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Riflessioni a margine della vicenda Stamina

Giugno 2014
Francesca Lozito

Perché scrivere un editoriale sulla cosiddetta “vicenda stamina” per un sito dedicato al dialogo tra scienza e fede? La ragione è presto detta: questa vicenda ha illuminato in maniera così evidente il difficile rapporto tra opinione pubblica e ricerca scientifica che, per chi ha a cuore le dimensioni umanistiche della scienza, una riflessione a riguardo si impone. 

E' difficile scrivere ancora parole sulla vicenda Stamina, soprattutto dopo gli ultimi mesi in cui è indubbio che si sia verificata sui media una accelerazione nella messa a parte delle informazioni che vanno a comporre il complicatissimo puzzle di questa storia.

In questa sede decido di tralasciare gli aspetti di più stretta attualità. Scelgo di non ricostruire la genesi di una vicenda che è tuttora oggetto di indagine della magistratura e di ben due commissioni istituzionali – in Senato e in Regione Lombardia. Ma mi avvalgo di alcuni passaggi tratti dalle audizioni di queste ultime.

Mi soffermo invece su tre concetti chiave che ritengo essere utili per impostare una riflessione di più ampio raggio: medicina pretensiva, principi guida, compassione.

Innanzitutto con la vicenda Stamina (per scelta non lo chiameremo né metodo né caso) viene inaugurata un tipo di medicina che Antonio Scalera (nel numero di Famiglia e diritto 10/2013) ha definito come medicina pretensiva:

Tirando le fila del discorso e volendo svolgere una riflessione conclusiva sulle ricadute che la vicenda in esame potrebbe avere sul rapporto medico-paziente, si può affermare che - oramai archiviato il passaggio dall’epoca del “paternalismo”, in cui il medico rivestiva una posizione di supremazia sul paziente, all’epoca del “consenso informato”, in cui il rapporto terapeutico si svolge su un piano quasi paritetico, il “caso Stamina” abbia inaugurato una nuova stagione che, provocatoriamente, potrebbe andare sotto il nome di “medicina pretensiva”. Qui il medico figura come il soggetto passivo dell’obbligazione di praticare i trattamenti richiesti dal malato (nella fattispecie in esame, quelli appunto previsti dal metodo “Stamina”), ancorché privi di alcuna efficacia terapeutica e finanche pericolosi, purché rispondenti ad una concezione esasperatamente soggettiva del diritto alla salute; concezione in base alla quale viene prescritto non il trattamento che il medico, in virtù delle sue conoscenze professionali, ritiene d’adottare, ma quello che il malato stesso pensa lo faccia stare meglio. Se così fosse, sarebbe l’inizio della fine per la medicina e per la scienza in generale che, nell’autonomia del medico e nella libertà della ricerca, traggono la propria ragion d’essere.

In altre parole non si vuole conoscere quale sia la natura della cura: la si prende fideisticamente per buona. Sulla base di quello che in Commissione sanità durante l'indagine conoscitiva il direttore generale dell'Aifa Luca Pani ha definito come il modello del marketing diretto. Il 6 febbraio 2014 a conclusione delle due audizioni in cui ha risposto alle domande dei Senatori Pani afferma:

Come abbiamo sentito anche in questa aula il termine “staminali” ha assunto un aura taumaturgica, come tutte le aure impalpabile e vuota, che va dalle staminali vegetali disponibili in molti prodotti cosmetici e creme di bellezza sino al marketing diretto di “mesenchimali” inefficaci e senza mai alcun obbligo di provarne l’efficacia. Infatti il refrain che si sente ultimamente ripetere dai sostenitori del cosiddetto metodo è che non ci sono effetti collaterali e che quindi dato che non fa male perché non provare. Al di là del fatto che su tale affermazione sono in corso delle indagini giudiziarie di natura penale, potrebbe naturalmente esistere la possibilità che non faccia male perché quello che viene iniettato è assolutamente privo di qualsivoglia principio attivo ma non si può sapere con certezza dato che la lavorazione del “prodotto” viene svolta in segreto e solo dai biologi (neppure iscritti all’albo a quanto pare) di Stamina.

Le cellule staminali sono oggetto di grandi attese in tutto il mondo. In alcuni casi le prove della loro efficacia stanno cominciando a dare risultati. Per le staminali di tipo mesenchimale sono ancora pochissimi. Uno dei successi è quello nella riparazione della cornea in particolare rigenerando tessuto epiteliale danneggiato.

Ma occorre essere estremamente chiari nella comunicazione dei risultati. Fidarsi della scienza. Ma nello stesso tempo la scienza dovrebbe comunicare con maggiore chiarezza. Su questo anche nella vicenda in questione al mondo accademico degli scienziati non si può non imputare un notevole silenzio. Salvo quei pochi che si sono espressi fin da subito con appelli a fermare sia la sedicente terapia che il decreto. Ma hanno messo soprattutto delle firme e fornito poche interviste e materiale chiarificatore. Di fronte al “marketing diretto” non è stato fatto molto.

L'Italia, con la prima formulazione del decreto Balduzzi ad aprile 2013, quando per un tentativo di sanare la situazione che stava dilagando con i ricorsi fatti dai genitori dei bambini malati in tribunale al Senato, ha rischiato di uscire dalle normative europee che controllano la produzione delle cosiddette terapie cellulari avanzate. Le cellule mesenchimali, infatti, sono equiparate ai farmaci: vengono prelevate da un donatore, lavorate in laboratorio e solo dopo questo passaggio trasferite nel malato.

Equipararle ai trapianti avrebbe significato farle uscire dalla procedura di sicurezza prevista dalla direttiva europea 1394 del 2007, recepita anche dal nostro Paese. Avrebbe significato il far west.

Allora intervenne il nobel padre delle staminali riprogrammate Yamanaka, con un statement ufficiale che ha sottolineato i tre principi guida per l’uso terapeutico delle cellule staminali, ma che valgono in generale per ogni ricerca scientifica (Tratto da: Francesca Lozito e Paola Binetti “Il caso Stamina e la prova dei fatti”, Magi editore):

È il 10 aprile 2013, quando il premio Nobel Shinya Yamanaka ribadisce i tre principi guida per l’uso terapeutico delle cellule staminali. Lo fa con uno sguardo chiaramente puntato sul nostro Paese dove il dibattito intorno al decreto Balduzzi sulle staminali messe in gioco da Stamina è molto acceso. Un emendamento del Senato rischia di derubricare le staminali da farmaci a trapianti, con il rischio che il nostro Paese si apra a una deregulation che assomiglia a un vero e proprio far west. Sicurezza, efficacia e fondamento etico: sono i tre principi ribaditi nel duro comunicato ufficiale della Società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali (ISSCR). Il comunicato definisce «sconcertante» per la comunità scientifica internazionale la decisione presa dal ministro della salute di presentare un decreto legge in cui autorizza il trattamento con Stamina. «La decisione di somministrare un trattamento non dovrebbe essere presa al di fuori di una sperimentazione clini ca controllata, senza dati certi sulla sua sicurezza ed efficacia, – e conclude Yamanaka –, siamo vicini ai pazienti con malattie incurabili. Tuttavia, non ci sono sufficienti ragioni per ritenere che questi pazienti possano beneficiare di una terapia a base di staminali mesenchimali». Quasi contemporaneamente, un gruppo di tredici scienziati dalle colonne di «Embo Journal», rivista legata a «Nature», riassume le questioni fondamentali e i rischi che l’Italia sta correndo.

Yamanaka richiama tre principi guida: sicurezza, efficacia e fondamento etico.

Sono questi i caposaldi di una medicina in scienza e coscienza.

Ma anche qui la vicenda Stamina riserva un altro colpo di scena fornendoci una nuova ridefinizione delle categorie di azione delle medicina.

A darla è Carmen Terraroli, responsabile della segreteria scientifica del comitato etico degli Spedali Civili di Brescia, durante l'audizione del 18 febbraio 2014 in Senato. Rispondendo a una domanda in merito ai dati sui pazienti risponde:

Di eventi avversi non ne abbiamo praticamente avuti. Questo ci ha portato ad essere favorevoli e tranquilli, perché secondo me tutti i medici hanno agito in buona fede.

La buona fede non è un criterio di conduzione della medicina. Persino nelle cure palliative viene invocato da Cicely Saunders, la fondatrice che le ha teorizzate a metà degli anni '60, il rigore scientifico.

Non c'è buona fede che tenga quando si ha a che fare con la vita di malati, seppur inguaribili. Ci deve essere rigore nella cura, soprattutto quando si tratta della vita di bambini. Che ci sono affidati. Come genitori, come società e come comunità.

Infine l’ultimo concetto chiave è la compassione e il suo ruolo nel veicolare messaggi all’opinione pubblica. In questi mesi abbiamo più volte sentito risuonare la parola compassione. Compassionevoli sono le cure che invocano i genitori dei bambini malati a tutti i costi. Una compassione che è stata chiesta con aut aut di violenza verbale che ha assunto forme estreme come l'esposizione di bare bianche davanti a Montecitorio, piuttosto che l'estrazione di sangue per macchiare le foto delle massime cariche istituzionali. O il blocco delle principali vie della Capitale.

Il livello dello scontro portato all'esasperazione voluta. Niente a che vedere con la compassione in senso evangelico. Quel camminare in cordata che ci consente di portare i pesi dell'altro per alleviarne la sofferenza. La compassione è un tratto dell'umanità. Non può essere rivendicata come un freddo diritto nelle manifestazioni di piazza. Altrimenti si rischia di comprometterla con una nuova forma di populismo socio sanitario che sta avanzando pericolosamente di fronte a un vuoto degli organi di sostegno, di cura e protezione dei diritti dei malati.

Non è un caso che il Comitato 16 novembre precede nelle piazze di pochi mesi l'avvento del movimento Vite sospese, principale sostenitore di Stamina, assieme a una galassia di sigle e siglette che ruotano attorno al fondatore Davide Vannoni. Sia sui social media che nel mondo reale.

La risposta allora deve venire da una ripresa di campo della vera compassione.

Solo così è possibile evitare che chi si trova in una condizione di disperazione cada nella trappola del primo facile imbonitore che ti chiede di pretendere qualcosa. Che non può guarire.

La vicenda Stamina ha mostrato quanto i termini “scienza” e “ricerca” possano essere ridotti a feticci per manipolare e indirizzare l’opinione pubblica e quanto sia necessaria una razionalità civile scientificamente edotta e largamente condivisa. Una comunicazione scientifica efficace ed etica non può più essere lasciata al tempo libero del ricercatore, deve diventare un suo assillo tanto quanto la sua ricerca. Non esiste ricerca della verità senza la sua comunicazione, come dire che cercare la verità significa difenderla e difendere la verità è cercarla.