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Motivi artistici e religiosi nella costruzione scientifica

Federigo Enriques
1911

L'anima religiosa della scienza

Il breve brano proposto è costituito dai paragrafi conclusivi di un testo del matematico Federigo Enriques, L’anima religiosa della scienza, scritto e letto in occasione dell’apertura del IV Congresso Internazionale di Filosofia tenutosi a Bologna nel 1911, che vide la partecipazione di numerosi scienziati e filosofi. Enriques avverte, nei primi anni del Novecento, il bisogno di dare una strategia teorica in grado di superare le divisioni fra le varie dimensioni dell’uomo e di comporre soprattutto il “conflitto scientifico-religioso” in quanto lo sviluppo del pensiero scientifico-filosofico nel suo complesso ci aiuta ad andare alla “radice” dei problemi e a comprendere l’unità di fondo dello “spirito umano”.

Per comprendere il significato della nostra tesi e stabilirne la giustezza, occorre ricordare che la scienza non è dato puro, ma coordinazione razionale di dati, che implica una scelta tra infinite verità possibili. Perciò la ricerca scientifica è effettivamente una costruzione, opera dello spirito umano, che vi riflette qualcosa di sé, manifestando i criteri di valore che lo dirigono.

Questi criteri si riconoscono dapprima come norme estetiche, nella tendenza a figurare un ordine e un’armonia delle cose.

Le Matematiche sono un immenso poema a cui hanno collaborato due millenni di storia, e dove la rigida disciplina della logica sta come freno dell’arte di fronte alla fantasia costruttrice. E il senso della bellezza che guida ognora il geometra, nella sua edificazione, si lascia riattaccare alla religiosità che commoveva gli spiriti primitivi dei pitagorici; ancora il sentimento mistico si discopre nella parola di Platone che «Dio geometrizza».

D’altronde l’idea del filosofo ateniese esprime un’intima esigenza dello spirito, che questo tende a far valere, proiettando fuori di sé le proprie aspirazioni nel concetto delle leggi naturali. L’austero ricercatore della verità, professante la sua indifferenza riguardo al fatto, deve pure ammettere che il proprio sentimento scientifico dà ai fatti stessi un diverso valore, non tanto in rapporto al numero delle esperienze, quanto in rapporto al posto che essi occupano nell’ordine della natura, secondo il disegno ch’egli ne ha provvisoriamente adottato. E se le buone norme del metodo sperimentale tacciono spesso su questo punto e insistono sul dovere di tener conto ugualmente di tutti i dati obbiettivi, ciò avviene perché non vi è bisogno di rafforzare una tendenza che si fa spontaneamente valere, ed occorre piuttosto premunirsi contro il pericolo di accogliere troppo presto un’armonia ristretta e di chiudere gli occhi ad una più larga, che i fatti possano suggerire.

Certo questo senso dell’ordine naturale resta vago e indistinto nello spirito dello scienziato, quasi riflesso dell’ordine morale vagheggiato dall’umanità; solo collo sviluppo delle ipotesi e delle teorie si colorisce e si determina come un ideale artistico che domina i progressi della scienza. Ma quando la ricerca, allargandosi, viene a toccare in qualche modo tutto ciò che è caro agli uomini, allora il motivo dominante la costruzione scientifica manifesta la sua intima natura. Le grandi teorie non sono più esclusivamente oggetto di contemplazione artistica, se pure il criterio della bellezza non si pieghi alla considerazione superiore del valore umano. Qui l’attività scientifica appare siffattamente d’ordine religioso, che s’incontra e si confonde talvolta coll’attività religiosa, nel senso stretto della parola. […]

Ma dove finisce in questi esempi la teoria scientifica e dove comincia la religione?

Sotto l’impulso del sentimento, il pensiero del ricercatore si eleva dalla base dei fatti alla costruzione delle teorie, e non sa fermarsi se il mondo supposto non gli offra qualcosa di soddisfacente in cambio delle rinunce a cui l’osservazione della realtà lo costringe. Ben è vero che l’edificio delle ipotesi deve pur essere saggiato al lume della critica e dell’esperienza; ma lo stesso difetto di critica e di disciplina metodica che intacca il valore di certi sviluppi scientifici, rivela la grande aspirazione d’ordine religioso che pervade come forza animatrice i progressi della scienza.

Così dunque il conflitto scientifico-religioso si compone nel riconoscimento di un’attività costruttiva del pensiero, che riesce bensì a figurare diversi od opposti disegni della realtà, ma tuttavia si discopre unica nella radice, e manifesta in tal guisa l’identità fondamentale dello spirito umano. […]

Io credo d’altronde che il concetto più largo della filosofia, come forma d’attività implicata in ogni prodotto del pensiero, sia massimamente rispondente allo spirito del popolo italiano, di cui piacemi rievocare, terminando, la tradizione gloriosa. Infatti, per misurare il nostro apporto alle concezioni filosofiche della vita presente, non basta tener conto dei sistemi o dei saggi speculativi cresciuti su questo suolo. Bisogna soprattutto scrutare il pensiero sintetico o critico che si discopre nel Diritto romano, nel Cattolicismo, nella Scienza del Rinascimento, espressioni culminanti del genio d’Italia, universale e concreto.

Questi tre mondi d’idee, di tradizioni, di affetti, penetrano diversamente la coscienza dell’uomo moderno ed oggi più forte si agitano, o signori, nell’animo vostro. Frammenti del passato tendono – pei vostri sforzi – a ricomporsi nel quadro del presente, secondo nuove armonie di vita, e risuonano con mille voci discordi.

Ma dalla lotta delle idee s’innalza una gran voce umana, che disvela nella costruzione della realtà un carattere universale dello spirito e un’intima aspirazione dei cuori.

   

F. Enriques, L’anima religiosa della scienza, Castelvecchi, Roma 2016, ed. originale in Scienza e razionalismo (1912), pp. 36-38; 42-44.