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Teilhard de Chardin: le ragioni di un interesse

Marzo 2005
Giuseppe Tanzella-Nitti
ordinario di Teologia fondamentale - Pontificia Università della Santa Croce

È probabile che cinquanta anni dalla morte di Pierre Teilhard de Chardin rappresentino un intervallo di tempo sufficientemente lungo perché ci si possa accostare al pensiero e alle opere dello scienziato gesuita francese con una prospettiva equilibrata, capace di riconoscere sia le perplessità che alcuni punti della sua elaborazione intellettuale hanno suscitato nei decenni trascorsi, sia le profonde intuizioni e il valore di sintesi, inedita e feconda, contenuti nella sua visione cristiana del cosmo, del lavoro umano e della vita.

Il dovere di informazione impone il ricordo delle disposizioni disciplinari di cui egli fu oggetto in vita all'interno della Compagnia di Gesù, che gli causarono la sospensione dall'insegnamento di materie di carattere filosofico-teologico con la conseguente richiesta di non pubblicare saggi sui medesimi temi. Vari anni dopo la sua morte, ormai nel 1962 e in contemporanea con l'avvio dei lavori del Concilio Vaticano II, un Monitum dell'allora Sant'Uffizio dichiarava in un breve comunicato (cfr. AAS 54 (1962), p. 526) che le sue opere di natura filosofica e teologica, a differenza di quelle di carattere scientifico nel cui merito non si entrava, contenevano ambiguità e gravi errori. Si può ragionevolmente ipotizzare che gli errori in questione (non menzionati dal comunicato) si riferissero alla possibilità di dare luogo ad una visione panteista della presenza di Dio nel cosmo, ad una insufficiente separazione ontologica fra materia e spirito nella descrizione della evoluzione della materia fino alla comparsa della vita e dell'uomo, ad una probabile concezione determinista dell'Incarnazione, nonché ad una erronea comprensione della storicità del peccato originale. Al tempo stesso non si può non registrare che molte idee del pensatore francese avevano già influito sull'elaborazione teologica di non pochi autori del XX secolo e si erano ormai rese presenti in quadri interpretativi certamente ortodossi. Nel 1966, in un discorso sulle relazioni fra scienza e fede, papa Paolo VI parlava di Teilhard come di uno scienziato che aveva saputo, scrutando la materia, trovare lo spirito, e che aveva dato una spiegazione dell'universo capace di rivelare in esso la presenza di Dio, la traccia di un Principio Intelligente e Creatore (cfr. Allocuzione , 24.2.1966, Insegnamenti , IV (1966), pp. 992-993). Il 12 maggio 1981, in una lettera inviata dal card. segretario di Stato Agostino Casaroli a mons. Paul Poupard, Rettore dell' Institut Catholique di Parigi, a motivo del centenario della nascita del paleontologo francese, si affermava che in lui «una forte intuizione poetica del valore profondo della natura, una acuta percezione del dinamismo della creazione e un'ampia visione del divenire del mondo si coniugano con un incontestabile fervore religioso». Nella medesima lettera si aggiunge inoltre che «senza dubbio i nostri tempi non lasceranno cadere, al di là delle difficoltà dei concetti e delle deficienze di espressione del suo audace tentativo di sintesi, la testimonianza di una vita unificata, quella di un uomo conquistato dal Cristo nelle profondità del suo essere, e che ha avuto la preoccupazione di onorare allo stesso tempo la fede e la ragione, anticipando così una risposta all'appello di Giovanni Paolo II “Non abbiate paura, aprite, spalancate le porte a Cristo”» ( Insegnamenti , IV,1 (1981), pp. 1248-1249). Una breve nota pubblicata sull'Osservatore Romano dell'11 luglio dello stesso anno dalla sala stampa della Santa Sede preciserà che la lettera in questione non andava considerata una “riabilitazione” del gesuita francese, né dovevano considerarsi risolti gli aspetti problematici presenti nel suo pensiero.

Fin qui gli eventi. Sufficienti perché il credente che desideri accostarsi alle opere di Teilhard lo faccia dall'interno di un quadro teologico nel quale una precisa conoscenza dei principali contenuti della Rivelazione non solo lo protegga dall'estrapolare o dal fraintendere il pensiero dell'Autore, ma possa addirittura aiutarne una comprensione matura, chiarendo ciò che nel linguaggio esperienziale e mistico del pensatore gesuita potrebbe restare dogmaticamente incompiuto. Sarà probabilmente il tempo a dirci, come avvenuto in occasione di altri autori, se una nuova contestualizzazione del pensiero di Teilhard potrebbe mutarne il sobrio ma significativo giudizio disciplinare, e su quali aspetti della sua sintesi intellettuale i Pastori della Chiesa vorranno eventualmente intervenire, se lo riterranno opportuno, con ulteriori indicazioni.

È con questo spirito che invitiamo i visitatori del Portale di Documentazione Interdisciplinare a leggere i commenti ed i brani che offriamo in occasione del 50° della scomparsa di Pierre Teilhard de Chardin. Ne abbiamo in particolare proposti tre, tratti da La scienza e Cristo, da Il fenomeno umano e da L'ambiente divino. L'editoriale di Jean-Michel Maldamé mette già in luce alcuni dei principali meriti del gesuita scienziato. Desideriamo qui soltanto sottolineare che Teilhard sarà il primo ad offrire una lettura cristiana della lunga storia evolutiva del cosmo, della vita e dell'uomo, dopo che l'Ottocento aveva fatto di quella medesima evoluzione uno dei principali argomenti per scalzare ogni progettualità e intenzionalità creatrice nell'interpretazione della natura. Questa capacità di rilettura, fortemente cristologica, influirà non poco sulla teologia successiva consentendo di chiarire i rapporti fra storia del cosmo e storia della salvezza, e di affermare una convergenza fra cristianesimo e umanesimo, preparando in alcuni autori, fra cui H. de Lubac, la proposta di sintesi più mature e credibili, capaci di ispirare alcune delle pagine più significative del Concilio Vaticano II.

Uno speciale interesse lo suscitano le riflessioni, risalenti al 1927, contenute nel suo Le milieu divin. Si tratta dei primi scritti in cui Teilhard de Chardin parla della necessità di santificare le realtà terrene, di trasformare il cosmo e riportarlo a Dio attraverso la perfezione del lavoro umano. «Il nostro lavoro ci appare soprattutto come un mezzo per guadagnarci il pane quotidiano. Ma la sua virtù definitiva è ben più alta: per suo tramite perfezioniamo in noi il tema dell'unione divina […]. Perciò artisti, operai, scienziati, qualunque sia la nostra funzione umana, noi possiamo, se siamo cristiani, precipitarci verso l'oggetto del nostro lavoro come a un varco aperto verso il supremo completamento dei nostri esseri» (tr. it. Brescia 2003, pp. 38-39). Per Teilhard, la materia, il mondo, non allontanano da Dio, ma possono condurre a Lui se si riconosce il loro ruolo nel piano della creazione. Il mondo e non solo il tempio, in particolare il lavoro umano realizzato con perfezione, è il luogo dell'incontro con Dio: «Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile; ma ci aspetta ad ogni istante nell'azione, nell'opera del momento. In qualche maniera, è sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago. È portando sino all'ultima perfezione naturale il tratto, il colpo, il punto al quale mi sto dedicando, che coglierò la Meta ultima cui tende il mio volere profondo» (p. 39).

Teilhard de Chardin è preoccupato del fatto che i cristiani, ai quali si raccomanda spesso solo di “offrire” il lavoro, senza aiutarli a comprenderne il profondo significato di contributo alla trasformazione di una materia e di un mondo che deve essere ordinato in Cristo a Dio, corrano il rischio di condurre una “doppia vita”. «Nonostante la pratica della retta intenzione e della giornata quotidianamente offerta a Dio – egli afferma – la massa dei fedeli cova oscuramente l'idea che il tempo trascorso in ufficio, nel proprio studio, nei campi o nella fabbrica sia sottratto all'adorazione. Certo è impossibile non lavorare. Ma è anche impossibile proporsi quella profonda vita religiosa riservata a coloro che hanno il tempo di pregare o predicare tutto il giorno. Nella vita, alcuni minuti possono essere recuperati per Dio. Ma le ore migliori sono sperperate o per lo meno svalorizzate dalle cure materiali. – Oppressi da questo sentimento moltissimi cattolici conducono in realtà una doppia vita, o una vita impacciata: hanno bisogno di abbandonare la veste umana per ritenersi cristiani, e solo cristiani di secondo ordine» (p. 40).

Egli si adopererà per mostrare tuta la necessità del compito di «divinizzare l'impegno umano». E ricorderà ai cristiani: «nel lasciare la Chiesa per la città rumorosa, non avrete altro che la sensazione di continuare ad immergervi in Dio» (p. 41). Se amiamo Dio, si chiede Teilhard, «lo stesso lavoro della nostra mente, del nostro cuore, delle nostre mani — i nostri risultati, le nostre opere, il nostro opus — non sarà forse, in qualche modo, anch'esso “eternato”, salvato?» (p. 32). E ancora: «Come temere che l'occupazione più banale, più assorbente oppure più affascinante, ci costringa ad uscire da Lui? – Ripetiamolo: in virtù della Creazione e ancor più dell'Incarnazione, niente è profano quaggiù per chi sa vedere» (pp. 40-41). Siamo di fronte a prospettive nuove, ad intuizioni che sorgeranno in modo indipendente anche in altri autori di quei medesimi anni, contribuendo alla progressiva affermazione di una visione cristiana che rivaluta la dignità spirituale del lavoro e la legittima autonomia della creazione, preparando così il terreno a riflessioni che anche il Magistero della Chiesa farà sue a partire dal Concilio Vaticano II. Basterebbe forse solo questo per guardare a Teilhard de Chardin con motivato interesse.

Spunti bibliografici:

H. de Lubac , Il pensiero religioso di Teilhard de Chardin (1962), Jaca Book, Milano 1983; L. Galleni , Teilhard de Chardin, Pierre , in “Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede”, Urbaniana Univ. Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 2111-2124; R. Gibellini , Teilhard de Chardin, l'opera e le interpretazioni , Queriniana, Brescia 1995 3 ; R. Latourelle , Teilhard de Chardin , in “Dizionario di Teologia Fondamentale”, Cittadella, Assisi 1990, pp. 1207-1216.

Marzo 2005
Jean-Michel Maldamé
Institute Catholique de Toulouse, France

Teilhard de Chardin ha rivestito un ruolo di grande importanza nella coscienza cristiana della metà del ventesimo secolo. Come è noto, egli non poté però svolgerlo all'interno di istituzioni ove, grazie alle sue competenze, avrebbe avuto il diritto di sedere, cosa che gli avrebbe permesso di esercitare una certa autorità di pensiero anche all'interno della Chiesa. La diffusione frammentaria e contrastata delle sue opere ha fatto di questo autore una figura per molti problematica, ed una fonte di vive discussioni. A distanza di mezzo secolo dalla sua morte, la sua opera appare oggi in una luce più serena. Senza essere per questo “teilhardiani” (cioè senza far parte dei suoi discepoli incondizionati), è oggi possibile fare un elogio dello scienziato francese, elencando qui brevemente sette punti dai quali emergeranno i tratti caratteristici, assieme anche ai limiti, della sua opera geniale.

1. L'opera di Teilhard de Chardin ha voluto rispondere ad una delle più grandi angosce del suo tempo, proveniente proprio dalla cultura scientifica. I principi della termodinamica avevano mostrato l'ineluttabile sviluppo dell'entropia nel tempo con il conseguente livellamento di tutte le cose verso un futuro cosmico indifferenziato. Si tratta di una visione generatrice di pessimismo, che può annoverarsi fra le cause del cinismo e del nichilismo caratteristici della post-modernità. Teilhard de Chardin ha superato questa prova rilevando come l'evoluzione cosmica mostri anche, nonostante tutto, un “muoversi verso” che ha condotto lo sviluppo del cosmo verso il mondo dello spirito (designato dal neologismo “noosfera”), e come, una volta superata la soglia rappresentata dall'ominizzazione, l'avvento della coscienza sia stato e resti irreversibile. Anche se i prodotti della materia e le forme primarie di vita spariscono, l'opera dello spirito rimane. Così la comparsa dell'uomo diviene il momento decisivo dell'avventura della vita. Questo è il messaggio di speranza che ha motivato la sua ricerca e organizzato il suo pensiero. Bisogna sottolineare, a proposito di questo punto, che questa visione ricca di speranza la si può ritrovare, pienamente confermata, nel Concilio Vaticano II.

2. Per mettere in pratica un tale progetto, Teilhard de Chardin ha elaborato una filosofia della natura di stile aristotelico, in certa rottura con la visione statica propria dell'età arcaica. Anche se l'opera scientifica di Teilhard de Chardin può risultare datata, la sua intuizione di fondo trova ancor oggi un'applicazione esemplare sia in geologia, che in geografia e in paleontologia. Questa filosofia della natura non è stata invalidata. In particolare “la legge di complessità crescente” resta una chiave per comprendere la natura dei viventi, considerati come degli organismi strutturati per essere autonomi e per perdurare nell'essere. Tale filosofia della natura non ignora i risultati della scienza e in particolare la visione evolutiva del concatenamento delle specie in uno stesso albero filogenetico, nel quale cui l'uomo occupa un posto decisivo.

3. La visione della natura di Teilhard de Chardin è, senza dubbio, profondamente cristiana perché egli l'ha fondata su quei testi del Nuovo Testamento di respiro e dimensione cosmici. D'altra parte Teilhard si basa sui testi in cui san Paolo riconosce la dimensione universale della redenzione (cfr. Rm 2,22-23), ma soprattutto sul passo della lettera ai Colossesi in cui è scritto che il Figlio di Dio è colui per mezzo del quale, e in vista del quale, tutte le cose sono state create (cfr. Col 1,15-18). Quindi Teilhard riprende il testo del vangelo di Giovanni in cui Cristo dice: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» ( Gv 12,32). In questa frase, la parola “tutto” può essere estesa oltre la sola umanità. Il Cristo è colui che attrae a sé tutta la creazione, guidandone il movimento verso il suo compimento. Se Teilhard è stato rimproverato di cadere nel difetto del concordismo e, rimprovero più pertinente, di disconoscere il carattere tragico del male, è al tempo stesso evidente che la sua visione ha avuto il merito di restituire a Cristo il posto centrale che gli spetta in un orizzonte cosmico derivante anche dalle scienze. Questa lezione è stata accolta dalla Chiesa che, alla fine dell'anno liturgico celebra la solennità Gesù, Re dell'universo.

4. Per sviluppare questa grandiosa visione, che si snoda tra i testi biblici e i risultati scientifici, Teilhard de Chardin ha utilizzato un linguaggio nuovo, ricorrendo a neologismi. Spesso ha voluto collocarsi sul piano della metafora per liberarsi della visione statica, allora dominante nella filosofia della natura, di un certo spiritualismo che disprezzava i beni terreni e il mondo materiale, e di una teologia rinchiusa in un linguaggio scolastico.

Questa sua scelta ha incontrato difficoltà ad essere ben compresa sia da quei teologi formati nello spirito di una metafisica classica, sia dagli autori specificamente materialisti. Sia gli uni che gli altri hanno denunciato la sua mancanza di rigore, nata dall'esigenza di voler creare qualcosa di nuovo. Il Padre Henri de Lubac ha saputo mostrare la perfetta ortodossia del pensiero del suo confratello gesuita, che assumeva il rischio di usare un linguaggio nuovo.

5. Il ruolo di Teilhard de Chardin non può essere riduttivamente visto solo in rapporto al dialogo tra le scienze della natura e la teologia dogmatica. Egli resta un maestro spirituale. Infatti, dando alla persona umana il posto centrale nella storia del cammino della vita verso lo spirito e collocando l'amore come motore essenziale della marcia del cosmo “in avanti”, Teilhard de Chardin ha saputo rendere onore alla tradizione cristiana in cui il concetto di persona gioca un ruolo essenziale. Così la sua opera si è ricongiunta con i temi fondamentali della vita spirituale. Il suo trattato, pensandoci bene, va letto come uno dei grandi testi di teologia spirituale del ventesimo secolo e ne mantiene sempre l'attualità. Il suo pensiero continua ad aiutare coloro che vogliono raggiungere Dio con tutta la ricchezza della propria umanità e nella veridicità della propria condizione, caratterizzata dalla precarietà e dal peso che la vita reca con sé. È grazie a questa dimensione spirituale che Teilhard de Chardin ha compiuto la sua missione di gesuita, maestro spirituale, purificato nel crogiolo della sofferenza. Le sue note sulla preghiera, sull'amore e sull'irradiamento del Cristo, sono sempre una fonte di nutrimento spirituale per molti fedeli, desiderosi di inserire la loro speranza verso il futuro nella realtà della loro vita.

6. Se alla metà del ventesimo secolo, Teilhard de Chardin ha dato a molti cristiani, segnati dalla cultura scientifica, uno spazio per collegare la propria visione scientifica con la fede cristiana, il ruolo del suo pensiero sembra essere cambiato, a distanza di 50 anni. E lo è perché vi sono stati mutamenti nella sensibilità religiosa. Nei Paesi più sviluppati, assieme ai processi di secolarizzazione, assistiamo all'emergenza di una spiritualità che mescola senza discernimento le diverse tradizioni spirituali d'Oriente e d'Occidente. A motivo dell'impiego che egli fa di concetti come energia, coscienza, amore, che gli permettono di unificare la sua visione del mondo, il pensiero di Teilhard viene oggi richiamato da quelle correnti che si rifanno al New Age . Nonostante ciò, bisogna constatare che il suo senso della persona umana e della singolarità del Cristo permettono a molti di tornare al Vangelo e di riallacciarsi ad una vita di preghiera indirizzata ad un Dio trascendente, santo e vivo.

L'irradiamento della sua opera prende così una nuova strada che è molto utile nel contesto della mondializzazione. I suoi propositi sulla “noosfera” danno a coloro che gioiscono della mescolanza di culture e popoli, degli elementi per vedervi la realizzazione di quella umanità fraterna di cui il Vangelo ci ha mostrato tutta l'esigenza.

7. Infine, sul piano dell'interazione tra scienza e fede, Pierre Teilhard de Chardin resta una figura esemplare. Un certo numero di punti del suo pensiero, è vero, restano in questione e necessitano importanti chiarimenti anche di natura teologica. Se Teilhard non ha potuto conoscere gli sviluppi della scienza della seconda metà del ventesimo secolo, i suoi punti di vista non sono stati contraddetti. Un punto, però, si distacca dalla visione scientifica oggi dominante: Teilhard non ha acconsentito alla teoria “sintetica” dell'evoluzione, nella quale le mutazioni casuali continuano ad avere un ruolo determinante, perché egli teneva di più all'ortogenesi. Questo termine indica la presenza di una finalità nell'evoluzione, iscritta nel movimento della vita in tensione verso una realizzazione più alta. Qui c'è un punto decisivo di conflitto tra una visione riduttiva della natura e la visione cristiana legata alla nozione di Provvidenza. Su questo punto Teilhard, che non può essere sospettato di disprezzo di fronte alla scienza, è ripreso dai suoi discepoli che intendono opporsi al razionalismo e al positivismo. Egli ricorda a tutti le esigenze di una visione cristiana della creazione, nella quale l'uomo occupa un posto unico ed in cui tutto è orientato verso il Cristo.

 

Nota bio-bibliografica: Pierre Teilhard de Chardin nasce il 1 maggio 1881 in Alvernia, sacerdote gesuita, geologo e paleontologo, dottore in scienze nel 1922, membro dell'Accademia delle Scienze, fu allontanato dall'insegnamento all'Istituto Cattolico di Parigi e inviato a Pechino, dove partecipò alla scoperta del Sinantropo. Partecipò alla “crociera gialla”, prima traversata del continente eurasiatico in autovettura. Un breve soggiorno a Parigi gli diede una grande reputazione ed una grande influenza sul piano intellettuale. Fu nuovamente inviato a New York dove lavorò alla Wenner Gren Foundations for Antrhropological Research e ciò gli permise di partecipare agli scavi di Australopiteci in Africa del Sud. Morì a New York il giorno di Pasqua, 10 aprile, del 1955. Le opere scientifiche di Teilhard sono state pubblicate a Friburgo, in Svizzera in undici volumi. Le sue opere teologiche e filosofiche sono state pubblicate a Parigi, dalle Editions du Seuil, in tredici volumi, sotto il titolo Opere di Teilhard de Chardin . Diverse opere sono state compiutamente redatte per la pubblicazione, come L'Ambiente divino (scritto negli anni 1926-1927) e Il Fenomeno umano (scritto negli anni 1938-1940). Gli altri volumi raccolgono scritti redatti con diverse intenzioni (note per i suoi superiori, per i confratelli, per gli amici, o per chiarire il suo pensiero). Altri testi meno elaborati (lettere, diari, ecc.), sono stati pubblicati in modo occasionale e frammentario da altri editori. Uno dei modi migliori per entrare nel pensiero di Teilhard è quello di leggere Scritti in tempo di guerra , il volume XII delle Opere . Queste pagine, molto ben scritte, furono composte durante la guerra 1914-1918 e contengono in potenza i grandi fondamenti delle sue prospettive spirituali ed intellettuali.