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Pierre Duhem, una svolta nel pensiero contemporaneo

Ottobre 2016
Alessandro Giostra
Stanley Jaki Society

Pierre Duhem (1861-1916) è stato uno tra i più grandi storici della scienza di tutti i tempi e può essere ritenuto tra i fondatori di questa disciplina. A cento anni di distanza dalla sua morte, le sue opere, e in particolare Le Système du Monde, rappresentano ancora una tappa obbligata per chi voglia dedicarsi allo studio delle origini delle scienze fisico-matematiche. Nonostante il fatto che il suo contributo non sia stato valutato da tutti allo stesso modo, il merito che gli viene attribuito è quello di aver colmato il divario, prima di lui ritenuto incolmabile, tra la filosofia naturale del Medio Evo e la scienza moderna. La Rivoluzione Scientifica, pertanto, ha avuto dei predecessori nel periodo medievale, e l’opera dei protagonisti del pensiero scientifico moderno costituisce l’apice di un percorso iniziato nella tarda scolastica.

Il contenuto dei volumi centrali de Le Système du Monde è quello che maggiormente evidenzia l’importanza degli studi condotti dallo scienziato francese. Nel volume quarto, per esempio, vengono analizzati gli sviluppi della scienza astronomica nel contesto parigino del XIV secolo. Dopo aver descritto anche i progressi dell’astronomia italiana del tempo, e in particolare l’opera di Pietro d'Abano (1250-1315 ca), il resto del volume è dedicato al neoplatonismo arabo e alla teologia islamica. Tale scelta è dovuta al notevole impatto della filosofia naturale degli arabi nel mondo occidentale. Basti pensare, in tal senso, all’influenza che il pensiero averroista ha esercitato su molti intellettuali del tempo.

Nel quinto volume, dopo l’esposizione del pensiero dei filosofi e cosmologi del mondo ebraico, Duhem tratta delle prime significative influenze del pensiero aristotelico sulla scolastica latina. Oltre alla trattazione di autori come Ruggero Bacone, Alberto Magno e Tommaso D'Aquino, questo volume termina con l'esposizione del pensiero di Sigieri di Brabante, protagonista della nota dottrina della ‘doppia verità’, una di fede e l’altra di tipo filosofico-naturale. Questo argomento fornisce allo studioso francese l’occasione di sottolineare come la Chiesa Cattolica abbia svolto un ruolo essenziale nel rifiutare tale impostazione. Accettare la doppia verità, infatti, avrebbe stroncato sul nascere ogni possibilità di conflitto tra scienza e fede, ma avrebbe anche confinato la fede stessa nel novero delle pure costruzioni mentali, separate dal mondo reale.

Il sesto volume riparte dagli argomenti di quello precedente, dal momento che si occupa delle conseguenze della condanna delle tesi aristotelico-averroiste, avvenuta nel 1277 per volontà del vescovo di Parigi, Etienne Tempier. Duhem attribuisce a questo evento un’importanza fondamentale per la svolta che ha condotto alla moderna scienza della natura. Secondo Duhem, la fede cristiana e la scienza sperimentale sono riuscite a dar origine al cosiddetto “positivismo cristiano”, i cui primi rappresentanti sono stati proprio personaggi come Giovanni Buridano ed i suoi studenti.

La descrizione del lavoro svolto dai “fisici parigini” costituisce il nucleo centrale del settimo volume. Duhem fa notare come il cammino che ha condotto verso la fisica moderna sia stato caratterizzato da una lenta gradualità, anche se alcuni scienziati hanno creduto di aver effettuato un netto distacco rispetto alle concezioni precedenti. Nell’ottica del nostro scienziato, pertanto, gli studiosi moderni, ai quali viene attribuito il merito di aver fondato la vera scienza della natura, hanno continuato sulla strada intrapresa dai filosofi della natura del Medioevo. Duhem si sofferma in particolare su alcune conquiste relative agli approfondimenti dei concetti di luogo, moto e tempo, evidenziando il fondamentale contributo di autori come Nicole Oresme alla teoria del moto.

I vari aspetti del movimento dei corpi sono ampiamente illustrati anche nel volume ottavo, nel quale è presente la questione probabilmente più rilevante dell’intera opera. In questa sezione, infatti, viene discussa la teoria dell’impetus di Buridano. Duhem ha considerato questa teoria come la prima formulazione del principio di inerzia, cioè il primo dei tre principi della fisica newtoniana. Buridano ha indicato nell'impetus un principio comune al moto celeste e terrestre, ponendo così una pietra miliare nel processo di revisione della filosofia naturale di origine aristotelica. La consapevolezza di tale rilevanza, ha indotto Duhem a pronunciare il seguente giudizio: “Buridano ha l'incredibile audacia di dire: i movimenti dei cieli sono soggetti alle stesse leggi dei corpi sulla terra [...] c'è una sola meccanica con la quale sono regolate tutte le cose create; […] forse non c'è mai stata nell'intero dominio della scienza fisica una rivoluzione così profonda e fruttuosa. Un giorno Newton scriverà nell'ultima pagina dei suoi Principia: ‘con la forza di gravità ho dato una descrizione di tutti i fenomeni che i cieli offrono e che i nostri mari presentano’. In quel giorno Newton annuncerà il pieno sbocciare di un fiore del quale Buridano ha gettato il seme. Il giorno nel quale quel seme è stato seminato è, per così dire, il giorno in cui è nata la scienza moderna” (vol. VIII, p. 340).

Di fronte a questi risultati, è lecito porsi un interrogativo: è corretto attribuire a Duhem un’importanza che vada al di là del settore specifico della storia della scienza? In altre parole: le sue scoperte relative alle anticipazioni medievali del pensiero scientifico, possono essere ritenute essenziali anche per la storia del pensiero in generale? La nostra risposta a tali quesiti è indubbiamente positiva, e un breve sguardo alla storia del pensiero non può che confermare tale opinione.

L’idea dell’assoluta superiorità della scienza e del ruolo negativo della religione, trova una sua prima significativa espressione nel pensiero illuminista. L’Illuminismo ha svalutato del tutto il concetto di rivelazione, per promuovere l’ateismo o una fede di tipo deista, che prevede la presenza di Dio solo come un orologiaio dell’universo. La tendenza ad assolutizzare la scienza è culminata nell’era del Positivismo, che può essere considerato come il prosieguo dell’Illuminismo. Il Positivismo ha esaltato la scienza, elevandola al rango di sapere assoluto e fondamento indiscutibile dell’attività umana. La cultura scientifica è stata vista come l’unica conoscenza possibile e il progresso della civiltà è stato collegato indissolubilmente al progresso scientifico. Alcuni storici del periodo positivista hanno valutato il rapporto tra religione e scienza nei termini di una netta contrapposizione tra l’oscurità e la luce del sapere.

La prospettiva empirico-strumentale è stata tipica anche dell'impostazione marxista. Marx (1818-1883) stesso ha definito lo sviluppo scientifico rapportandolo ai modelli della produzione economica nelle varie epoche della storia. Nella Miseria della Filosofia (1847), per esempio, il pensatore tedesco dichiara che la cultura del Medio Evo, la cui modalità produttiva è simboleggiata dal mulino, è quella dei filosofi scolastici che hanno così legittimato il predominio politico della nobiltà feudale e delle gerarchie della Chiesa. Una posizione del tutto simile si ritrova in Engels (1820-1895). Nella lettera di quest’ultimo a Walter Borgius (1870-1932) del 1894, è spiegato come un bisogno tecnologico della produzione contribuisca allo sviluppo scientifico più di quanto possano fare le istituzioni accademiche:

L’importanza di Duhem consiste appunto nella sua capacità di interpretare il contesto nel quale ha operato e di averne messo in evidenza le criticità. Innanzitutto, il suo pensiero ha respinto decisamente tutte quelle concezioni che, in un modo o nell’altro, hanno visto nel cristianesimo un impedimento per la conoscenza scientifica. Il rapporto di continuità tra la filosofia della natura medievale e la Rivoluzione Scientifica, così come il ruolo decisivo delle istituzioni ecclesiastiche e della teologia cristiana per le acquisizioni della moderna scienza naturale, hanno tolto ogni credibilità alle teorie positiviste, marxiste e alle correnti scientiste dell’epoca contemporanea. A ciò si aggiunga che, per le suddette visioni di tipo materialista, il distacco tra fede e scienza non è una conseguenza secondaria dei loro presupposti. Si tratta in realtà di un fondamento essenziale, parte integrante di una sorta di determinismo universale, volto all’eliminazione di ogni componente religiosa dall’ambito del pensiero razionale. Ecco il motivo per cui l’importanza delle scoperte di Duhem non può essere confinata nell’ambito della storia della scienza, ma assume i connotati di una svolta ben più ampia.

In qualità di credente, inoltre, Duhem ha visto dietro lo sviluppo del pensiero scientifico l’opera di Dio. In questo spirito concludiamo l’editoriale con le seguenti parole, tratte dall’opera Les Origins de la Statique (1903), che definiscono lo sviluppo della scienza come un dono elargito all’umanità da parte del Creatore:

<<Attraverso i fatti complessi che compongono questo sviluppo, cogliamo l’azione continua di una Sapienza, che presagisce la forma ideale verso cui la scienza deve tendere, e di un Potere che fa convergere verso quell’obiettivo gli sforzi dei ricercatori. In altre parole, vediamo in tale sviluppo l’opera di una Provvidenza>>.