Tu sei qui

Una lettera da Oxford

Novembre 2015
Luca Settimo
PhD, Pharmaceutics Professional, Oxford

Ho il piacere di vivere ad Oxford da molti anni e posso dire che è una città unica nel suo genere in Inghilterra. La città sembra costruita per avere l’università nel suo cuore, i colleges sono ovunque con magnifiche architetture che in molti casi risalgono a centinaia di anni fa. Passeggiare nel centro di Oxford, specialmente di notte, quando ci sono poche persone in giro, è come viaggiare indietro nel tempo fino al medioevo e alla prima modernità.

Io sono uno scienziato, lavoro nel campo delle scienze farmaceutiche, ma ad Oxford ho avuto la possibilità di conoscere un po’ di filosofia e teologia frequentando seminari serali offerti a studenti. Inoltre ho potuto seguire alcuni corsi presso un collegio di frati domenicani: anche se Tommaso d’Aquino visse nel medioevo ho potuto verificare quanto i suoi insegnamenti possano ancora essere attuali.

Nel mondo accademico anglosassone è comune assistere a dibattiti su temi riguardanti il rapporto tra scienza e fede. Vengono organizzate molte conferenze presso diversi college, in particolare presso il centro Ian Ramsey per la scienza e la religione. 

La mia impressione è che nel mondo accademico britannico si tenda a ritenere scienza e fede come opposte e in conflitto. Un esempio calzante sono i dibattiti di Richard Dawkins con Alister McGrath e Rowan Williams, tutti liberamente visualizzabili su Youtube. Questa modalità di impostare il dibattito tra scienza e fede è molto differente dal lavoro interdisciplinare che stanno portando avanti altre istituzioni e realtà culturali, come la stessa Sisri.

Nel dibattiti che caratterizzano il mondo anglosassone, spesso gli accademici che vogliono mostrare come il loro approccio scientifico sia l’unico corretto per acquisire conoscenza, combattono contro ciò che ritengono essere l’approccio irrazionalista adottato dalle religioni. Rivendicano infatti che la realtà può essere descritta solo usando inferenze razionali, usando un mix di metodi deduttivi, abduttivi, induttivi, logico-matematici. Richard Dawkins è probabilmente l’intellettuale più famoso in questa linea di pensiero. 

Ma non tutti nel mondo britannico si riconoscono in questa impostazione culturale, occorre infatti ricordare che l’Inghilterra è una nazione cristiana dove il monarca è ancora il capo della chiesa d’Inghilterra e molti intellettuali vedono nelle posizioni degli scienziati atei un rischio per l’estrema secolarizzazione della società. Dunque non è sorprendente trovare accademici intenti a praticare apologetica cristiana. 

Nei dibattiti inglesi ho visto all’opera due strategie diverse di risposta alle rivendicazioni anti-religiose degli scienziati atei: un approccio è mostrare che fede e scienza condividono un medesimo metodo conoscitivo, l’altro approccio invece accetta il contrasto tra metodi della scienza e conoscenza per fede, ma nega che questo sia un problema.

Il primo approccio è stato ben presentato dal professor McGrath, il quale ha cercato di mostrare che la religione è ragionevole in quanto alla teologia possono essere applicati il metodo e i canoni della scienza. Un altro accademico di Oxford che segue un approccio simile è il professor Richard Swinburne: questo filosofo è convinto che la verità del cristianesimo possa essere mostrata dal fatto che l’esistenza di Dio è altamente probabile. Comunque questo approccio non riesce a dire molto sulla natura di Dio e non può giustificare l’esistenza di nessun contenuto dottrinale.

Il secondo approccio è portato avanti dal professor Tom Simpson, un altro filosofo di Oxford. Su Youtube si può vedere un suo seminario tenuto presso il centro Ian Ramsey e intitolato “The nature of scientific and religious belief”. Il professor Simpson accetta l’uso dell’inferenza razionale come il metodo corretto per lo sviluppo della conoscenza nelle scienze naturali, invece il credo religioso è razionalmente valutabile in base alle  norme di testimonianza. In altre parole le religioni rivelate invitano alla credenza sulla base della testimonianza, piuttosto che sulla base dell’inferenza razionale.

Ci sono dunque cinque vie della conoscenza: le percezioni, la memoria, l’inferenza razionale, l’introspezione, la testimonianza. La via della conoscenza per i credenti nelle religioni rivelate è basata sulla testimonianza e non sull’inferenza razionale, la quale è usata dalle scienze naturali. Provare ad assimilare il credo religioso alle categorie di inferenza razionale è dunque un errore, dal momento che l’informazione religiosa è trasmessa attraverso la testimonianza.

Usando questo approccio l’esistenza di molti contenuti dottrinali può essere spiegata e acquisisce di senso. Il professor Simpson ritiene che vi sono due requisiti essenziali richiesti per acquisire conoscenza tramite testimonianza. Infatti quando qualcuno ci dice qualcosa noi inconsciamente ci chiediamo: 

  • questa persona conosce ciò di cui parla?
  • questa persona mente o è veritiera?

Se noi siamo sicuri che la persona è onesta e ha autorità epistemica su ciò che dice, allora noi crediamo che l’informazione comunicata è vera e costituisce conoscenza.

Lo stesso ragionamento può essere applicato alla religione rivelata nella comunità dei fedeli. In questo caso comune responsabilità epistemiche sono trasmesse attraverso le istituzioni e le norme della comunità credente.

Ma è importante anche sottolineare che anche nelle scienze naturali la testimonianza gioca un fattore importante come vettore di trasmissione di conoscenze. Per esempio, quando uno scienziato presenta alcune scoperte in una conferenza, l’auditorio crede che i risultati degli esperimenti siano reali e non inventati, non avendo di certo la possibilità di verificare in tempo reale le dichiarazioni dello scienziato. A questo proposito qualche anno fa si scoprì che un professore di genetica sud coreano aveva falsificato i dati delle sue ricerche per lungo tempo. Dal momento che erano stati pubblicati da una prestigiosa rivista scientifica erano stati ritenuti validi. La successiva scoperta della truffa fu un serio danno all’immagine del rigore della ricerca scientifica.

Un altro interessante esempio è dato dall’utilizzo di prove assistite dal computer: molte operazioni matematiche sono troppo complesse per essere effettuate manualmente e vengono affidate a computer. I matematici accettano i risultati del computer fidandosi che l’algoritmo di risoluzione del computer non sbagli, senza ricontrollare tutti i calcoli.

Dunque possiamo concludere che ogni persona decide di acquisire conoscenza attraverso la testimonianza di un’altra persona o di un’istituzione solo se queste sono considerate sincere e in possesso di autorità epistemica. Probabilmente potremmo andare anche al di là dell’approccio del professor Simpson non contrapponendo rigidamente inferenza razionale e testimonianza. Come vediamo entrambe all’opera nel lavoro scientifico, non escludiamo che entrambe si possano parimenti trovare nell’esperienza religiosa. 

Ovviamente quanto ho appena proposto non vuole essere una spiegazione risolutiva di ciò che è fede e scienza, ma solo una descrizione di come il dibattito tra le due visioni, scientifica e religiosa, venga impostato nel mondo accademico anglosassone e quali strategie concettuali vengano adottate per affrontarlo.