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Lo scienziato è un artigiano?

Gennaio 2007
Alessandro Giuliani
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria

Esiste una raccolta di racconti dello scrittore americano Raymond Carver che ha un titolo attraente: Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. In questo titolo possiamo scorgere il senso di tutta l'arte ed in fin dei conti del perché, anche se le questioni tra guelfi bianchi e guelfi neri sono ormai morte da tempo, leggere la Divina Commedia è ancora un'esperienza che suscita pensieri ed emozioni così profonde come ammirare la “conversione di Matteo” di Caravaggio, anche se non sappiamo nulla del problema della grazia all’epoca della riforma Cattolica.

L’arte parla sempre di qualcos'altro, così come succede quando parlando di altre cose, in realtà discorriamo d'amore. Questo rimando ad un altrove rispetto all'uso primario ed autoevidente dell'oggetto è condiviso da ogni prodotto artigianale: quando osserviamo un aratro di legno, l’armamento di una vecchia barca a vela, un telaio, o qualsiasi altro manufatto artigianale fatto con cuore e sapienza, anche se ormai non è più in uso o è sorpassato da nuovi e più aggiornati strumenti, è ugualmente pieno di senso. Per chi condivide la fede cristiana, questo “senso in più” ritengo derivi dall’opera della grazia divina nel lavoro dell’uomo, che lo rende unico. Chi non condivide questa prospettiva credente potrà ugualmente apprezzare l’irriducibilità del pezzo, la fusione unica ed irripetibile di funzione e struttura, il distillato di una lunga tradizione di prove ed errori. Si tratta insomma di quello che chiamiamo “sapienza” e che un certo scientismo ha sempre cercato di espellere dall’orizzonte della caricatura filosofica della scienza (non dalla vera scienza).

Non è un caso se sapere e sapienza condividono la stessa radice latina di “sapore”, quella sensazione unica che ci permette di individuare uno specifico alimento. Le produzioni di massa hanno tutte lo stesso sapore, il che corrisponde a dire che non ne hanno alcuno. Ritengo che la scienza sia una delle ultime frontiere dell’artigianato artistico, dove l’uso sapiente (perché unico ed individuale) dei differenti strumenti (metodi statistici, piano sperimentale, scelta dei campioni, strategia di misura) ne garantisce il senso.

Non esiste la ricetta unica e definitiva per risolvere un problema scientifico, non esiste l’algoritmo che esattamente, spingendo un tasto, mi fornisce la risposta che cercavo. Esiste invece un bancone di strumenti (siano essi strumenti materiali o concettuali fa poca differenza) che devo usare con sapienza per aggiustare il mio pezzo… (“aggiustare” ecco un’altra parola piena di risonanze, che ci parla di un continuo e mai definitivo approssimarsi ad un ideale, ben diversa da sostituire o peggio ancora ricomprare).

Quando le nostre teorie saranno sorpassate ed i nostri contenuti datati — questo prima o poi succederà a tutte le teorie scientifiche essendo la scienza (quella vera, non quella strillata dai media) un continuo lavoro in corso in cui nuove scoperte continuamente soppiantano vecchi modi di pensare —ugualmente il nostro lavoro dovrebbe continuare a trasmettere il senso che possiede oltre l'uso immediato, come una poesia o un timone di legno. Questo senso proviene dalla possibilità di individuare in quel “pezzo di scienza” il personale apporto dell'artigiano nella soluzione dei problemi, il suo stile peculiare nel sistemare le argomentazioni, i suoi “trucchi” per far emergere la linea di pensiero, il particolare uso della metodologia statistica, il piano sperimentale. La scienza deve cercare la verità, ma la sua verità è nel cammino, non nel contenuto, la sua è la verità umile dell’artigiano, non la falsa e tronfia verità di chi voglia offrirci un sistema onnicomprensivo e definitivo. La verità della scienza è l’onestà del procedimento argomentativo, è il rigore della metodologia statistica, è la chiarezza dell’ impianto.

La produzione di massa appiattisce le peculiarità. Il grande sforzo collettivo in cui legioni di scienziati “gnomi” partecipano ad un piano che li trascende seguendo un protocollo standard, impedisce di scorgere l'altrove, il valore unico ed inimitabile del singolo pezzo, semplicemente la scienza viene ad essere valutata per il valore qui ed ora del suo prodotto abbattendone il suo carattere di “cultura materiale”.

Il costruttore di trulli in Puglia, di dammusi a Pantelleria, di masi in Trentino, di bagli nel Trapanese era senza dubbio meno informato, meno evoluto, più ignorante, del costruttore delle odierne periferie: ciononostante costruiva opere d'arte ed aumentava la bellezza del mondo mentre il suo omologo distrugge il paesaggio. Il primo era partecipe di una cultura materiale artigiana, il secondo si uniforma a schemi “ottimizzati” e condivisi. Noi scienziati dovremmo orgogliosamente definirci dei costruttori di trulli, rifiutando con orrore il modulo preformato e ripetuto identico da Shangai ad Agrigento.

Di fatto abbiamo di fronte lampante il fallimento totale della disumana (e quindi esteticamente sgradevole) scienza degli gnomi: il completamento della mappa del genoma umano ha ribaltato le premesse con cui era stato iniziato: il cosiddetto dogma della biologia molecolare è crollato, una miriade di regolazioni inaspettate (pattern di metilazione del DNA, degradazione selettiva dell’RNA, polimerasi specifiche, proteine con numerose e diverse funzioni, reti proteiche autoregolantesi) hanno completamente sconvolto il quadro di riferimento della biologia che ancora venti anni fa si presentava orgoglioso e rilucente.

La torre di Babele è andata in pezzi. La bella notizia è che questi pezzi sono sparsi in giro sotto forma di basi di dati su Internet che raccolgono sequenze di acidi nucleici, proteine, reti metaboliche, mappe di interazione. Analogamente a quanto successo alla fine dell’impero romano, queste rovine sono a disposizione di piccoli scienziati artigiani che a costo zero possono cercare nuove ed inusitate collocazioni per queste macerie. Trovare correlazioni inaspettate, regolarità, nuova conoscenza. Per fare questo non c’è bisogno di grandi e complicati strumenti, avanzatissime e misteriose tecnologie. Quell’immagine della scienza  ancora legata al cinema espressionista tedesco di Weimar, al dottor Mabuse, che purtroppo ancora affligge il nostro immaginario collettivo (qualche anno fa mia figlia più piccola mi ha detto «A scuola ho detto che fai lo scienziato, però nonostante ciò, sei buono…»). Oggi qualsiasi ricercatore dotato di un personal computer e di un collegamento in rete può analizzare grandi basi di dati di sequenze di polimeri biologici, interazioni tra proteine, segnali fisiologici. Se il ricercatore ha sufficiente fantasia ed ingegno da riuscire, con un accurato uso di metodologie di analisi dei dati, ad individuare regolarità e relazioni tra proprietà fino ad allora considerate indipendenti; può, praticamente a costo zero, fare dell’ ottima scienza.

Si apre un orizzonte di scienza povera, umile ed artigianale che spero porti ad una profonda e benefica rivoluzione del nostro sguardo scientifico sul mondo, non più da dominatori sprezzanti, ma da amorevoli e stupiti custodi.