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Darsi un futuro

Settembre 2019
Luca Arcangeli
Fellow Sisri

I dibattiti sul futuro sono oggi polarizzati soprattutto dalle grandi questioni del Transumanismo e dell’Intelligenza artificiale. Ne troviamo testimonianza costante nei convegni, sugli articoli di giornale e sui blog, nelle trame dei film che vengono proiettati nelle nostre sale cinematografiche. La realtà viene spesso mescolata con la fantasia e i risultati scientifici non di rado strumentalizzati dalle prospettive di nuove ideologie. È invece meno frequente pensare il futuro come qualcosa che ciascuno di noi costruirà, e che sapremo farlo nella misura in cui saremo capaci di riflettere con maggiore profondità su cosa la scienza davvero dice e su come il patrimonio umanistico di cui siamo eredi potrà orientarla. Dunque il futuro è anche qualcosa che “ci daremo”, non solo qualcosa che “subiremo”. A far pendere l’ago della bilancia dall’una o dall’altra parte sarà la nostra capacità di comprendere le radici culturali dalle quali le idee hanno origine, la nostra capacità di interrogarci sulle questioni che contano. In sostanza, la nostra capacità di essere umani.

È proprio seguendo l’idea che “darsi un futuro” è possibile che la Scuola SISRI, promossa dal Centro di ricerca DISF che dirige questo Portale, ha tenuto gli scorsi 25 e 26 luglio il suo primo Summer Research Meeting. Il titolo completo del Forum recitava “Darsi un futuro. Progresso scientifico e promozione umana in prospettiva interdisciplinare”, come a voler subito segnalare che il passaggio dal progresso scientifico al progresso umano è questione delicata, non immediata, meritevole di importanti chiarimenti. L’evento ha visto alternarsi interventi di esperti con relazioni di giovani ricercatori, in uno stile interdisciplinare che ha accompagnato costantemente i lavori. Cosa significa progresso? Come distinguere ciò che fa progredire da ciò che fa regredire? Queste domande, è facile immaginarlo, hanno coinvolto anche la filosofia e la teologia. Il prof. Ivan Colagè (filosofo, ricercatore e direttore didattico della SISRI), ha mostrato come la progettualità sia una caratteristica essenziale della natura di Homo sapiens, dove trova compimento in una pianificazione e valutazione cosciente che lo affranca dalla catena dei determinismi, segnandone invece l’ingresso nel regno della libertà. In questo senso è possibile una rilettura degli esperimenti di Libet, tradizionalmente usati per negare il libero arbitrio, mostrando come la progettualità sia invece già presente a livello inconscio e la coscienza ne sia uno sviluppo emergente ad un livello di complessità più alto. Riprendendo il pensiero di Michael Tomasello, Colagè ha mostrato che nell’umano la progettualità è intrinsecamente sociale e interpersonale: ogni generazione umana non deve ricominciare da capo ma può appoggiarsi sui risultati della generazione precedente. Nell’umano è presente una progettualità transgenerazionale che supera il vantaggio individuale, in questo l’uomo oltrepassa la sua nicchia ecologica: se gli animali modificano e sono modificati dall’ambiente l’uomo modifica l’ambiente per modificare sé stesso. Il prof. Antonino Puglisi (ricercatore presso la Istanbul Technical University) ha messo a frutto la sua familiarità con la cultura islamica turca per interrogarsi su quali siano gli eventuali punti di contatto tra teologia islamica e cristiana circa il rapporto tra Dio e natura, in un’ottica di dialogo interreligioso che possa fungere da piattaforma per un agire congiunto tra le religioni in difesa dell’ambiente e della pace, secondo quanto suggerito dalla Laudato si’ di Papa Francesco. Antonio Pallotti (ricercatore presso l’Università di Roma, San Raffaele) ha declinato il tema della progettualità dell’umano nella prospettiva economica e organizzativa del project management, sottolineando l’irriducibilità dell’elemento personale anche in settori fortemente standardizzati. Tra gli esperti invitati, la prof.ssa Laura Palazzani (Università di Roma LUMSA), vice-presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, basandosi sulla sua profonda esperienza di bioeticista e filosofa del diritto, ha fatto riflettere sul fatto che il progresso dell’umano è segnato anche dalla chiarificazione di quale etica possa guidarci negli interventi sulla vita umana, mettendo in luce i vantaggi di un’etica di stampo personalista e relazionale. Se la persona è un concetto su cui il pluralismo etico può trovare una convergenza, tradizioni morali e giuridiche differenti danno però risposte diverse quando si cerca di applicare legittimamente il concetto di persona e la tutela giuridica ad esso corrisposta. Tradizioni di pensiero come l’utilitarismo o la posizione libertaria partono dall’assunto che non tutti gli esseri umani sono persone, l’appartenenza al genere persone è data dalla manifestazione di precise condizioni, come la capacità di percepire piacere/dolore e massimizzare il benessere o la presenza della capacità di autodeterminarsi. Rispetto a queste tradizioni il personalismo risponde che qualsiasi fissazione di confini su cosa sia persona è arbitraria: la vita dell’uomo è un processo continuo che non può essere diviso. È l’appartenenza alla specie umana che segna l’essere persone, dal concepimento alla morte.

Francesco Gallo (dottorando presso Pontificia Università Lateranense), sulla scorta delle riflessioni della prof.ssa Palazzani ha proposto di fondare sul concetto di unità sinologica di anima e corpo riconducibile alla riflessione di Tommaso d’Aquino. Il prof. Antonio Petagine (docente di storia della filosofia presso la Pontificia Università della Santa Croce) ha sottolineato il valore dell’intelligenza umana come vettore di un progresso autentico, criticando le visioni contemporanee che tendono a leggere l’intelligenza in chiave meramente strumentale, come semplice meccanismo per ottenere fini monetizzabili. Petagine ha esortato a recuperare una visione sapienziale dell’intelligenza, come atto libero che ha valore in sé stesso e che ci consente di superare le ristrettezze del quotidiano per contemplare valori universali. La relazione di Maria Covino (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli) ha insistito sul valore della comunicazione per stimolare un vero progresso, in particolare della comunicazione attraverso le immagini. Analizzando le modalità comunicative contemporanee tramite la fotografia, Covino ha sottolineato come spesso ci sia una sorta di limitazione ad un’indignazione passiva rispetto agli eventi narrati. La comunicazione deve invece essere un motore del cambiamento, fornendo conoscenza e forza per agire. Tra gli esperti, il prof. Andrea Tomasi (professore associato di informatica presso l’Università di Pisa) ha fornito una singolare e attraente riflessione sulla tecnica guidata dalle meditazioni di Romano Guardini: nella nostra era la tecnologia si è affrancata dall’uomo e vive di vita propria, non è più solo uno strumento, bensì l’ambiente stesso in cui l’uomo vive. Come recuperare il senso del sacro e dell’essere creatura in questo contesto è il compito di una filosofia e teologia scientificamente e tecnologicamente edotte. Infine, le relazioni di Luca Arcangeli (Fondazione FITSTIC) e di Giovanni Amendola (Università della Calabria) hanno riguardato aspetti di confronto tra tecnologia e antropologia, sottolineando analogie e differenze tra il concetto di persona e l’apprendimento operato dai modelli di A.I.

In chiave conclusiva, il prof. Giuseppe Tanzella-Nitti, direttore della SISRI, ha tracciato un approfondimento teologico sulla nozione di progresso. Il pensiero classico greco-romano riteneva che la perfezione risiedesse nell’immutabile, il cambiamento è instabilità e dunque qualcosa di negativo: tutto doveva tornare all’equilibrio originario. Nell’idea di storia, il pensiero antico non include quella di progresso, ma solo quanto si può imparare dalle esperienze precedenti. La libertà era intesa in senso giuridico, come stato dell’individuo nella società, non come carattere antropologico posseduto da tutti gli uomini: in natura tutto è determinato dalla necessità e gli esseri umani sono sottoposti, come perfino gli dèi, all’ineluttabilità del fato. Al mondo classico mancava un Creatore, un punto di riferimento “esterno” al sistema. Con la Rivelazione ebraico-cristiana, il mondo ha una storia e incarna un progetto: l’origine e il fine della storia non appartengono alla storia, ma la trascendono. Il cristianesimo comprenderà la dimensione del progresso alla luce della speranza: la storia diviene progresso perché sostenuta dalla speranza di un compimento che segna una direzione. Il progresso, e dunque anche il progresso scientifico e tecnologico, contribuiscono a proseguire il “lavoro della creazione”, inteso come un’opera in divenire e aperta, frutto della libertà del Creatore e affidata alla libertà degli uomini. In epoche recenti il Magistero della Chiesa cattolica ha dedicato importanti documenti alla visione cristiana del progresso. Ha introdotto, in particolare, la nozione di “promozione umana”, intendendo con essa lo sviluppo integrale, culturale, sociale, economico e spirituale dell’essere umano. La scienza e la tecnica, modalità con cui l’essere umano partecipa alla creazione e “umanizza” la terra, contribuiranno ad un vero progresso umano nella misura in cui saranno “informati” dalla carità. Questa forma, che è la forma Christi, ha fatto sì che delle iniziative contribuissero sia al progresso tecnico-scientifico, sia alla promozione umana: università, monti di pietà, ospedali sono alcuni esempi.

Al termine dei suoi lavori, il SISRI Research Meeting ha voluto riepilogare in alcuni statements conclusivi i principali contenuti su cui varrebbe la pena di riflettere. Li riproponiamo ai nostri visitatori:

- Il futuro sarà di coloro che potranno guidarlo con la speranza più grande. Occorre dare speranza di futuro, ma una speranza di cui non è depositaria solo la tecnologia.

- Il progresso diventa promozione umana quando non è (solo) un obiettivo da raggiungere, ma un bene posseduto e amato, che si desidera esplicitare in tutti e partecipare a tutti. Il progresso è promozione umana solo quando è progresso di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

- Esiste una importante responsabilità pedagogica, quella di trasmettere una retta visione del progresso, di ciò che promuove l’uomo e di ciò che lo fa regredire.

- Il vero progresso si realizza non solo nell’elaborazione teoretica, ma soprattutto nella prassi, nella trasformazione di sé stessi, del proprio ambiente di lavoro e di vita, della società nel suo insieme, promuovendola umanamente.

- In una cultura come quella contemporanea, dominata dalla tecnologia e dalle sue applicazioni, occorre sostenere e ricordare l’eccedenza e l’irriducibilità dell’essere umano sulla natura e sulla cultura. Occorre dunque mettere in luce lo specifico umano, ovunque esso si manifesti, e promuoverlo.

- Chi desidera trasmettere una visione antropologica di ispirazione cristiana potrà farlo in modo efficace solo se saprà presentarla come la più bella storia da raccontare, con una narrativa attraente, sapendo mostrare la fallacia di un’idea autoreferenziale di progresso.

- Una conoscenza di ambito realista condivisa sulla natura e sulla realtà è il presupposto di ogni vero progresso e protezione nei confronti delle ideologie: è la scienza, opportunamente presentata, a favorire anche oggi la riscoperta del realismo.

- Nel clima filosofico e culturale che della modernità, che ha rivalutato la nozione di storia, la teologia può ugualmente porre al centro l’idea di creazione e la relazione creaturale, elaborando una comprensione dell’essere umano che tenga conto del suo sviluppo storico. Si può sottolineare la specificità umana, la sua advocacy, anche riconoscendo la realtà del cambio antropologico. Il logos che caratterizza il senso della creazione, e dunque del progresso, non è solo norma, legge, ma anche informazione, quell’informazione che rende possibili i processi della vita e della sua storia.

Questo primo SISRI Research Meeting è stato un esperimento di lavoro e di ricerca in comune. Ritengo si tratti di un esperimento riuscito, sia per il livello delle discussioni e del dibattito comune, sia, soprattutto, per il senso di arricchimento che ciascuno, al termine dei lavori, ha portato via con sé.