Tu sei qui

Una interpretazione del primo giorno della creazione

Ildegarda di Bingen
1163-1170

Il libro delle opere divine, Prima visione della seconda parte, XVII

In questo brano, tratto dal capitolo XVII della “Prima visione della seconda parte” de  Il Libro delle opere divine, Ildegarda di Bingen offre alcune interpretazioni esegetiche del libro della Genesi. Ne riportiamo qui una fra le varie, a proposito del “primo giorno” della crezione, relativa cioè alle parole:  In principio Dio creò il cielo e la terra, fino alle parole: E fu sera e fu mattina, primo giorno. Secondo la mistica benedettina, con la fondazione del mondo Dio glorificò se stesso, mostrandosi alla creatura razionale come il creatore di tutte le cose, e nello stesso tempo esaltò l’uomo, assoggettando al suo dominio intelligente tutte le cose create.

XVII. Perciò, come già è stato detto, Dio fece bello il mondo col cielo e lo rese solido con la terra, e per suo tramite glorificò se stesso; e mediante le cose che sono nel mondo innalzò l'uomo, sottomettendogli tutte le cose terrene, come insegna il mio servo, colui che conobbe i miei segreti, dicendo: In principio Dio creò il cielo e la terra [Gen 1,1]. Si interpreti così: In principio, cioè all'inizio di tutte le cose, che erano nella scienza di Dio come sarebbero venute all'essere, Dio creò, cioè fece procedere da sé, il cielo e la terra, ovvero la materia di tutte le creature celesti e terrene; il cielo, materia luminosa, e la terra, materia torbida. Queste due materie furono create simultaneamente e si manifestarono in un'unica sfera, che è il potere di Dio sul cielo e sulla terra. Da quel chiarore che è l'eterno la materia luminosa scintillava come luce densa, ed era questa la luce che risplendeva sulla materia torbida. Né Dio illuminò immediatamente il firmamento e la terra, ma fece come l'uomo, che quando si appresta a realizzare un'immagine dapprima la disegna col compasso e solo in seguito la dipinge con i colori.

La terra era informe e vuota, e le tenebre ricoprivano la superficie dell'abisso [Gen 1,2]; infatti la terra all'inizio fu informe, cioè priva di forma, e invisibile, cioè priva di luce, perché non era ancora illuminata dallo splendore della luce, né dal chiarore del sole, della luna e delle stelle; e non produceva frutti, perché non era arata né coltivata; ed era vuota, cioè indifferenziata, perché non aveva la sua pienezza, essendo priva del verdeggiare dei germogli, dell'erba, dei fiori e degli alberi. Non è detto, invece, che il cielo era informe e vuoto: infatti esso non era destinato a produrre frutti. E le tenebre, che non erano ancora state dissipate dallo splendore della luce perché non c'erano ancora i corpi luminosi degli astri, ricoprivano la superficie dell'abisso, cioè quella stessa indistinta confusione della terra, che è la superficie dell’abisso, poiché essa è visibile mentre l'abisso è nascosto da essa; infatti la terra copre l'abisso come il corpo copre l'anima, rendendola invisibile.

E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque [Gen 1,2]. Infatti lo spirito di Dio è vita, e fu questa vita a dare alle acque il moto affinché si spandessero e rendessero salda la terra, perché non fosse dispersa come cenere dal vento; perché come lo Spirito Santo viene infuso nell'uomo, così le acque scorrono tumultuosamente e lavano tutte le cose sporche, come lo Spirito Santo lava la sporcizia dei peccati.

E Dio disse: Sia fatta la luce. E la luce fu [Gen 1,3]. Dio, che è luce inestinguibile che da niente viene oscurata, pronunciò queste parole che risuonarono come il tuono, dicendo: «Sia fatta la luce»; e la luce fu, e subito risplendette una luce inestinguibile e invisibile agli uomini, che non sarà mai oscurata, alla quale erano unite anche le sfere viventi, cioè gli angeli; poiché Dio è vita, e la sua parola non è inerte, anzi si manifesta come vita. E le parole che pronunciò, Dio le emise in lode di sé; non parlavano infatti della luce del sole, perché il sole ancora non esisteva e inoltre il suo splendore non si manifesta sempre sulla terra, anzi spesso è coperto dalle nuvole.

E Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre; e chiamò la luce giorno e le tenebre notte [Gen 1,4-5]. Dio vide che la luce era buona perché rispecchiava lo splendore del suo volto, e perciò la separò dalla tenebra, in modo che í loro attributi non si mescolassero; perché una di esse è inesauribile, mentre l'altra è il suo proprio esaurirsi. Da Dio dunque proviene il giorno, poiché Dio ordinò con le sue parole che la luce fosse prodotta per prima, e la chiamò giorno; non il giorno solare, ma il giorno inestinguibile che nell'alto dei cieli non è oppresso da alcuna tenebra. E tenebre chiamò non quelle che sono poste in fuga dalla luce del sole, ma quelle che rimangono sempre oscure e non sono nemmeno toccate dal chiarore della luce; e quelle tenebre che stavano sopra la superficie dell'abisso e che ancora non erano state toccate dalla luce le chiamò notte. La notte dove non giunge mai il giorno è cieca, e il giorno è separato dalla notte e dalla sua cecità perché è chiaro. Così Dio separò la luce dalle tenebre notturne.

E fu sera e fu mattina, primo giorno [Gen 1,5]. Infatti la conclusione di quest'opera e il suo inizio furono una sola cosa nella perfezione del chiarore, perché quando la parola di Dio ordinò che fosse fatta la luce, l'inizio di essa fu come il mattino; ma la sua perfezione, quando si manifestò nella sua completezza, fu nella sera.

    

Il libro delle opere divine, Prima visione della seconda parte, XVII, trad. it. di Michela Pereira, Mondadori, Milano 2003, pp. 715-719.