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Gesù di Nazaret osservava il cielo stellato?

Novembre 2009
Giuseppe Tanzella-Nitti
ordinario di Teologia fondamentale - Pontificia Università della Santa Croce

Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome
Sal 147,4

Si sta ormai per concludere l’Anno Internazionale dell’Astronomia. Le manifestazioni e le numerose iniziative che si sono avvicendate in questi mesi ci hanno aiutato a dirigere nuovamente i nostri sguardi verso il cielo. I promotori possono esserne senza dubbio soddisfatti. Fra di essi, la comunità scientifica italiana, che occupa, come è noto, un posto di rilievo, avendo proposto all’Organizzazione delle Nazioni Unite già nel 2005, prima fra gli altri, la proclamazione di questo Anno Internazionale, associandolo intelligentemente ad un anniversario galileiano (400 anni dalle prime osservazioni al telescopio, 1609). I planetari e le sedi dei nostri Osservatori Astronomici sono tornati ad affollarsi per le numerose conferenze tenute in questi mesi, testimoni dello stupore di grandi e piccoli di fronte alle straordinarie immagini di oggetti astronomici che ci giungono continuamente dallo spazio o dai telescopi di nuova tecnologia avanzata dislocati sulle montagne più impervie, siti di dialogo misterioso con l’infinito che cerchiamo di difendere in tutti i modi (speriamo con qualche successo in più a partire dal 2009) dall’inquinamento luminoso e dalle altre fonti di disturbo. Nelle manifestazioni dell’Anno dell’Astronomia, è bene sottolinearlo, un’attenzione speciale è stata rivolta ai giovani, il cui interesse per questa disciplina si voleva tornare a suscitare. Scelta intelligente, perché quando in un giovane si accende la passione per la ricerca scientifica, questa scintilla si trasforma spesso in un fuoco capace di sostenere un impegno ideale, più forte delle politiche universitarie, dei dibattiti sulla fuga dei cervelli o delle lamentele sullo stato in cui versa la nostra ricerca.

Di fronte a questa riscoperta di interesse e di stupore verso il cielo stellato, coloro che si occupano dei rapporti fra pensiero scientifico e fede cristiana — come i visitatori e i coordinatori di questo Portale di Documentazione Interdisciplinare — si sono forse posti una domanda. Una domanda impegnativa, che forse per pudore spirituale (o scientifico) difficilmente si solleva: ma Gesù di Nazaret, osservava le stelle in cielo?

I Vangeli non sembrano, a prima vista, dirci nulla al riguardo. Una lacuna che potrebbe trasformarsi perfino in una malinconica delusione. È possibile che il Figlio di Dio fatto uomo — perché questo è ciò che i cristiani confessano di Gesù — non abbia mostrato alcun interesse per quel cielo che Lui ha creato? Non sono Orione, le Pleiadi e le Orse, tutte creature delle sue mani, come insegnavano agli ebrei devoti i Salmi e i Profeti del Primo Testamento, ed hanno poi ripetuto più volte i Padri della Chiesa? Potrebbe il rifiuto dell’idolatria ed il rischio, sempre presente, di vedere nel cielo la sede di dèi diversi dal loro unico Creatore, aver scoraggiato a tal punto i redattori della storia terrena di Gesù da evitarne qualsiasi riferimento? Lo scettico potrebbe qui perfino trovare un motivo per non credere all’origine divina dell’umile carpentiere di Nazaret: se costui fosse stato davvero il creatore e il signore del cielo e della terra, avrebbe assai probabilmente dedicato qualche riferimento in più all’universo di cui i suoi discepoli lo hanno proclamato Alfa e Omega, Principio e Fine. Ciò che poteva essere inizialmente una semplice domanda, frutto di curiosità, acquista ora maggiore serietà e merita qualche riflessione. È quello che, con tutti i limiti del caso, cercheremo brevemente di proporre, chiedendo in anticipo scusa al lettore se queste considerazioni saranno un po’ più estese di quanto abitualmente offerto in un editoriale mensile.

Vale la pena subito ricordare che i riferimenti al cielo stellato presenti nel Primo Testamento non riguardano solo l’esortazione a guardarsi dall’idolatria verso i corpi celesti (tale da meritare perfino la lapidazione, secondo Dt 17,2-5), ma testimoniano in modo altrettanto chiaro ed esplicito la lode a Dio che gli astri e il cielo proclamano, una lode che diventa preghiera al loro Creatore (cfr. Sir 43, 1-12; Is 40,26; 45,12 e 48,13; Gb 9,7-9; 38,31-32). «Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito — afferma il profeta Baruc —; egli le ha chiamate e hanno riposto “Eccoci!”, ed hanno brillato di gioia per colui che le ha create» (Bar 3,34). «I cieli narrano la gloria di Dio — ricorda il salmista —, l’opera delle sue mani annunzia il firmamento» (Sal 19,2). Siamo qui in controtendenza rispetto ai popoli limitrofi o con cui Israele aveva avuto rapporti storici, per i quali l’osservazione del cielo portava invece a moltiplicare gli dèi. L’episodio riferito dal Vangelo di Matteo, nel quale dei Magi provenienti dall’Oriente, studiosi del cielo, giungono a Betlemme guidati da una stella (cfr. Mt 2,1-12), è abbastanza esplicito al riguardo: al di là delle interpretazioni realistiche od allegoriche che si vogliano dare a questo astro, l’osservazione del cielo può finalmente condurre a riconoscere la nascita del suo Creatore. Come ricordava Giovanni Crisostomo, è proprio qui che finisce l’astrologia; e comincia, noi aggiungiamo, l’astronomia. Gli astri non sono più visti come soggetti di influsso sulle vite dei terrestri, né come demoni capricciosi che condizionano i destini degli uomini (tradizione ellenica, sinergica al politeismo), ma possono al più riflettere, cioè echeggiare, le sorti di una storia libera che si svolge sulla terra (una sorta di rilettura della tradizione babilonese in chiave cristiana). Assodato dunque che il pio israelita, può — e in parte deve — alzare gli occhi verso il cielo, resta la domanda iniziale: Gesù lo avrà fatto almeno qualche volta?

Di Gesù di Nazaret sappiamo che aveva un fisico sano ed amava l’aria aperta. In particolare, sappiamo da più fonti che restava spesso a pregare all’aperto durante la notte (cfr. Mt 14,22-23; Lc 6,12; Lc 21,37), specie in occasione di decisioni importanti, come la scelta, fra i suoi discepoli, di dodici apostoli. Nicodemo, uno di capi dei giudei che ascoltava volentieri Gesù, sceglie le ore notturne per andare a conversare con lui (cfr. Gv 3,1-15), probabilmente non soltanto per timore degli altri farisei, ma anche perché sapeva che per Gesù, parlare a tu per tu con qualcuno durante quelle ore, non era una cosa inconsueta. Ci viene anche detto che la sua attività pubblica, fatta soprattutto di predicazione e di guarigioni, si protraeva anche oltre il tramonto (cfr. Mc 1,32). In una circostanza, durante la sua vita pubblica, Gesù aveva invitato i suoi interlocutori a giudicare gli eventi della salvezza almeno con la stessa perizia con cui sapevano giudicare l’apparenza del cielo in ordine alla previsione del clima meteorologico (cfr. Mt 16, 2-4; Lc 12,55-56), cosa che assai probabilmente Gesù stesso era abituato a fare, dovendosi spostare assai frequentemente a piedi per lunghe distanze. Il semplice gesto di “alzare lo sguardo verso il cielo” è menzionato esplicitamente dai redattori dei Vangeli in occasione di miracoli o di preghiere rivolte da Gesù al Padre (cfr. Mt 14,19, Mc 6,41; Mc 7,40; Lc 9,16; Gv 17,1). Infine, gli eventi più drammatici della vita di Gesù di Nazaret, l’inizio della sua passione e la sua cattura, con tutto ciò che seguirà, copriranno di fatto le ore di una intera notte, una notte fatta di preghiera all’aperto, di numerosi spostamenti a piedi fra vari luoghi di Gerusalemme, fino al sorgere del sole, quando comincerà il giudizio romano nella sede del Pretorio.

Tenendo presente queste considerazioni è assai plausibile che Gesù di Nazaret abbia osservato più volte, e probabilmente anche per ore, il cielo stellato. Si tratta di una conclusione raggiungibile su un piano empirico, diremmo intuitivo, in base ai dati in nostro possesso, e impiegando un po’ di buon senso. Chi condivide la fede in lui come Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, raggiunge la stessa conclusione per via più semplice, ricordando la narrazione della creazione raccolta dal libro della Genesi: Dio, autore del cielo stellato e dei suoi due luminari, contempla tutto ciò come “cosa buona”, e sceglie addirittura un giorno intero per fermarsi ad ammirare tutto il creato, ormai arricchito anche della presenza degli esseri umani, come “cosa molto buona”. Come non pensare che Gesù, proclamatosi una sola cosa con il Padre e in tutto uguale a lui (cfr. Gv 10,30), abbia anche lui espresso tale ammirazione nella e attraverso la sua umanità? Non è forse in Gesù di Nazaret, Verbo fatto carne, che i cristiani credono realizzarsi e giungere a compimento la personificazione di quella Sapienza che, come esperto architetto, presiedeva l’opera della creazione, assistendo l’Altissimo, godendo di tutto ciò che veniva realizzato al punto a volerne fare oggetto delle sue delizie con i figli degli uomini (cfr. Prv 8,22-31)? L’umanità del Verbo aveva adesso la possibilità di realizzare tutto questo con il semplice gesto di alzare gli occhi verso il cielo, un cielo ricco di costellazioni e solcato dalla Via Lattea, con un seeing — come direbbero gli astronomi — certamente assai migliore di quello al quale siamo oggi abituati quando cerchiamo qualche stella nel cielo della periferia delle nostre città.

La costellazione di Orione domina il cielo invernale.
È visibile, in Israele, ad una altezza
di 60° sull’orizzonte, in culminazione.

Ma quale sarebbe stata l’apparenza della volta celeste ai tempi di Gesù e nei luoghi del suo ministero? Va subito notato che a causa della sua latitudine geografica più bassa (31.5°N di Gerusalemme in luogo dei 42°N di Roma), il cielo di Israele offriva ed offre alcune particolarità diverse da quanto riservato ad un osservatore che guarda il cielo alle latitudini italiane. Nelle notti di primavera, ad esempio, Arturo apparirebbe praticamente allo Zenit, e nelle notti invernali la costellazione di Orione almeno una decina di gradi più alta al passaggio in meridiano. La luminosità apparente di Sirio, poco a sud-est di Orione, sarebbe più intensa di quella per noi abituale, a motivo del minore assorbimento dell’atmosfera dovuto alla sua maggiore altezza, sempre di almeno 10 gradi, sull’orizzonte. I Gemelli passerebbero anch’essi, in inverno, assai vicini allo Zenit, mentre il gruppo aperto delle Pleiadi, nel Toro, vi disterebbe solo una quindicina di gradi. L’Orsa Maggiore sarebbe assai prossima all’orizzonte nel cielo estivo ma ben alta in quello invernale. I contemporanei software professionali di simulazione astronomica della sfera celeste, dei quali ci serviamo per offrire le considerazioni che seguono, ci consentono di ricostruire l'apparenza del cielo indietro nel tempo e la posizione relativa dei pianeti. A causa della precessione degli equinozi, la stella polare, estremo del carro dell'Orsa Minore, sarebbe un po' più distante dal vero polo Nord celeste rispetto a quanto siamo abituati a registrare oggi, dopo circa duemila anni, e le altre costellazioni risulterebbero anch'esse un po' spostate. Come effetto, non solo la grande croce del Cigno culminerebbe in estate più in alto, ma il cielo di Israele di 2000 anni fa, a differenza del nostro, riserva la possibilità di vedere un'altra bella costellazione con questa medesima forma. È la Croce del Sud (3 stelle su 4 sono di 1a magnitudine), la cui latitudine celeste risulterebbe in quell'epoca compresa fra -46° e -52°S, consentendole di essere osservata, in buone condizioni di trasparenza all'orizzonte, anche se per pochissime ore, in direzione sud, alta al massimo una quindicina di gradi, tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera.

La costellazione della Croce del Sud.
A motivo della precessione degli equinozi,
nella stagione inverno-primavera
era visibile nel cielo di Gerusalemme di 2000 anni fa, bassa sull’orizzonte.

La visibilità dei pianeti ad occhio nudo avrebbe forse incluso, nella terra e all’epoca di Gesù di Nazaret, anche Urano, la cui magnitudine di 5a grandezza avrebbe superato, anche se di poco, in un cielo buio e pulito, la soglia della 6a magnitudine, la più debole accessibile all’apertura di ingresso delle nostre pupille e alla sensibilità della nostra retina. Oltre alla presenza abituale di Venere, visibile, alternativamente e in rapido spostamento, al tramonto e all’alba, negli anni 27-30 dell’era cristiana, che coincidono grosso modo, per la maggior parte degli esegeti, con l’intervallo della vita pubblica di Gesù, tutti i maggiori pianeti erano visibili in opportune stagioni dell’anno. Possiamo così ritrovare che il rosso Marte, dalla primavera dell’anno 27 fino alla primavera del 30, si spostava su tutta la volta celeste, passando in un triennio dalle costellazioni di Capricorno-Acquario fino a quella di Ofiuco. Visibile solo ad una sufficiente distanza apparente dal sole, lo si sarebbe potuto osservare nell’autunno dell’anno 27 poco prima dell’alba, nella costellazione della Vergine; nella primavera-estate del 28, progressivamente e fino a poco dopo il tramonto del sole, in Ofiuco; e ancora, fra l’autunno dell’anno 29 e la primavera del 30, risultava visibile nelle ultime ore della notte, fino a poco prima dell’alba, nella zona di cielo compresa fra le costellazioni della Vergine e del Capricorno. Saturno, bianco e brillante, con un lentissimo moto apparente, sarebbe stato ben visibile prima nel Toro (durante gli anni 27-29) per transitare poi nei Gemelli (30), una quindicina di gradi a nord di Orione, e dunque soltanto nel medio cielo notturno invernale o appena dopo il tramonto nel cielo primaverile. La posizione apparente di Giove, invece, lo avrebbe visto muoversi, anch’esso lentamente, in ascensione fra il Sagittario (nell’anno 27), verso il Capricorno (28), quindi nell’Acquario (29), ed infine nei Pesci (30), tutte costellazioni del cielo notturno estivo.

La testimonianza dei Vangeli sulle notti trascorse da Gesù di Nazaret all’aria aperta è un dato sobrio ma certamente sufficiente per concludere che, in queste occasioni, la volta celeste abbia accompagnato la sua preghiera, che avrà conosciuto non soltanto l’umile posizione prona, frequente in Israele per l’orazione di richiesta, ma anche la posizione eretta, con le mani aperte e lo sguardo verso l’alto, con buona probabilità quella abituale nel misterioso dialogo fra il Figlio e il Padre del cielo.

Il cielo invernale, che offre costellazioni più belle e suggestive, come Orione, i Gemelli e il Toro, oltre alla stella più luminosa del cielo, Sirio, per la maggiore difficoltà a trascorrervi le ore notturne all’aperto sarà stato purtroppo il meno osservato, ma sarà stato ugualmente raggiungibile, come di consueto, nelle ore più tarde di qualche nottata poco rigida del primo autunno oppure subito dopo il tramonto del sole, al primo buio delle serate primaverili. Dalla primavera fino all’autunno lo sguardo di Gesù verso il cielo si sarà certamente posato sulla costellazione dell’Orsa Maggiore, ben visibile già a partire dal primo cielo primaverile. Nel medesimo cielo primaverile la sua attenzione si sarebbe soffermata anche sulla rossa Arturo, nella costellazione di Bootes, e sulla bianca Regolo, nel Leone. Durante le tarde serate d’estate, l’orazione o le conversazioni notturne di Gesù con i suoi discepoli — ai quali, perché no, egli avrà di tanto in tanto suggerito di alzare lo sguardo verso il cielo, mentre dialogavano seduti sull’erba o sui sassi rocciosi — si saranno svolte sotto una volta celeste dominata dal Cigno, dalla Lira e dall’Aquila, con Giove che sorgeva e si alzava con il progredire delle ore, insieme al Capricorno e all’Acquario. Nel cielo autunnale lo sguardo si sarà posato facilmente sulla W di Cassiopeia, e poi su Pegaso e sui Pesci, con Andromeda quasi allo Zenit. Nelle ore notturne inoltrate di una notte autunnale, ad est sarebbe poi sorto il Toro con le Pleiadi facilmente riconoscibili, che attendendo qualche ora, se la temperatura esterna lo avrebbe permesso, si sarebbero viste salire sempre più in alto, guidate da Alcione, fino a culminare ad una quindicina di gradi dallo Zenit. È davvero suggestivo immaginare la straordinaria apparenza della volta celeste in una situazione come quella della Palestina o della Galilea di duemila anni fa, senza luci elettriche ed inquinamento, con la Via Lattea snodarsi da nord-est a sud-ovest in estate, da est a ovest in autunno, e da nord-ovest a sud-est in inverno, restando meno visibile, perché più vicina all’orizzonte, soltanto nelle serate primaverili.

Da un’analisi delle narrazioni dei Vangeli è possibile datare con buona precisione stagionale almeno tre notti trascorse da Gesù di Nazaret all’aperto: la sera-notte trascorsa in preghiera su un rilievo montuoso, subito prima dell’elezione dei dodici apostoli avvenuta il mattino seguente (cfr. Lc 6,12-16); la traversata notturna sul lago di Genezaret, avvenuta dopo una moltiplicazione dei pani ed associata alla narrazione di un miracoloso percorso di Gesù sulle acque (Mt 14,22-32; par. Mc 6,45-52); e, infine, la notte dell’ultima cena con la successiva preghiera e cattura nell’orto del Getsèmani e gli eventi che ne seguirono, diffusamente descritti da tutti i quattro Vangeli.

L’elezione dei dodici apostoli, riportata dai tre Vangeli sinottici, consente una datazione in base al fatto che sia il Vangelo di Luca e, prima di lui, quello di Marco, ci parlano di un episodio avvenuto poco prima, in cui i discepoli avevano strappato delle spighe ricolme di chicchi di grano in giorno di sabato (cfr. Mc 2,23; Lc 6,1; Mt 12,1-8 inserisce l’episodio in un contesto di discorsi polemici con i farisei). L’episodio va dunque localizzato prima della mietitura, e dopo la crescita degli steli, pertanto verso la tarda primavera. Il cielo osservabile da Gesù in una notte di questa epoca dell’anno comprendeva non solo le costellazioni primaverili ma, nella circostanza che qui ci occupa, anche quelle estive e tardo-estive, a motivo del protrarsi dell’orazione durante l’intera notte, fino all’alba. Collocando l’episodio all’inizio della vista pubblica (e dunque nella primavera dell’anno 27 o al massimo del 28) perché finalizzato alla scelta di coloro che lo avrebbero poi accompagnato più da vicino durante tutta la vita pubblica, durante questa notte all’aperto il cielo notturno sarebbe apparso dominato inizialmente dallo splendore di Arturo, Vega e Antares. Gesù avrebbe visto ascendere gradatamente anche Deneb, mentre l’Orsa Maggiore si abbassava progressivamente, lasciando in alto il Cigno, Ercole, il Drago e il grande quadrilatero di Pegaso. Giove, sorto dall’orizzonte sud-est vero le 22, sarebbe rimasto visibile fino alle 4 circa del mattino, cedendo il posto al sole, sorto, a seconda del giorno in cui ci si collochi, fra le 4,30 e le 5. Invisibili Saturno e Venere, entrambi nel Toro, e dunque forse percettibili con qualche difficoltà al termine del crepuscolo serale. Se questa notte, considerandola sempre nella tarda primavera, si fosse svolta invece nell’anno 28, sarebbe stata accompagnata dalla suggestiva presenza di Marte, addirittura in congiunzione con Antares, un evento che avrebbe visto due astri rossi di prima grandezza a distanza di circa 2 gradi.

Tramonto sul lago di Genezaret, Galilea

I Vangeli di Marco e di Matteo riportano l’episodio di una moltiplicazione dei pani, avvenuta sulle rive del lago di Tiberiade e compiuta da Gesù verso il pomeriggio (“sul far della sera”, secondo Matteo; “fattosi ormai tardi”, secondo Marco), seguita da un congedo della folla e da probabili guarigioni (cfr. Mt 14,15-21; Mc 6,35-44). Gesù si trattiene per alcune ore con la folla, lasciando che i discepoli si spostino in barca sul lago per raggiungere un’altra sponda. Poiché l’episodio segue una visita a Nazaret, è assai probabile che la traversata in oggetto, che sappiamo dagli stessi evangelisti avere avuto come approdo Genezaret sull’estremo nord del lago, sia avvenuta partendo da Magdala o da Tiberiade, cittadine della riva ovest, nelle quali si confluiva provenendo da quella parte della Galilea, e si sia realizzata praticamente in direzione sud-nord, per pochi km in linea d’aria. La possibilità di riconoscere un parallelo di questa moltiplicazione dei pani in un analogo episodio riportato dal Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 6,1-13), che non narra tuttavia la successiva traversata del lago, e l’esplicita menzione della prossimità della festa di Pasqua da parte di questo evangelista, colloca facilmente questa notte all’inizio della primavera, in particolare durante l’anno 29, ultimo anno della vita pubblica di Gesù, al trattarsi dell’ultima festa di Pasqua prima di quella della sua morte e resurrezione, come si evince dal prosieguo del contesto giovanneo. Sia Matteo che Marco lasciano intendere che Gesù raggiunge i discepoli a notte già inoltrata (“verso la fine della notte” per Matteo, e “verso l’ultima parte della notte” per Marco), mentre questi attraversano il lago ed egli vi cammina sulla superficie. La volta celeste sarà stata quella abituale del cielo di inizio primavera in tarda ora, con la particolarità che adesso Gesù, per raggiungere durante la notte la barca dei discepoli, si muove da sud verso nord. Ci sia consentito di descrivere la scena in modo che segua da vicino la narrazione trasmessa dai Vangeli. Verso le ultime ore della notte, quelle in cui avviene l’incontro, la volta celeste è interamente attraversata dalla Via Lattea. Gesù aveva di fronte solo l’Orsa Minore, fra 25° e 30° di altezza, con Vega sul capo, Arturo a sinistra e Deneb in alto, un po’ a destra. Pietro, che secondo la narrazione è chiamato da Gesù ad andargli incontro sull’acqua (con esiti ben noti), guardava invece in direzione sud. Egli ha di fronte la parte della Via Lattea che si immerge nell’orizzonte sud nello Scorpione, con Antares ben visibile, qualche ora prima del suo tramonto. Alzando solo un po’ lo sguardo, forse verso Gesù che lo afferra dalle acque, avrebbe potuto vedere proprio di fronte a sé Altair, e più in basso, quasi sull’acqua, Giove che sorgeva lentamente a sud-est, sebbene, in quel momento, è più ragionevole ritenere che la sua attenzione sia stata focalizzata su necessità assai più vitali. In compenso, una volta approdati tutti a Genezaret, prima dell’alba tutti avrebbero potuto ammirare Giove già alzarsi nella costellazione dei Pesci, per perdersi poi nelle luci del crepuscolo del nuovo giorno.

Salita al Monte degli ulivi,  
in direzione da ovest verso est

Per quanto riguarda la terza ed ultima notte, le ricostruzioni più attendibili collocano l’arresto di Gesù di Nazaret durante la notte fra il giovedì 13 e il venerdi 14 del mese ebraico di Nisan dell’anno 30 dell’era cristiana, corrispondente fra il 6 e il 7 del nostro mese di aprile. La preghiera nel giardino di Getsèmani, chiamato comunemente orto degli ulivi, comincia a sera inoltrata, ad un’ora che possiamo collocare attorno alle 21 o alle 22. «Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te”» (Gv 17,1). Questo versetto dell’evangelista Giovanni parla di un’orazione rivolta al cielo, anche se sappiamo che in quelle stesse ore Gesù pregherà anche, e a lungo, prostrato per terra (cfr. Mt 23,69; Mc 14,35). La luna, piena, era sorta poco prima delle ore 18 di tempo locale, ed alle ore 22 aveva un’altezza di circa 45°: in quella notte avrebbe dominato tutto il cielo, per tramontare al mattino, poco dopo le ore 5. Se, come fa intuire l’evangelista Giovanni, in quella drammatica notte di preghiera prima del suo arresto, Gesù alzò di fatto gli occhi verso il cielo, egli avrebbe visto in primo luogo la stella Arturo, che avrebbe raggiunto lo Zenit alle 23.30 di quella notte, sufficientemente luminosa da attrarre subito l’attenzione, nonostante la luna piena, che distava angolarmente da essa circa 35°. Lo sguardo avrebbe probabilmente notato poi Spica, anch’essa di prima grandezza, a meno di 30° dalla luna ma ugualmente ben osservabile.

Vista del Tempio di Gerusalemme; dal Monte degli ulivi, in direzione ovest

Se dal monte degli ulivi Gesù avesse diretto lo sguardo verso il Tempio di Gerusalemme a ovest, alla stessa altezza (circa 700 metri) ma dall’altra parte della torrente Cedron, il cielo sarebbe stato un po’ più scuro a motivo della maggiore distanza della luna, con Regolo ben visibile nel Leone, più bassi Castore e Polluce nei Gemelli e Procione, nel Cane Minore, questi ultimi ormai al tramonto. Guardando invece verso oriente, in direzione di Betfage e di Betania, avrebbe visto la luna alzarsi progressivamente a sud-est in una zona di cielo senza pianeti e senza stelle molto luminose, dominata dalla costellazione di Ofiuco, però con Antares nello Scorpione, ancora molto bassa, sorta dall’orizzonte poco più di un’ora prima. Guardando in direzione nord, verso la Galilea, più lontano angolarmente dal chiarore della luna, il cielo relativamente più buio consentiva la visione delle due Orse, la Maggiore più in alto e la Minore più prossima all’orizzonte nord. Dirigendo infine lo sguardo in direzione sud, verso Betlemme, fra le 21 e le 22, bassa su un orizzonte non coperto da alberi, Gesù di Nazaret, prono o in ginocchio, avrebbe potuto vedere davanti a sé la Croce del Sud, in posizione verticale. Se questo incrocio di sguardi sia avvenuto in realtà, noi non lo sappiamo: tuttavia, se le condizioni meteorologiche di cielo terso lo consentivano, con l’orizzonte sud sgombro, guardare per Gesù questa croce, a quest’ora, era certamente possibile ed è anche possibile immaginare l’alto valore simbolico che essa avrebbe ricoperto per lui.

Al suo chiarore, la luna piena consentiva di vedere e di muoversi con relativa facilità. Alcune ore prima, recandosi dal cenacolo al Getsèmani, e dunque muovendosi da ovest verso est, Gesù la avrebbe avuto, luminosa, proprio di fronte a sé. Se questo spostamento si fosse verificato verso le ore 19 o 20 al massimo, la luna sarebbe stata ancora bassa sull’orizzonte, con una dimensione apparente più grande, allargata dagli effetti di rifrazione atmosferica, come capita di notare, nelle stesse condizioni, anche a ciascuno di noi. A notte ormai inoltrata, dopo la sua cattura, siamo al corrente di un nuovo spostamento di Gesù, dal Getsèmani alla casa di Anna e di Caifa, cioè da est verso ovest, al di là della valle del Cedron. Se in questo spostamento Gesù avesse alzato lo sguardo verso l’alto di fronte a sé, ad esempio ne tratti di pendio in salita, avrebbe incrociato con lo sguardo la costellazione del Leone, con Regolo. Sul suo capo la rossa Arturo allo Zenit e la luna già alta, oltre 50° sull’orizzonte. Alle sue spalle, stelle luminose che stavano gradatamente sorgendo, Vega nella Lira, Altair nell’Aquila e Deneb nel Cigno, tutte indebolite dalla luminosità della luna piena diffusa nel cielo.

Il breve spostamento successivo, dalla casa di Anna e Caifa al Palazzo di Erode, che possiamo collocare attorno alle prime ore del mattino, si snoda da sud a nord. In alto e alle spalle di Gesù è sorto il ramo della Via Lattea familiare nelle sere del cielo estivo; di fronte le due Orse, sempre con Arturo ancora alto. Non sappiamo se durante le vicende delle ore successive di quella notte, prima dell’alba e prima del nuovo spostamento al Pretorio del procuratore romano Pilato, il prigioniero Gesù abbia potuto o voluto alzare ancora gli occhi verso il cielo. È comunque suggestivo notare che, se ciò fosse accaduto, attorno alle 4 del mattino la volta celeste gli sarebbe apparsa proprio così, mentre, prigioniero, era ormai in procinto di cominciare la sua passione. La Via Lattea, chiamata in tante tradizioni popolari anche “Via delle anime”, avrebbe solcato in quel momento tutto il cielo da nord-est a sud-ovest, mentre in mezzo ad essa, sopra il suo capo, la grande Croce del Cigno poteva adesso splendere al centro del cielo, perché reso più buio dalla luna assai indebolita, prossima al tramonto; dalla parte opposta, nel cielo di oriente, sorgevano adesso due pianeti, prima Marte, nel Capricorno, e poi Venere, assai luminosa, nei Pesci. È questo il cielo che, fra le 4 e le 5 del mattino del venerdi 7 di aprile dell’anno 30 dell’era cristiana, si sarebbe di lì a poco sbiadito al sorgere del sole. Eppure, solo tre giorni più tardi, i cristiani consegneranno alla storia l’annuncio del sorgere di un altro Sole, che avrebbe talmente influito sul nostro modo di scandire il tempo da far sì che il giorno della settimana dedicato al vecchio sole fosse adesso ribattezzato Dominicus, giorno del Signore. L’esperienza dell’incontro con il Risorto lo proporrà ben presto come Sol invictus, capace di rimpiazzare il solstizio di inverno con la ricorrenza della sua nascita sul pianeta degli uomini.

Il cielo a Gerusalemme, guardando in direzione sud, alle ore 21:30
di giovedi 6 aprile dell'anno 30 dell'era cristiana.
Visibile la Croce del sud
a circa 15° di altezza sull’orizzonte.

 

 

© 2009 Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede

 * Per l’apparenza della volta celeste e la posizione relativa dei pianeti nei luoghi e nei tempi oggetto della presente ricostruzione abbiamo impiegato il programma Voyager 4.5 Dynamic Sky Simulator (release settembre 2009), distribuito dalla Carina Software, Danville, California.