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Il valore di un’eredità

Aprile 2005
Giuseppe Tanzella-Nitti
ordinario di Teologia fondamentale - Pontificia Università della Santa Croce

La scomparsa di Giovanni Paolo II segna una tappa della storia contemporanea che va ben al di là della conclusione di uno dei pontificati della Chiesa cattolica. Sono moltissime le persone, nei cinque continenti, che in queste ore si rendono progressivamente conto di cosa gli insegnamenti e le riflessioni di questo Papa, filosofo e pastore, padre e testimone, hanno comportato per ciascuno. Ognuno sente questo pontificato come qualcosa di proprio. Ne coglie la premura e le esortazioni come rivolte specialmente a sé, uomo o donna, operaio o intellettuale, artista o studente, giovane o anziano, sacerdote o laico; e ne ricorda frasi, parole, documenti, come indirizzati alla specifica situazione esistenziale nella quale ognuno si è trovato e si trova ogni giorno. E succede anche a noi, che ci occupiamo di un servizio di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede. Un servizio, ne siamo certi, che senza questo pontificato difficilmente sarebbe venuto alla luce, perché sorto da quel clima di apprezzamento dell'impresa scientifica e di rivalutazione delle sue dimensioni umanistiche —non ultime quelle esistenziali e religiose— che ha trovato in Giovanni Paolo II un ispiratore appassionato e convinto. Altri contesti, assai meglio che queste righe, saranno luoghi adeguati per offire un bilancio di quanto gli insegnamenti del professore di etica di Cracovia, chiamato alla cattedra di Pietro, abbiamo influito sul raggungimento di nuove sintesi fra fede e cultura, fra vangelo e vita intellettuale. Il numero di documenti di Giovanni Paolo II ospitati in questo Portale aventi una qualche attinenza con il mondo della ricerca scientifica e della cultura basterebbe, da solo, a mostrare che un tale bilancio non solo è possibile, ma è anche doveroso. «La sintesi fra cultura e fede —affermava Giovanni Paolo II in una occasione— non è solo un'esigenza della cultura, ma anche della fede... Se, infatti, è vero che la fede non si identifica con nessuna cultura ed è indipendente rispetto a tutte le culture, non è meno vero che, proprio per questo, la fede è chiamata ad ispirare, ad impregnare ogni cultura. È tutto l'uomo nella concretezza della sua esigenza quotidiana, che è salvato in Cristo ed è, perciò, tutto l'uomo che deve realizzarsi in Cristo. Una fede che non diventa cultura non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» ( Discorso ai partecipanti al Congresso Nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno culturale , 16 gennaio 1982).

Non era abituale vedere un Papa che parlasse la lingua degli universitari e degli scienziati, che li ascoltasse volentieri, che si trattenesse insieme a loro. È difficile trovare, negli oltre 100 discorsi indirizzati a comunità accademiche di tutto il mondo, parole che possano suonare retoriche o di semplice convenienza. I temi coinvolti sono sempre stati impegnativi e centrali: dalla responsabilità etica degli scienziati, alla loro ricerca di Dio; dal sereno esame di vicende scomode, come quelle legate a Galileo o alla teoria dell'evoluzione, al superamento di vecchie incomprensioni; dalla necessità del dialogo fra discipline scientifiche ed umanistiche, al riconoscimento dei valori spirituali presenti nella ricerca scientifica e perfino nella tecnica; dalla passione per la ricerca della verità, ovunque essa si trovi, all'importanza che tale ricerca mantenga la sua autonomia e non venga asservita ai poteri politici o economici. «Oggi —si rivolgeva così a scienziati e studenti nella Cattedrale di Colonia il 15 novembre 1980— di fronte alla crisi del significato della scienza, alle molteplici minacce che insidiano la sua libertà, e alla problematicità del progresso, i fronti di lotta si sono invertiti. Oggi è la Chiesa che prende le difese: della ragione e della scienza, riconoscendole la capacità di raggiungere la verità, il che appunto la legittima quale attuazione dell'umano; della libertà della scienza, per cui questa possiede la sua dignità di un bene umano e personale; del progresso a servizio di una umanità, che ne abbisogna per la sicurezza della sua vita e della sua dignità». Quanto ascoltato alla sede dell'UNESCO a Parigi o al CERN di Ginevra, alla Pontificia Accademia delle Scienze a Roma o al Centro Majorana di Erice, quanto ricordato agli universitari di Colonia o di Bologna, di Uppsala o di Lovanio, rappresenta un bagaglio di riflessioni che ciascuno di noi, impegnato nella docenza universitaria o nel lavoro di ricerca, potrà tornare a meditare per comprenderne l'attualità e, in certa misura, il valore a tratti profetico.

Ma c'è qualcosa che va al di là di questi interventi di Giovanni Paolo II e in certo modo ne rivela la ragione profonda. Abbiamo ricevuto l'esempio di un uomo che non ha avuto paura della verità, e che ha vissuto in prima persona quel “non abbiate paura, spalancate le porte” che segnò l'inizio del suo pontificato, aiutando a fare altrettanto ai credenti e a tutti gli uomini di buona volontà. Ne è derivato un clima di maggiore fiducia per coloro che condividono l'esperienza della fede, confortati dal fatto che la loro ricerca intellettuale non solo non entrava in contrasto con quanto creduto, ma poteva anche aiutare a meglio comprendere tutta la ricchezza della Parola di Dio; mentre coloro che non condividevano tale esperienza ricevevano uno stimolo ad esercitare fino in fondo la responsabilità del conoscere, evitando pregiudizi ed impegnandosi per accostarsi senza sconti alla verità. Gli uni e gli altri, grazie agli insegnamenti proposti da questo Papa, hanno trovato spunti intellettuali per superare una condizione di disillusione o di scetticismo, sentendosi incoraggiati a cercare una vera unità del sapere e, in definitiva, esortati al fatto che la ricerca della verità, nella scienza come nella fede, non solo è possibile, ma è ciò che rende davvero umana la propria esistenza. È giunto il momento di rendersi conto che abbiamo ricevuto un'eredità. Sarebbe un peccato non comprenderne il valore e non adoperarsi per farla fruttare. I credenti hanno in questo una responsabilità particolare, ma l'eredità è di tutti.