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Un uomo che guardava verso il cielo: Enrico Medi

Agosto 2014
Silvia Pompei
Laurea magistrale in biologia cellulare

Ricorre quest’anno il 40° anniversario della morte di Enrico Medi, scienziato italiano, uomo politico, figura di notevole spicco nel panorama intellettuale del XX secolo.

Medi nasce il 26 aprile 1911 a Porto Recanati nelle Marche da Arturo Medi, medico, e Maria Luisa Mei, originari di Belvedere Ostrense (Ancona). Trascorre la sua infanzia nel suo paese natale, con la sua famiglia e i nonni, dove frequenta la locale scuola elementare. Nel 1920 si trasferisce con la famiglia a Roma, dove inizia i suoi studi sino al conseguimento della laurea in fisica nell’anno 1932. Nel 1942, Enrico viene chiamato alla cattedra di fisica sperimentale dell'Università di Palermo. Dopo la triste esperienza della guerra e del fascismo, durante la quale a Belvedere Ostrense si adoperò per alleviare le sofferenze dei concittadini, nel 1946, Medi fu eletto a partecipare ai lavori dell'Assemblea Costituente e successivamente fu deputato al Parlamento nella prima legislatura della Repubblica.

Scienziato, politico, divulgatore, è stato esempio ammirevole di laico cristiano impegnato a rendere testimonianza con la propria stessa vita, professionale e familiare, del messaggio, evangelico. Per questo motivo, il Portale DISF lo propone ai suoi visitatori nella rubrica “Scienziati credenti”. Leggendo i suoi scritti divulgativi e le sue riflessioni sapienziali, indirizzate soprattutto ai giovani, si nota come l’umile consapevolezza della pochezza della condizione umana rispetto alla magnificenza del creato e del suo Creatore, abbia costituto lo slancio della sua riflessione umana, spirituale, intellettuale e professionale. “L'uomo —affermò in una occasione— diventa grande quando nella sua piccolezza raccoglie la grandezza dei cieli e lo splendore della terra e al Padre comune li offre in adorazione e in amore”.

Padre di sei figlie si espresse, fra i molti temi da lui trattati, sul matrimonio, osservando che sebbene uno dei fini di quest’ultimo fosse certamente la generazione dei figli, il “fine dei fini”, cioè la ragione per la quale Dio volle la strada dell’amore coniugale, fosse l’elevazione dell'uomo sino ai vertici insondabili dell'amore. L'amore totale: il dono di sé senza altra ragione che quella di donarsi del tutto, per sempre. “In questo assoluto —scrisse Medi— morire è la totalità del vivere, la gioia di una risposta egualmente totale, assoluta, eterna, per cui nella distinzione delle persone si fonda una natura nuova completa”. I figli, aggiunse, arrivano come un miracolo ad arricchire il mondo con la loro bellezza, il loro sorriso e la loro stessa incapacità di vivere da sé.

Enrico Medi amava molto i giovani e si rivolgeva loro con continuo e crescente entusiasmo. Rivolse la sua opera soprattutto a loro, guardandoli nella luce di un superiore modello: Gesù Cristo. In un brano de I giovani come li penso io (1976), tratto da una conferenza tenuta nella primavera del 1972 ad un gruppo di studenti, egli sottolinea come i giovani esprimano, in molteplici modi, un desiderio crescente di conoscenza mai pienamente soddisfatto, neppure dall’avanzare del progresso scientifico e dalle nuove tecnologie. Essi, osserva, paiono avere bisogno di una risposta che vada più in profondità, all’essenza stessa delle cose, una risposta che, secondo Medi, solo Dio può soddisfare in pienezza. È ai giovani che si rivolge nella conferenza “Gli uomini e il cielo” tenutasi a Prato poco dopo il dramma dell’Apollo XIII, il 13 Aprile 1970, una missione verso la luna che dovette rientrare a terra in condizioni assai difficili a causa di gravi avarie a bordo. Medi chiedeva ai giovani, interrogando al contempo se stesso, la ragione per cui l’uomo fosse riuscito a perdere la testa ogni qual volta avesse compiuto un passo in più. A loro, ironicamente, ricorda come l’uomo fosse stato capace di sentirsi dominatore dell’universo già dopo l’invenzione della mongolfiera e di lì fosse impazzito ad ogni aumento di velocità, dimenticando puntualmente, come termine di confronto, che la luce, da dieci miliardi di anni, è in grado di viaggiare a 300.000 chilometri al secondo, il tempo di un battito di cuore. Si interrogava Medi, meravigliato e incredulo, su come fosse possibile che avvenimenti relativamente piccoli nella storia dell’uomo fossero in grado di influire sui valori assoluti della vita e del pensiero, esprimendo stupore di fronte all'atteggiamento tipicamente umano di sentirsi in qualche modo dominatori della vita e della realtà naturale che ci circonda. Sottolineava come ciò fosse imperdonabile e volesse significare la mancanza di un giusto senso delle proporzioni con cui misurare fatti ed opere nella storia dell’uomo, l’incapacità di approfondire il valore intrinseco delle cose.

Nella stessa occasione, continuò ricordando come nelle città nessuno fosse più in grado di alzare gli occhi e guardare al cielo, riconoscere le costellazioni, lasciarsi cogliere e sorprendere dalla meraviglia e dallo stupore, afferrare i messaggi lanciati dalle stelle da miliardi di chilometri di stanza: “Il cielo è la nostra terra, ma nelle città gli uomini non guardano più al cielo. Siamo una civiltà così strana che nelle città gli uomini non guardano più verso il cielo. Lo vediamo alla televisione, lo vediamo nei film, lo vediamo nei libri ma il cielo vero è raro che lo si guardi. Nessuno più guarda verso il cielo per vedere se son lune o no, se brillano o no le stelle, se passano o no i messaggi dei misteri delle profondità. Non abbiamo noi familiarità con le stelle: quante volte, come gusto, soprattutto nei mesi di vacanza, nel chiedere dov’è la Stella Polare, dov’è l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Andromeda, l’Alfa del Cigno. La gente non solo sa. Ma poi quando gli si mostra ad una ad una le varie stelle del cielo la gente si incanta e si innamora. Così questa sera, al di là di quest’arcata fatta dall’uomo per l’espansione delle sue preghiere, noi guardiamo su verso il cielo e vogliamo raccogliere dentro i nostri cuori l’anelito e il messaggio delle stelle”.

Medi ha dedicato molte delle sue energie e del suo tempo alla divulgazione scientifica, all’impegno sociale e politico, ai grandi temi dello sviluppo tecnologico di un Paese come l’Italia che, nel dopoguerra, era in uno stato di allarmante arretratezza.

Il suo nome divenne noto al grande pubblico soprattutto per i suoi interventi alla televisione. Infatti, già dal 1954, intuito il valore divulgativo della televisione per la scienza, iniziò presso la RAI dei corsi di fisica sperimentale che ebbero un notevole seguito da parte del pubblico. Svolse questo compito con chiarezza e semplicità di espressione. Con grande successo, il 21 luglio 1969 commentò a tutti gli italiani lo sbarco sulla Luna. Nella stessa conferenza di Prato osservò come: “Il veder le cose, il conoscerle, è fatto dagli uomini, per gli uomini. Ed è quindi più facile dirle con chiarezza di comprensione che con confusione di paroloni. Poiché spesso si usano parole grosse e difficili per nascondere ciò che non si è compreso dentro di noi”.

Scienziato e sincero credente, offrì tutte le sue energie per contribuire all'avvento di una umanità migliore, richiamando alla centralità della persona umana rispetto al frutto delle sue opere. Ne Il mondo come lo vedo io scrisse: “L’uomo deve essere sempre signore delle opere sue, non diventarne lo schiavo. Non è l’uomo fatto per servire la scienza, ma per servirsi della scienza. È la scienza fatta per l’uomo e l’uomo per Iddio. Vale più l’uomo che ha compiuto un’opera, che l’opera stessa. L’uomo è immortale, le opere passano e periscono. Non Dante è intrinsecamente grande perché ha fatto la Divina Commedia, ma questa è tale perché Dante l’ha scritta. Quindi anche per la bomba atomica ammiriamo questa creatura umana che conquista la natura e manifesta la propria eccelsa dignità, che superando la materialità delle cose, le trasforma per il suo bene sotto la luce del pensiero. L’umanità spesso si accorge di certe cose quando queste fanno male, anzi fanno tanto male. La meraviglia è venuta quando l’uomo si doveva coprire il volto di vergogna e di lacrime. È doloroso per tutti coloro che sentono l’esistenza terrena come dedita a una missione di bene per i propri fratelli, vedere l’opera del genio umano andare contro la vita degli uomini. La bomba nucleare (o atomica) è un triste episodio non derivante dalla scienza, ma da una mancata sapienza. La scienza è dono divino; l’usarla male è colpa dell’uomo. Ci si accorge del progresso quando i suoi frutti diventano clamorosa propaganda, così il travaglio del pensiero è troppo spesso lasciato nella incomprensione dei più”.

Enrico Medi conclude la sua giornata terrena sul tramonto della domenica del 26 maggio 1974. Riposa nella tomba di famiglia, nel cimitero di Belvedere Ostrense. Il 26 maggio 1996 è stata introdotta la causa canonica per la sua Beatificazione.