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La scienza e il dono intellegibile: a cento anni dalla nascita di Thomas Forsyth Torrance

Agosto 2013
Flavia Marcacci
Docente di Storia del Pensiero Scientifico - Pontificia Università Lateranense

All'età di 81 anni Thomas F. Torrance (1913-2007) ancora viaggiava verso le montagne Minshan del Wenchuan cinese per incontrare le popolazioni indigene: è evidente lo spirito missionario con cui questo teologo protestante viveva il suo servizio a Cristo. Nato il 30 agosto del 1913 a Chengdu, nella provincia cinese occidentale di Sichuan, Torrance eredita lo spirito missionario dai suoi genitori, l'evangelico Rev. Thomas e l'anglicana Mrs. Annie E. Torrance. Soprattutto della madre Torrance sembra ricordare il profondo istinto teologico, la naturalità e radicalità con cui viveva e trasmetteva la presenza di Dio nella sua vita. Proprio la dedizione di questa madre e di questo padre a servire il Vangelo hanno permesso che altrettanto facessero i sei figli (tre maschi e tre femmine) dei quali Thomas era il maggiore.  (Per informazioni più dettagliate su aspetti biografici e bibliografici si può consultare il sito ufficiale dedicato alla figura di T.F. Torrance: http://www.tftorrance.org/bio.php.)

Proprio in lui questa tensione missionaria si volge più avanti al piano accademico e speculativo: il giovane studioso inizia pertanto ad interessarsi di scienze naturali. Formandosi tra Edimburgo, Oxford e Basilea Torrance si dedica alla teologia e in particolare lavorando con H. R. Mackintosh gli diviene familiare la teologia di Karl Barth. Di questi Torrance prepara curatele ed edizioni (come: Karl Barth, Church Dogmatics, 5 voll., 2nd ed., Edinburgh 1975-77), sebbene di Barth ripercorra il pensiero in modo del tutto originale. Docente per ventisette anni di Dogmatica cristiana al New College dell'Università di Edimburgo, sua premura fondamentale è che la teologia non sia una “paper theology”, bella da leggere ma inutile alla vita, bensì qualcosa di utile e capace di riconciliare ogni uomo con Dio. Nel corso dei suoi studi e soprattutto durante il soggiorno negli Stati Uniti nel 1939 si avvicina alle scienze: in esse scopre un sapere con cui sente l'urgenza di un confronto. Il sapere scientifico, sia pratico che teorico, lo attrae perché muove e si concentra sul tentativo di comprendere la natura nella quale l'uomo stesso è immerso e della quale fa pienamente parte. L'attenzione di Torrance alla scienza non è dunque motivata soltanto dal crescente rilievo sociale e culturale di cui essa godeva già dall'inizio del secolo: il teologo interroga la scienza per motivi ontologici ed epistemologici, come occasione per apprendere una modalità di stare di fronte alle cose che coinvolge direttamente l'essere umano. Questo è vero almeno secondo due punti di vista: dapprima ontologico, poiché quando indaga la natura l'uomo indaga se stesso, essendo anche egli costituito di natura; in secondo luogo ci sono ragioni epistemologiche, poiché se il sapere scientifico riesce con grande successo a rappresentare correttamente molti comportamenti della natura, abbiamo la prova che è nelle facoltà dell'uomo comprendere il mondo.

Questa duplice constatazione ne svela una ancora più profonda dal punto di vista speculativo. L'uomo di scienza cerca di “conoscere” comportamenti “universali” partendo da esperimenti e fatti empirici determinati nel tempo e nello spazio. In qualche modo la scienza vive nella tensione speculativa tra rappresentazioni che devono valere universalmente e determinazioni empiriche che valgono localmente (nello spazio e nel tempo). È poi la filosofia della scienza che propone soluzioni di vario genere: tra queste il fenomenismo empirista e il razionalismo formalista, soluzioni entrambe che non soddisfano Torrance poiché incapaci di dar conto del “semplicefatto che la realtà non si dà mai divisa tra forma ed essere, tra struttura e sostanza. Questa scissione non convince Torrance, semplicemente perché l'uomo, sia che faccia scienza sia che non la faccia, non è mai o solo riflessione o solo esperienza. Nessun pensiero che divida queste due polarità può offrire un servizio davvero utile all'uomo, sia credente che non credente.

Come si sia potuta creare nella scienza uno scisma tra lo studio del fenomeno e il suo fondamento ontologico e gnoseologico spinge il teologo a guardare alla storia come luogo dove sono stati affrontati i nodi critici della scienza e proposte soluzioni a volte soddisfacenti, a volte incomplete. Torrance non si accontenta della storia della scienza come una mera rassegna di opinioni: entra in contatto con i suoi protagonisti, cercando di coglierne le buone intenzioni e collocandoli nel contesto storico originario, cercando di non etichettare nulla basandosi sulle proprie convinzioni (o convenienze) teoretiche ma lasciando che la storia possa parlargli liberamente. Un esempio tra i tanti è l'attenzione che Torrance ripone proprio verso il dualismo fenomenalista di eredità galileiana e cartesiana: qui vede il motivo per cui l'impostazione classica della meccanica debba essere superata. Tale impostazione fu in qualche modo consolidata da Newton, il grande padre della fisica moderna. Se Newton ebbe l'immenso merito di superare la visione statica della natura soppiantandola con una visione dinamica, arrivando ad inventare i metodi formali del calcolo infinitesimale (sebbene non impiegato nei suoi Principia), finì poi per cristallizzare spazio e tempo in contenitori vuoti e assoluti. Mentre Galileo con il principio di relatività aveva relativizzato almeno il concetto di spazio, Newton ne fa “libere invenzioni dell'intelletto” dal “carattere fittizio” e funzionale: se infatti spazio e tempo riuscivano a dar conto dei fenomeni esperiti dalla nostra sensibilità, solo astraendo da questa stessa sensibilità potevano dare il contenuto esatto delle leggi universali del mondo (cfr., Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992, su questo stesso portale si può consultare  la recensione di G. Tanzella Nitti, e alcuni estratti,). Le hypotheses non fingo di Newton divengono quindi vere e proprie ipotesi nell'assolutezza dello spazio e del tempo, che per qualche lascivia epistemologica i suoi epigoni finiscono per ipostatizzare.

Il vizio era comunque già nel fisico inglese, che giungeva ad usare le categorie di spazio e tempo per costruire il legame della natura con Dio: Dio diventa l'elemento non deterministico nel mondo, capace di sostenere e fondare l'ordine del cosmo. In realtà c'è del bene e c'è del male in questa visione e Torrance non lo nasconde: del bene, poiché evita il determinismo totalizzante richiamando l'idea di un Creatore che ordina; del male, perché sembra che Dio serva a “coprire” le deficienze nella catena di cause meccaniche (il famoso God of the gaps). «Quest'ambiguità era destinata ad avere conseguenze importanti nella storia del pensiero europeo. Essa dette l'impressione che la relazione del mondo con Dio e di Dio con il mondo vada pensata in relazione ai vuoti che si aprono nella conoscenza scientifica dell'universo» (op. cit., 103). In effetti Laplace estremizzò il fenomenismo di Newton costruendo una fisica matematica per rendere atea la scienza, credendo di potere ordinare totalmente gli eventi di natura con la meccanica analitica. Una storia della scienza più attenta a fenomeni particolari avrebbe reso più complessa questa ricostruzione di Torrance: per contrastare l'ateizzazione della scienza, infatti, nel 1816 fu istituita dal Cardinal Consalvi  all'Università Sapienza di Roma una cattedra di “fisica sacra”, affidata al P. Scarpellini e tenuta attiva fino al 1840, per sostenere lo studio sperimentale della natura in una impostazione rispettosa della fede religiosa. L'esito concordista e probabilmente la mancanza di coesione nella risposta cristiana all'ideologizzazione della scienza in quel momento non consentì di creare una vera e propria alternativa all'impeto ateizzante d'Oltralpe, ma questo non esclude che una attenta analisi storica potrebbe offrire nuovi suggerimenti e nuove idee. Anche tornando al Seicento, è analogamente emblematico notare le controversie nelle quali dovettero trovarsi i primi luterani e Lutero stesso nel formulare un giudizio sulle novità che la scienza stava elaborando, in primis sul copernicanesimo (cfr., R.S. Westman, The Copernican Question, Berkeley 2011).

Torrance è però più interessato ai grandi nomi della storia della scienza e per questo si rivolge in diverse occasioni a Maxwell, ricordando le ponderose novità impresse alla scienza con il suo concetto di campo, novità maturate poi da Einstein nella seconda rivoluzione scientifica. La storia della scienza svela necessariamente come i nodi critici di una teoria vengano messi continuamente al vaglio della prova, come ogni debolezza congetturale e strutturale prima o poi emerga. Così lo spazio e il tempo tornano ad essere relativi aprendo a nuovi fronti di esame critico. La storia della scienza diviene il tribunale delle falle logiche e epistemologiche delle teorie e Torrance accetta la sfida di comprendere il “quando” e il “come” questo avvenga: non propone un ideale di scienza in dialogo con la teologia disincarnato dalla storia e puramente astratto, bensì segue la fatica di chi ha costruito la scienza cogliendo la complessità delle domande che altri prima di lui si sono posti.

Tutto questo, e molto altro, deve interpellare con grande schiettezza intellettuale anche la teologia. Come può un Dio creatore rapportarsi al creato? Quale il ruolo delle leggi di natura in questo rapporto? Proprio qui la teologia cristiana ha una proposta dirompente: è l'Incarnazione l'evento teologico che riesce a rispondere all'apparente contraddizione tra universalità e singolarità, tra eternità e storia. Dio entra nel tempo, mostrando come nulla possa o debba essere scisso tra il suo essere e il suo apparire: mentre indaga la realtà, la ragione può trovare nell'Incarnazione una risposta e uno stimolo per continuare a stupirsi di quanto la realtà sia intellegibile. Questo passaggio dall'epistemologia alla teologia è consentito, secondo Torrance, dalla scienza stessa qualora ha scoperto con Gödel i suoi limiti costitutivi: non in senso “limitativo”o “limitante”, ma per prendere coscienza dei propri fondamenti e lì dentro crescere ancora di più.

Diviene così necessaria la dimensione interdisciplinare del sapere. La risposta che l'Incarnazione dà al mistero del rapporto tra il tempo (che si fa storia) e l'eternità (che vale oltre la storia) è l'evidenza che non c'è polarità tra questi due aspetti ma solo un processo di mutua comprensione e reciproco adeguamento. Certamente gli schemi mentali con cui si valutano i fatti e gli eventi possono variare, poiché il modo di conoscere dell'uomo è esso stesso frutto di un percorso di maturazione e di un apprendistato che avviene nella storia della cultura. Questa mutabilità dei concetti che stanno al di sotto delle teorie non è una sconfitta per la ragione, ma è il suo frutto più maturo: è indice della sua natura perfettibile e segnale insopprimibile della sua vitalità. Se così non fosse, la ragione non avrebbe bisogno di null'altro che di se stessa, ma allora non ci sarebbe bisogno di una scienza empirica, né tanto meno di studi teologici perché tutto potrebbe essere compreso indagando la ragione in sé.

Qui la grande lezione di Torrance: che la storia della salvezza è dinamica, come sono dinamiche le categorie per comprenderla, allo stesso modo in cui è dinamica la conoscenza scientifica messa in moto dall'unione sorprendente tra la realtà e la ragione. Come l'Incarnazione fa coesistere Dio e storia, così l'avventura della conoscenza fa coesistere ragione umana e realtà. Come Dio si dona al mondo, così Egli dona all'uomo un mondo intellegibile che la ragione può accogliere e comprendere.

Con estrema libertà di giudizio Torrance trae esempio dal modo in cui la Chiesa cattolica propone dinamicamente la sua tradizione: muovendo dalla dottrina dell'intelletto attivo e passivo, la Chiesa medievale già coglieva la possibilità di attraversare la storia interpretandola e rielaborando i contenuti della Rivelazione perché siano adeguati per ogni tempo (cfr., Science theologique, Press Universitaires de France, Paris 1969, pp. 98-99). La Riforma ha poi insistito sulla Parola e sulla sua capacità dirompente di “fare” la storia: le due cose non sono per nulla in opposizione, sebbene il contesto ideologizzato le abbia volute così porre. Le due cose sono perfettamente in sintonia: la prima sottolinea il ruolo della ragione che comprende e interpreta, la seconda sottolinea il dono della Rivelazione come risposta ulteriore.

Queste e molte altre ancora le sollecitazioni date da Torrance al pensiero cristiano: lontanissimo dalla polemica tra protestanti e cattolici tanto da ricevere nel 1978 il prestigioso Templeton Foundation Prize for Progress in Religion; ancor più lontano dal timore per le scienze, a cento anni dalla sua nascita molte cose sono cambiate anche grazie al suo lavoro. Per non disperdere questa eredità resta da perseguire questo ideale di colloquio profondo della teologia con la scienza e della scienza con la teologia, trovando in essa occasione per conoscere più a fondo la bellezza dell'uomo e del creato ma soprattutto la strada dove uomo e Dio possono incontrarsi. Poche parole basterebbero per un breve fotogramma di questo teologo tanto attento alla scienza e alla sua storia:

 

Il mondo è intellegibile – ammette la scienza.

Perché il mondo è intellegibile? chiede la filosofia.

Perché è donato – risponde la teologia.