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Sottile è il Signore… La questione copernicana come ricerca della bellezza

Ottobre 2009
Sandro Turrini
Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna

La famosa frase di Einstein Raffiniert ist der Herr Gott, aber boshaft ist Er nicht è difficile da rendere esattamente: “raffiniert” significa originariamente “raffinato”, ma in modo forse più preciso è “sottile”, mentre “boshaft” è anche “cattivo”, “maligno”, “dispettoso”. Essa esprime “la complessità e la sottigliezza, eppure la semplicità e l’affidabilità ultima dell’universo”.

Einstein la pronunziò quando nella primavera del 1921 gli fu riferito che alcuni nuovi esperimenti, risultati poi errati, avrebbero invalidato la Teoria della Relatività, per fondare la quale egli fu condotto soprattutto da considerazioni di carattere estetico, da criteri di semplicità. In seguito scrisse: “Neppure per un istante ho preso sul serio quei risultati”.

Ciò indica la sua fiducia nella bellezza della semplicità delle leggi della natura, se non proprio in quelle del Signore, citato forse inconsciamente!

Questa frase richiama però quella del Libro della Sapienza: «[Nella sapienza di Dio] c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile (Sap 7,22): cercatelo con cuore semplice (Sap 1,1)», dove “sottile” nel testo originale (greco) è “leptón”, che può essere tradotto come “lieve”.

Pure se suggestivo, il confronto tra le due citazioni non sembra però intenzionale. Verosimilmente l’israelita Einstein non dovrebbe avere avuto familiarità con un libro deuterocanonico come la Sapienza, e quindi non incluso nel canone biblico ebraico. Non si sa poi quale traduzione tedesca avrebbe potuto avere a disposizione. Il libro della Sapienza non è presente nella traduzione di Lutero, poiché, come detto, è un libro deuterocanonico; nella traduzione liturgica tedesca moderna cattolica il termine greco originale è tradotto con “zart” [delicato, leggero].

Ma in ogni caso la citazione einsteiniana, seppure solo a senso, illustra singolarmente, per noi moderni, l’aspetto che della frase biblica può essere applicato alla lettura teologica della natura e che sembra suggerire agli uomini di scienza che la semplicità nel profondo delle leggi della natura sia immagine della semplicità di Dio, tanto che la loro perfezione formale e la loro bellezza sembra quasi una prova della loro autenticità e ricercarne la bellezza può a volte costituire un indizio per giungere ad una comprensione più profonda.

Un esempio famoso fu l’equazione di Dirac, che nella Meccanica Quantistica relativistica governa l’evoluzione temporale delle particelle di spin 1/2 (i costituenti fondamentali della materia, se così si può dire, come protoni, neutroni ed elettroni), che fu proposta da Dirac in base a considerazioni sostanzialmente estetiche!

Si pensi anche alla semplicità del sistema copernicano rispetto a quello tolemaico, che pure ai tempi di Galileo dava risultati più precisi, perché Galileo, come Copernico, considerava ancora orbite circolari, le orbite “perfette” di Aristotele, e questo portava a piccoli errori nelle previsioni. Al contrario, il sistema tolemaico, con tutti i suoi artifizi, compiva una specie di “sviluppo in serie” che approssimava meglio i risultati. Fu Keplero a scoprire che le orbite dei pianeti sono ellissi, seppure molto simili a circonferenze. Proprio il non volere riconoscere che le orbite erano ellittiche, costò a Galileo la non comprensione della natura delle comete, che provocò la rottura con l’ambiente gesuita, che era già sostanzialmente copernicano.

I risultati tolemaici erano però confusi e frutto di una teoria astrusa che difficilmente avrebbe potuto ambire a ricevere il sigillo della verità. Le “prove” portate da Galileo erano incerte ed a volte anche sbagliate (le maree). In mancanza della dinamica, lo studio delle forze che agiscono nel sistema e dei loro effetti, l’unica vera “prova” era la bellezza di un’ipotesi che con pochi ed eleganti presupposti poteva rendere conto di dati sperimentali numerosi e strani. In verità sembra che per i contemporanei che vi aderirono il copernicanesimo fosse da preferire perché più simile alla teoria aristotelica dei “moti circolari perfetti”, pur se era stata sacrificata la centralità della Terra. Un bell’esempio di intuizione sbagliata di una legge giusta! Ma il “criterio estetico” aveva dato un buon indizio: meglio poche circonferenze, seppure con il sole al centro invece della terra, cosa che provocava grande imbarazzo, più che un altissimo numero di strane circonferenze…

Il copernicanesimo fu poi spiegato dalla legge di gravitazione universale di Newton, la prima grande semplificazione, che unì nella medesima legge la caduta dei gravi e la “danza” dei pianeti nelle loro orbite. Questa legge semplicissima della diminuzione secondo il quadrato della distanza è come “obbligata” dalla logica, per permettere alla forza di gravità di giungere ad essere ancora efficace alle distanze siderali (ed all’infinito matematicamente). Per la conservazione del flusso, la forza deve infatti diminuire secondo l’inverso dell’area di una sfera concentrica al corpo attirante, area che cresce come il quadrato del raggio. La legge dell’inverso del quadrato della distanza, che per i medesimi motivi governa anche la diminuzione dell’intensità luminosa, sembra che sia stata la linea guida di Newton, che, secondo la leggenda, osservando la caduta di una mela si rese conto che era la medesima forza di gravità che faceva cadere la mela e teneva avvinta la luna nella sua orbita attorno alla terra: non male come sintesi!

Non appena Newton ebbe dimostrato il suo magnifico teorema – e noi sappiamo dalle sue parole che non si aspettava un risultato così bello finché non emerse dalle sue indagini matematiche – tutta la meccanica  dell’universo gli si spalancò di colpo davanti. Quanto diverse dovettero sembrare quelle proposizioni agli occhi di Newton quando si rese conto che quei risultati, che aveva ritenuto solo approssimativamente corretti se applicati al sistema solare, erano in realtà esatti!

La ricerca successiva nel mondo della fisica sempre più ha cercato di unificare gli aspetti apparentemente differenti di quanto si presenta in natura, ed ha spiegato via via con sempre meno leggi un’enorme quantità di fenomeni. La grande unificazione della fisica dell’Ottocento fu compiuta da Maxwell, che nel 1866 sintetizzò la pletora di leggi dell’elettromagnetismo in quattro eleganti leggi che erano già corrette dal punto di vista relativistico quasi quaranta anni prima della Relatività (1905 ed anni seguenti), e che, riscritte nella simbologia relativistica moderna, diventano un’unica realtà complessa e nello stesso tempo semplice.

Seguì la nuova fisica del novecento, quando Einstein con la Relatività riscrisse la fisica mediante concetti arditi per le loro conseguenze, ma in verità più “economici” (nel senso che implicano un numero minore di presupposti) di quelli della fisica newtoniana; e quando Heisenberg, con la Meccanica Quantistica ed il principio di indeterminazione, nascose in modo ancora più sconvolgente il confine estremo della sperimentabilità affacciandosi così sulla porta del mistero, nel quale però la ragione umana riesce ancora ad investigare, pur se deve rinunciare all’orgogliosa hybris, la superbia insolente che secondo gli antichi greci l’uomo dimostra nei confronti di Dio quando tenta di ridurlo alla propria misura, di predire i risultati per una più umile indagine probabilistica, pur se altrettanto rigorosa.

Oggi, nelle nuove teorie alla frontiera della fisica che ad altissime energie, comparabili solo a quelle del Big bang, cercano di investigare l’estremo mondo subnucleare, le strutture di simmetria che vengono intraviste e che guidano la ricerca sembrano rivelare una volta di più come tali leggi, per scoprire le quali serve il lavoro di innumerevoli scienziati e risorse che nessuno stato può permettersi da solo, rivelano la loro elegante necessità. Sembra di dovere ammettere che esse non possono essere che tali, anche se è difficile poterle immaginare in precedenza!

Nelle teorie di grande unificazione, molto di moda nella fisica attuale, si cerca di unificare tutto il sistema delle forze, e ci sono molte evidenze che si può procedere, con grande sforzo però, in questa direzione. è sconcertante ma consolante che, al termine di un lavoro che molte volte coinvolge più ricercatori di generazioni differenti, le leggi della natura rivelino la grande semplicità di un’armonia insospettata, che sembra essere immagine della bellezza.

Questo per la fisica fondamentale, che per sua natura è la scienza naturale che si occupa delle leggi che stanno più nel profondo, mentre il resto, a parte l’irrisolto problema della vita, è una conseguenza di queste leggi, almeno in linea di principio, e la molteplicità degli effetti osservati è dovuta nel profondo alle innumerevoli combinazioni di poche leggi armoniose.

La complessità del loro combinarsi fa sì poi che nascano le diverse discipline scientifiche. Ma in tutta la scienza si può di solito ammirare con stupore la natura e la sua semplicità, senza poterne però prendere troppe conseguenze che sarebbero molto suggestive, dalle sottigliezze del principio antropico o al cosiddetto fine tuning, il valore delle piccolissime costanti atomiche che è cruciale per avere le condizioni che possono fare scaturire la vita (una loro piccola variazione la renderebbe impossibile), alle regole del genoma di recente indagine.

Le leggi sono allora dovute a principi di simmetria o ancor più sono un riflesso della perfezione e sussistono in sé quasi come immagini di idee iperuraniche, per non dire divine? è necessario trovare un equilibrio e ci si può chiedere quale può essere oggi l’atteggiamento del ricercatore di fronte alle leggi della natura nella sintesi tra leggi matematiche ed esperimento.

La visione platonica è certo seducente. Come afferma A. Pais nella sua biografia di Einstein, «I fisici teorici contemporanei sono propensi a sostenere che le simmetrie […] stanno a fondamento della fisica […]. La storia recente della fisica ha mostrato che il ruolo della matematica è molto più importante e vasto di quanto si potesse supporre prima. L’intuizione della giusta struttura matematica rivela strati della struttura del mondo ai quali, senza l’aiuto della matematica, non saremmo in grado di arrivare (basti pensare ai quark, ai buchi neri, ecc.). Il problema sta però nel fatto che questa individuazione non è una scelta a priori e operata esclusivamente sulla base di criteri estetici, per esempio il principio della perfezione), ma avviene sempre sulla base di un’ampia conoscenza empirica» (A. Pais, “Sottile è il Signore...”. La scienza e la vita di A. Einstein, Torino 1991, pp. 40-41). Questa sembra più la tradizione archimedea, un precursore dell’autentica tradizione scientifica.

Pure se ricondotta ai termini della sperimentabilità umana, la singolare impronta di bellezza nella scienza lascia però attonito il non credente e rivela all’uomo di fede la bellezza e la sapienza del Creatore. Nel Libro dei Proverbi la Sapienza di Dio afferma: «io ero là quando [egli] tracciava un cerchio sull’abisso (Pr 8,27)».