, pp. 31-33.