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I 90 anni di Benedetto XVI

Aprile 2017
Alberto Strumia
Vicedirettore del Portale disf.org


Il 16 aprile, nel giorno solenne della Santa Pasqua, Benedetto XVI compirà 90 anni. E chi come noi – che fin dalla nascita di questo portale disf.org abbiamo al centro del nostro impegno culturale il costruttivo rapporto teologia-scienza – ha avuto a cuore il corretto rapporto fede-ragione, non può che esprimergli, insieme agli auguri per aver raggiunto questo non comune traguardo, la più profonda e devota gratitudine per il suo elevato Magistero e per la sua rigorosa e penetrante produzione teologica, che su tale corretto rapporto si sono costantemente fondati, in sintonia con la più perfetta dottrina e sensibilità cattolica. Occorrerebbe potersi soffermare con particolare attenzione e dettaglio sulle tre encicliche Caritas in veritate, Spe salvi e Deus caritas est, sulle esortazioni apostoliche, sulle udienze nelle quali egli ha presentato con straordinaria e devota sensibilità le grandi figure che percorsero le vie della santità e della sapienza cristiana inquadrandole in modo da renderle “al vivo” e “a tutto tondo” ai nostri occhi; sui discorsi di grande “spessore culturale” pronunciati nelle diverse circostanze e nei luoghi istituzionali e internazionali di massimo prestigio; senza trascurare la vastissima produzione del teologo Joseph Ratzinger, della quale non si può non citare almeno l’ultima grande opera dedicata a Gesù di Nazaret (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, LEV - Rizzoli, Milano 2007-2012). In questo editoriale, anche per ragioni di spazio, ci concentreremo sull’insegnamento inerente il rapporto fede-ragione-cultura, cercando di evidenziare il tracciato e il valore di indicazione e autorevole provocazione ai credenti e ai non credenti che esso contiene e offre a tutti noi.

Va detto subito che il Magistero di Benedetto XVI non può essere compreso correttamente, se non come proseguimento di quello di san Giovanni Paolo II, con il quale forma come un tutt’uno “sostanziale”, pur con caratteri “accidentali” propri di due diverse se pur intimamente sintonizzate personalità. Ogni tentativo di contrapposizione tra gli insegnamenti dei due pontefici ci porterebbe a fraintenderli. Il pontificato di Benedetto XVI poggia su quello di san Giovanni Paolo II e le sue tesi fondamentali sul tema della ragione acquistano pieno risalto se si comprende il metodo con cui quest’ultimo ha letto e giudicato la situazione del mondo di oggi e affrontato anche il problema del rapporto tra ragione e fede, scienza ed etica, legislazione e fondamenti del diritto. Entrambi i Pontefici ci hanno consegnato, in proposito, due rilievi di decisiva importanza nel giudicare il nostro tempo.

– il primo riguarda l’individuazione delle “contraddizioni” del mondo odierno, che tendono a rendere sempre meno “vivibile” la vita sia a livello individuale che sociale («L’uomo d’oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. […] In questo sembra consistere l’atto principale del dramma dell’esistenza umana contemporanea, nella sua più larga ed universale dimensione. L’uomo, pertanto, vive sempre più nella paura», Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 15). E con il progredire degli anni il senso di insicurezza e di paura, nella nostra società – per il singolo e per la convivenza civile – si è molto accresciuto, minando il grado di vivibilità della convivenza domestica e civile tra le persone.

– E il secondo rilievo consiste nell’evidenziare la necessità urgente di interrogarsi sulle “cause profonde” (risalire dagli effetti alle cause) di questa progressiva diminuzione di vivibilità del mondo contemporaneo («Deve nascere, quindi, un interrogativo: per quale ragione questo potere, dato sin dall’inizio all’uomo, potere per il quale egli doveva dominare la terra, si rivolge contro lui stesso, provocando un comprensibile stato d’inquietudine, di cosciente o incosciente paura, di minaccia, che in vari modi si comunica a tutta la famiglia umana contemporanea e si manifesta sotto vari aspetti?», ibidem).

Eludere queste due questioni significa essere fuori dalla realtà, vivere evadendo la vita, come assopiti da una sorta di “droga culturale e spirituale”. La maggior parte delle persone se ne accorge forse solo inconsapevolmente, provando un disagio indefinito, ma spesso non arriva ad interrogarsi sulle cause profonde; gli osservatori più attenti, anche se non sono credenti, hanno mostrato interesse per queste parole nelle quali, ultimamente, si sono riconosciuti, perché esse sono dettate da una “ragione” che funziona in modo corretto. Il Magistero dei due Pontefici indica la “causa” di fondo del disorientamento della vita del nostro mondo nell’avere abbandonato alcuni principi “irrinunciabili” – che Benedetto XVI ha indicato come “non negoziabili” – nella sua “cultura” (modo di pensare e di vivere) e nelle “regole” di comportamento (modo di agire, di fare le leggi e di governare). Si tratta di principi universali che non richiedono di per sé la fede, per essere riconosciuti, perché basta una ragione non condizionata ideologicamente per individuarli; e senza i quali la fede stessa manca dell’“alfabeto”, della “grammatica” per formulare le sue affermazioni e riflettere su se stessa. Questi principi irrinunciabili sono quelli che la Chiesa ha sempre richiamato nel suo insegnamento non solo ai credenti, ma a tutti gli uomini, proprio perché coinvolgono, prima di tutto, la ragione. Ridotti all’essenziale questi fondamenti imprescindibili sono due: uno di carattere “teoretico”, perché riguarda la nostra conoscenza e l’altro di carattere “pratico” (cioè “etico”), perché riguarda il nostro modo di agire da uomini.

– Il primo (teoretico) è che la “verità” esiste ed è conoscibile, almeno in taluni suoi aspetti  fondanti, dalla “ragione” umana ed è riconoscibile, in linea di principio, da tutti gli uomini quando la usino correttamente.

– Il secondo (pratico) è che ci sono delle “regole di comportamento” universali che si riassumono nella “legge morale naturale” – sulla quale si fonda il “diritto naturale” – che sono comuni a tutte le culture e sono riconoscibili come “irrinunciabili” da tutti coloro che usino adeguatamente la ragione. Questa legge, che fa parte anche della Rivelazione, si riassume essenzialmente anche nel Decalogo.

Senza questi due principi alla base di una concezione dell’esistenza e di uno stile di vita personale, come della cultura e della civiltà di un popolo, di un’economia, di una legislazione, di uno stato, emergono come inevitabili le contraddizioni e le crisi nelle quali il mondo di oggi si trova a vivere. Là dove vengono negati da una ragione inquinata dall’ideologia, essi “si impongono sperimentalmente”, perché la loro assenza e la loro negazione sono causa di una progressiva diminuzione del grado di vivibilità della società. E questo dato esperienziale oggi è palpabile. Alla radice, ciò che rende disumana una cultura e una società è originato dal rifiuto di questi due principi irrinunciabili. Essi sono una “condizione necessaria” anche se non “sufficiente” per attuare il “bene comune”, dal momento che c’è comunque in gioco anche la libertà degli uomini tra le diverse concause; e per il fatto che il pieno significato dell’esistenza umana si trova solo in Cristo, attraverso la Rivelazione, e l’accoglimento di Cristo richiede l’ulteriore passo della fede come esauriente e sovrabbondante risposta alle domande della ragione. A partire da questo quadro elementare di riferimento, focalizzato da san Giovanni Paolo II, si può comprendere l’importanza delle questioni sollevate dal Magistero di Benedetto XVI sul tema dell’“ampliamento della razionalità” e dei “principi non negoziabili” che, come tali, non riguardano solo i cattolici che vogliono restare fedeli al vero Magistero, o i teologi, ma tutti gli uomini, perché l’esigenza di una vita vivibile e sensata è un problema di tutti. Esse sono:

– La denuncia del “relativismo”, come una patologia che ammala la ragione della nostra cultura, della nostra filosofia – e di conseguenza anche della teologia –, del nostro modo di intendere la democrazia, e ormai anche del nostro modo di legiferare: se non esiste più il diritto naturale tutto il diritto diviene “positivo”, cioè convenzionale e arbitrario («Questo relativismo, che oggi, quale sentimento base della persona “illuminata”, si spinge ampiamente fin dentro la teologia, è il problema più grande della nostra epoca», J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 75; e ancora: «La “dittatura del relativismo”, alla fin fine, non è nient’altro che una minaccia alla libertà umana, la quale matura soltanto nella generosità e nella fedeltà alla verità», Benedetto XVI, Ai vescovi americani, Washington, D.C., 16 aprile 2008).

– La denuncia della negazione della “legge morale naturale” come conseguenza pratica del relativismo teorico («Alcuni ritengono che la ragione umana sia incapace di cogliere la verità e, pertanto, di perseguire il bene corrispondente alla dignità della persona. […] La dottrina sociale della Chiesa Cattolica offre, al riguardo, elementi di riflessione utili per promuovere la sicurezza e la giustizia, sia a livello nazionale che internazionale, a partire dalla ragione, dal diritto naturale ed anche dal Vangelo, a partire cioè da quanto è conforme alla natura di ogni essere umano ed anche la trascende», Benedetto XVI, Ai politici democratici cristiani, Castel Gandolfo, 21 settembre 2007). In positivo egli rileva come: «Su questi valori è possibile trovare il consenso anche di chi, pur non aderendo alla Chiesa cattolica, accetta la voce della ragione, sensibile ai dettami della legge naturale» (Ai vescovi della Croazia, 6 luglio 2006). Questa è stata forse la novità più significativa e positiva di questi ultimi anni, che hanno visto, da un lato l’accanimento di chi teme il crollo definitivo di una visione atea e materialista della realtà, alla quale ha aderito, e dall’altro lato l’avvicinarsi attento e incuriosito all’insegnamento della Chiesa, di quanti fino ad oggi non l’avevano preso seriamente in considerazione, perché non ne vedevano la necessità né l’utilità.

Questa è, fin troppo schematicamente, il nocciolo della “diagnosi” della patologia che investe l’uomo di oggi. Se così precisa è stata la “diagnosi”, altrettanto precise sono state le indicazioni per una “terapia”, che cercheremo di riassumere sommariamente.

Per il “risanamento della ragione” dalla dittatura del relativismo, si rende necessaria una revisione, nel senso di un “ampliamento della razionalità”. Occorre mettere a punto una concezione della razionalità più ampia di quella “relativista” che oggi viene accettata come inevitabile ed erroneamente presupposta come condizione per la “democrazia”; una democrazia che così intesa, però, ai nostri giorni si è avvicinata sempre di più ad un’anarchia. Occorre una razionalità che non neghi per principio la possibilità di un “fondamento oggettivo e universale” della “conoscenza” e dell’“esistenza” stessa della realtà. In termini filosofici potremmo dire una “razionalità” capace di elaborare una “metafisica” e una “teoria della conoscenza” che dia spessore alla verità oggettiva, interrogandosi sul «se e come la verità possa tornare ad essere “scientifica”» (J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza, cit., p. 201). Le risposte negative a questa domanda, date dalla modernità hanno prodotto un mondo sempre “meno vivibile”, e quindi non può non venire il legittimo sospetto che contengano qualcosa di erroneo fin dalle loro premesse. Solo l’ostinazione ideologica non si arrenderebbe a questa evidenza. Tali ostinazioni hanno una loro motivazione storica e filosofica nel fatto che, il fondamento primo di tutto, una volta che sia stato identificato dalla ragione con i suoi mezzi, viene a coincidere con quello che, nel linguaggio religioso comune, si chiama “Dio” e che la Rivelazione ha pienamente manifestato e svelato in Gesù Cristo. È a questo punto che è scattato, come un rinnovato peccato originale, il rifiuto. Ma se si vuole risanare davvero la ragione vanno rivedute all’origine le “ipotesi” a partire dalle quali le risposte negative della modernità sono state elaborate. Una spiegazione del mondo, in cui Dio diventi superfluo e soprattutto il Dio cristiano sia rifiutato, si rivela prima o poi inadeguata e socialmente nociva («Fin dall’illuminismo, almeno una parte della scienza s’impegna con solerzia a cercare una spiegazione del mondo, in cui Dio diventi superfluo. E così Egli dovrebbe diventare inutile anche per la nostra vita. Ma ogniqualvolta poteva sembrare che ci si fosse quasi riusciti – sempre di nuovo appariva evidente: i conti non tornano! I conti sull’uomo, senza Dio, non tornano, e i conti sul mondo, su tutto l’universo, senza di Lui non tornano. In fin dei conti, resta l’alternativa: che cosa esiste all’origine? La Ragione creatrice, lo Spirito Creatore che opera tutto e suscita lo sviluppo, o l’irrazionalità che, priva di ogni ragione, stranamente produce un cosmo ordinato in modo matematico e anche l’uomo, la sua ragione. Questa, però, sarebbe allora soltanto un risultato casuale dell’evoluzione e quindi, in fondo, anche una cosa irragionevole», All’università di Regensburg, 12 settembre 2006. E ancora: «La pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi», Intervista, Castel Gandolfo, 5 agosto 2006).

La democrazia senza verità è apparente: «In seno alla comunità cristiana stessa esistono false dicotomie che sono particolarmente dannose quando i responsabili cristiani della vita civile sacrificano l’unità della fede e sanciscono la disintegrazione della ragione e i principi dell’etica naturale, arrendendosi a effimere tendenze sociali e alle domande fasulle dei sondaggi d’opinione. La democrazia riesce solo se si basa sulla verità e su una corretta comprensione della persona umana» (Ai vescovi del Canada, Castel Gandolfo, 8 settembre 2006).

Quei principi irrinunciabili – l’oggettività della verità e della legge morale naturale – possono apparire per il momento delle “tesi” di “teoremi” che la nostra razionalità, non ancora “ampliata”, non è in grado, per ora, di formulare rigorosamente, di giustificare “filosoficamente”. Tuttavia possono essere assunti almeno come “ipotesi di lavoro”, rese quasi inevitabili per una dignitosa sopravvivenza della civiltà nel nostro mondo. Occorre allora:

– provare a prendere come ipotesi di lavoro per un pensiero e una cultura, il dato che esiste qualche verità “oggettiva” conoscibile comune a tutti e che non tutto è relativo;

– provare a formulare delle regole di convivenza, una legislazione che si basi sulla legge naturale comune a tutte le culture e che la tradizione cristiana ha fedelmente custodito.

E nella vita personale, secondo un’altra formula impiegata da Benedetto XVI, provare a vivere “come se Dio ci fosse” e non come se non ci fosse. Non sono mancate, in quegli anni, persone non credenti che sono state attratte da questa indicazione e lo hanno dichiarato pubblicamente («Sempre più la formula etsi Deus non daretur diventa un modo di vivere che trae origine da una specie di “superbia” della ragione – realtà pur creata e amata da Dio – la quale si ritiene sufficiente a se stessa e si chiude alla contemplazione e alla ricerca di una Verità che la supera», Alla plenaria del pontificio consiglio della cultura, 8 marzo 2008; «Alla fine, per arrivare alla questione definitiva, direi: Dio o c’è o non c’è. Ci sono solo due opzioni. O si riconosce la priorità della ragione, della Ragione creatrice che sta all’inizio di tutto ed è il principio di tutto – la priorità della ragione è anche priorità della libertà – o si sostiene la priorità dell’irrazionale, per cui tutto quanto funziona sulla nostra terra e nella nostra vita sarebbe solo occasionale, marginale, un prodotto irrazionale – la ragione sarebbe un prodotto della irrazionalità», Ai giovani, Piazza S. Pietro, 6 aprile 2006).

A questo punto il Magistero propone una pista di lavoro anche per gli studiosi e gli scienziati, per la ricerca filosofica e scientifica, che è tanto più necessario e urgente seguire quanto più sono stringenti le contraddizioni che sorgono in una civiltà fondata sul relativismo culturale ed etico. Questa ricerca dei “fondamenti” della conoscenza (logica, epistemologia) e della realtà (metafisica) dovrà dare il supporto teoretico a quei principi irrinunciabili che, provvisoriamente, devono essere assunti come “ipotesi di lavoro” per la sopravvivenza di una modalità di convivenza che si possa chiamare “umana” e “civile” («Una corretta comprensione delle sfide lanciate dalla cultura contemporanea e la formulazione di risposte significative a tali sfide devono avere un approccio critico ai tentativi limitati e, in definitiva, irrazionali di restringere la sfera della ragione. Il concetto di ragione deve essere invece “ampliato” per essere in grado di esplorare e comprendere quegli aspetti della realtà che vanno oltre la dimensione meramente empirica. Ciò permetterà un approccio più fecondo e complementare al rapporto fra fede e ragione», Ai docenti delle università europee, 23 giugno 2007; «È possibile individuare infatti due linee di fondo dell’attuale cultura secolarizzata, tra loro chiaramente interdipendenti, che spingono in direzione contraria all’annuncio cristiano e non possono non avere un’incidenza su coloro che stanno maturando i propri orientamenti e scelte di vita. Una di esse è quell’agnosticismo che scaturisce dalla riduzione dell’intelligenza umana a semplice ragione calcolatrice e funzionale e che tende a soffocare il senso religioso iscritto nel profondo della nostra natura. L’altra è quel processo di relativizzazione e di sradicamento che corrode i legami più sacri e gli affetti più degni dell’uomo, col risultato di rendere fragili le persone, precarie e instabili le nostre reciproche relazioni. […] Ponendo la domanda intorno alla verità allarghiamo infatti l’orizzonte della nostra razionalità, iniziamo a liberare la ragione da quei limiti troppo angusti entro i quali essa viene confinata quando si considera razionale soltanto ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo», Alla diocesi di Roma, 5 giugno 2006; «Dobbiamo noi europei ripensare la nostra ragione laica, laicista», Ai giornalisti, Aeroporto di Roma-Fiumicino, 28 novembre 2006).

Ma non si può ricominciare da zero per ricostruire una razionalità ampia. Per questo agli intellettuali, studiosi e scienziati credenti poi, viene suggerito di andare ad attingere al patrimonio culturale del pensiero cristiano per individuare delle piste di ricerca da sondare con la ragione, per guidarla su temi rilevanti orientandola e così contribuire a risanarla («Una delle funzioni della fede, e non tra le più irrilevanti, è quella di offrire un risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla appunto nuovamente a se stessa», J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, cit., p. 142; «La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio», Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 28; «Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità», Discorso preparato e non pronunciato alla Sapienza di Roma, 17 gennaio 2008).

C’è un compito specifico in questo percorso che riguarda direttamente gli uomini e le donne che operano negli ambiti della scienza: è quello di «fare scienza nell’orizzonte di una razionalità diversa da quella oggi ampiamente dominante, secondo una ragione aperta al trascendente, a Dio. Ora, noi sappiamo che questo è possibile proprio alla luce della rivelazione di Cristo, che ha unito in sé Dio e uomo, eternità e tempo, spirito e materia» (All’università Cattolica del Sacro Cuore, 25 novembre 2005).

Un compito che non è certo venuto meno dopo l’11 febbraio 2013, giorno dell’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI, ma è divenuto una consegna lasciata a tutti noi, resasi ancora più urgente dall’acuirsi della situazione nella quale ci troviamo oggi a vivere. E coloro che operano nel Centro DISF intendono raccoglierlo e farlo proprio.