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Una tecnologia senza scienza?

Luglio 2017
Giovanni Iacovitti
professore ordinario di Digital Signal Processing presso l'Università La Sapienza di Roma

E’ sempre più evidente che negli ultimi decenni il rapporto tra tecnologia e scienza è mutato rispetto al passato. La scienza prosegue tuttora il suo cammino tradizionale attraverso i grandi progetti di ricerca che richiedono esperimenti sempre più costosi e sofisticati, man mano che si cerca di rispondere a domande più difficili. Questa attività di ricerca fondamentale dispone di risorse pianificate, al pari dei programmi di ricerca di interesse strategico tra i quali quelli militari.

D’altra parte, l’evoluzione sociale, la disponibilità dei mezzi di comunicazione e i processi di globalizzazione hanno determinato una richiesta pressante e crescente di prodotti tecnologici in tutti i campi.  A causa della competitività dei mercati, il mondo della tecnologia è ora soggetta ad esigenze di innovazione stringenti, e questo comporta la necessità di acquisire conoscenze utili, di portata limitata e specialistica, ma in tempi rapidissimi. 

Occorre a questo punto fare la considerazione fondamentale che i ritmi serrati di questo sviluppo sono segnati dal crescente impiego delle tecnologie dell’informazione, le quali assumono un ruolo centrale, proprio perché operano nei dispositivi e nei sistemi tecnologici a livello dei processi di conoscenza, cercando di mettere in opera i meccanismi propri del metodo scientifico.

Di fatto, fino a poco tempo fa, il ruolo dei computer nella ricerca scientifica è stato principalmente quello di supporto al calcolo, dell’uso diffusissimo della simulazione numerica e dell’intelligenza artificiale, mediante procedimenti di carattere prevalentemente deduttivo. Questo ha permesso di automatizzare i processi di decisione, e di velocizzarli in modo estremo.   

Ma l’attuale disponibilità di potenza di calcolo consente di estendere ancora questo ruolo, fino ad automatizzare procedimenti di inferenza induttiva di una certa complessità. Di conseguenza, il mondo della tecnologia può disporre di mezzi che permettono di formulare previsioni (e leggi di previsione) mediante generalizzazione, a partire dai soli dati percepiti da strumenti e sensori.

Non può sfuggire l’enorme significato di questa disponibilità tecnologica. Se fosse possibile formulare teorie a partire da dati osservativi mediante macchine, si riporrebbe in discussione il ruolo della ricerca scientifica tradizionale nel binomio scienza tecnologia, nella prospettiva addirittura di una certa emancipazione del progresso tecnologico da quello scientifico.    

Di fatto, a partire dagli anni ottanta, una branca dell’intelligenza artificiale ha focalizzato gli studi sul cosiddetto “machine learning”, cioè l’apprendimento automatico basato su meccanismi di induzione logica.  Sostenuto, come si è detto, dal rapido aumento della potenza dei dispositivi di calcolo elettronici, il machine learning è utilizzato oggi per diverse applicazioni, tra le quali spiccano per diffusione a livello di grande mercato il riconoscimento automatico del parlato e della scrittura, la traduzione automatica dei testi, il riconoscimento del contenuto delle immagini.   

In linea di principio, i limiti di queste tecniche di intelligenza artificiale sono quelli propri dell’inferenza induttiva. Di fatto, la loro applicazione è stata possibile in ambiti specialistici ristretti, laddove sono stati realizzati algoritmi efficienti e soprattutto laddove la percentuale di insuccesso è ritenuta accettabile.

Sul piano concettuale, la validità di queste tecniche è argomentata sostenendo che, dopotutto, il machine learning imiterebbe i meccanismi biologici dell’apprendimento.

In realtà, i processi dell’induzione scientifica sono molto più articolati e sofisticati di quelli meccanici, e i modelli matematici di origine empirica utilizzati dal machine learning sono diversi da quelli di origine teorica tipicamente impiegati nella ricerca scientifica.   Questo è noto a chi fa ricerca scientifica per professione, ed è riscontrabile nella storia della ricerca scientifica.

L’uso di queste forme di intelligenza artificiale non può perciò condurci a pensare semplicisticamente che la tecnologia potrà fare a meno della scienza.  Ma la scienza porta sempre a nuove tecnologie, mentre non è scontato il viceversa.

Potrebbe anche essere che gli interessi economici della tecnologia arrivino ad un certo punto a limitare il progresso della scienza. La tecnologia è tesa infatti a realizzare soprattutto quello che prevede di poter realizzare e che sia allo stesso tempo economicamente attraente. E’ compito dell’uomo correggere questa tendenza.

[Una versione estesa di queste riflessioni è in corso di pubblicazione negli Atti del Convegno "Si può vivere senza scienza", organizzato dal SEFIR, Roma, 2-4 marzo 2017.]