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La religione, dimensione essenziale della cultura e fondamento della libertà

Romano Guardini
1958

dalle Conclusioni di Fenomenologia e teoria della religione

Nata come strutturazione dell’esperienza religiosa dell’uomo, la cultura tenta nell’epoca moderna di emanciparsi dalla religione costituendosi come autosignoria dell’uomo nei confronti della natura e della società. Eppure, l’elemento religioso, da cui l’uomo moderno si è svincolato per amore della sua libertà e del suo autonomo operare, era in realtà il presupposto necessario perché egli potesse essere davvero libero e dare significato al suo operare.

La cultura dell'uomo era agli inizi tutta quanta di natura religiosa. Solo assai tardi ha potuto elaborarsene una interamente mondana, isolata dalla grande sintesi. La concezione corrente della cultura e della sua storia vede in ciò senz'altro qualcosa di positivo. Ormai è domma che il distacco dell'opera umana — della scienza, della moralità, dell'educazione, dello stato, dell'economia, dell'arte — dai nessi e connessi religiosi è stato sia per la cultura in se stessa, sia per la personalità dell'uomo un progresso verso più alte concrete realizzazioni ed umani sviluppi. L'attività culturale sarebbe attualmente sottoposta al puro punto di vista dell'obiettività critica. Lo spirito operante resterebbe ora puramente concentrato sull'oggetto e svilupperebbe un massimo d'efficienza operativa.

    
Sorgerebbe così una cultura libera nella sua propria essenza, vincolata unicamente ai propri criteri, una cultura, cioè, autonoma. E altrettanto una umanità ad essa corrispondente, creatrice di cultura. L'uomo stesso dunque si libererebbe da ogni vincolo che non venga dalle cose stesse; ed elaborerebbe le proprie valutazioni, svolgerebbe le proprie iniziative e maturerebbe come creatore autonomo. Per una simile concezione ogni obiettivo vincolo religioso sarebbe minaccia alla libertà, perché renderebbe dipendente la personalità creatrice da un'istanza estranea al proprio campo operativo. L'opera cadrebbe sotto punti di vista equivoci e l'operante diventerebbe ambiguo. Pensata decisamente fino in fondo una simile concezione conduce alla conseguenza che anche ogni vincolo religioso soggettivo pone a repentaglio l'autonomia umana. Perché, se l'elemento religioso possiede le caratteristiche che sono state descritte, è, come tale, straniero alla realtà mondana immediata e vi può incidere solo portando sconcerto. Il positivismo in tutte le sue forme arriva infatti alla conclusione che ogni elemento religioso deve scomparire dalla vita e dall'azione umane.

   
Viceversa nasce di qui una religiosità che si ritira sempre più dai campi della vita culturale, elimina dal proprio mondo ogni contenuto mondano, si fa « più interiore », ma con ciò anche più povera e più inerte.

      

C'è del vero, è chiaro, nella concezione descritta. Quando si vede come certi presupposti religiosi possono deviare o vincolare il giudizio culturale e l'energia operante dell'uomo, si costata pure l'importanza che il punto di vista dell'autonomia dei singoli settori culturali ha avuta. L'apporto culturale dell'età moderna infatti è stato d'un'imponenza immensa.

     
Ma c'è un'altra domanda da farsi: quale fu il costo di tutti questi risultati? Le considerazioni di questo libro hanno mostrato quanto sia essenziale l'elemento religioso nella totalità dell'esistenza. È dunque già chiaro a priori che la sua eliminazione implica perdite di natura essenziale: le radici dell'agire s'allentano; il terreno su cui ci si fonda non è più solido; interiorità e profondità spariscono; tutta una dimensione va perduta. La precisione dell'applicazione scientifica, la liberazione delle energie conquistatrici e plasmatrici vengono pagate con una specie di rarefazione nell'azione e nella vita, in cui s'insinuano sempre più evidenti sensazioni d'insoddisfazione, di vuoto e d'assurdo. La misura della realtà mondana conquistata cresce sempre più ed è posta sempre più facilmente a disposizione dell'uomo, l'efficienza del lavoro umano si moltiplica; ma nello stesso tempo cresce sempre più il dubbio se tutto ciò valga la sua spesa e non sia negativo alla fine il bilancio fra il mondo e il suo significato.

     
A riguardo poi dell'uomo stesso, aumenta sempre più l'apprensione ch'egli vada perdendo, per così dire, di peso specifico, di validità personale-umana. Per quanto poi concerne la libertà, ecco un dato di fatto sconcertante, di cui aumenta sempre più l'evidenza: l'uomo cade in balia della sua stessa opera. Egli ha distrutto i vincoli religiosi per giungere alla piena autosignoria del proprio agire e del proprio disporre del mondo, ma ecco che l'opera risultante si fa essa stessa autonoma e riduce l'uomo a propria funzione. Il processo giunge alla sua espressione politico-sociale in una società o in uno Stato, che eliminano in modo sempre più conseguente l'iniziativa individuale e riducono l'uomo a strumento per i propri fini.

    
Qui è all'opera un'intima logica di cui l'uomo odierno non s'è reso ancora realmente consapevole. Si fa strada la convinzione che quell'elemento dell'esistenza da cui l'uomo moderno si è svincolato per amore della sua libertà e della sua opera personali, è in realtà il presupposto necessario, perché egli possa essere davvero libero e signore di sé e possa compiere un'opera capace di donargli la coscienza d'un autentico significato.

    
Un'altra conseguenza risulta chiara. Il principio dell'obiettiva autonomia dei settori di cultura ha portato a realizzazioni in misura di continuo crescente: la scienza moderna con i suoi campi sempre più suddivisi; la struttura sociale con le sue articolazioni sempre più numerose, la tecnica, l'economia, ecc. L'impulso di differenziazione è così forte e le esigenze dei singoli settori di lavoro grandi, che l'unita diviene sempre più debole. Ma l'unità è assolutamente essenziale; e non soltanto a causa della reciproca interdipendenza dei singoli campi, ma essa stessa in quanto tale. In essa culmina l'opera. Questa dev'essere il «mondo» in cui l'uomo esiste. Se i singoli campi escono dalla sintesi, o addirittura si disturbano l'un l'altro, penetra nell'esistenza obiettiva la malattia che lo psicologo conosce come disgregazione della personalità e che si chiama schizofrenia. È quanto esattamente avviene. Noi viviamo in una progrediente obiettiva schizofrenia, la quale non può non influire di riflesso sull'uomo stesso. Insorge la domanda come si possa ovviarvi.

    
La forza creatrice d'unità era, fino all'inizio dell'età moderna, l'elemento religioso. Di qui venivano le istanze datrici di senso (Sinngebungen) per la vita e per l'attività umana. In esso s'integrava in definitiva la molteplicità dell'esistenza. Ma nella misura ch'esso si perse. si dovette cercare altrove l'istanza creatrice d'unità. La si volle vedere per un certo tempo nella «Cultura» . un concetto in cui si rifletteva quello di «Natura» . Ci si convinse cioè che esistesse operante nella Storia una forma totale, efficace di necessità. Quando l'uomo avesse cercato d'obbedire alle obiettive esigenze d'un eventuale settore d'attività, si sarebbe spontaneamente generato un tutto, cioè la «Cultura» . Ma questa fede si è dimostrata falsa. Il fare dell'uomo non sta in rapporto analogo verso l'operare delle forze naturali, le quali generano spontaneamente e necessariamente un tutto; ma in tutto ciò che l'uomo fa incide la libertà che può muovere le cose giustamente, ma anche falsamente. Fu necessario allora trovare un'altra istanza ordinatrice, ed essa divenne sempre più lo Stato. Secondo la concezione che attualmente più s'impone, lo Stato è in grado di collegare la immensa varietà della vita e dell'attività umana in unità. L'autonomia, che prima il singolo aveva preteso per sé, passa ora oltre, e lo Stato sarebbe competente e capace di attuare in piena sovranità l'unità dell'esistenza.
Nasce così la concezione dello Stato totalitario che invade ogni singolo settore della vita e dispone dell'uomo e della sua opera. Quanto e successo finora consente già un giudizio: le realizzazioni saranno immense, ma l'uomo sarà un puro strumento.

     
Il senso della Storia futura dipenderà dal riconoscimento o meno dell'elemento religioso, come vero presupposto nella libertà dell'uomo e della possibile unità della sua opera. Ora i problemi che nascono si trovano nella seguente direzione: in che modo potrà l'obiettività critica moderna essere inserita nei rapporti religiosi in maniera che essa vi conservi il proprio significato e vi adempia il proprio compito? Ma qui dobbiamo fermarci.
   

Fenomenologia e teoria della religione, in “Scritti filosofici”, tr. it. a cura di G: Sommavilla, Fabbri Editori, Milano 1964, vol. II, pp. 325-327.