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La mirabile arte di Dio nella creazione del mondo e degli elementi

Nicolò Cusano
1440

La dotta ignoranza, libro II, XIII, 175-180

Esempio di neoplatonismo cristiano erudito, la cosmologia di Nicolò Cusano (1401-1464) esalta la razionalità del Creatore senza perdere la percezione dell’incommensurabilità del mistero. «Nel creare il mondo, Dio ha impiegato aritmetica, geometria e musica insieme ad astronomia, arti che impieghiamo anche noi quando facciamo ricerche sulle proporzioni fra le cose, fra gli elementi e fra i moti». Tuttavia la ragione profonda di tali proporzioni non la conosciamo e la nostra ignoranza ci muove allo stupore e alla venerazione.

175. È concorde parere dei sapienti che, mediante la contemplazione di codeste cose visibili, della loro grandezza, bellezza e ordine, siamo indotti ad ammirare con stupore l’arte divina e la sua eccellenza; ed anche noi abbiamo trattato di molti prodotti della scienza mirabile di Dio. Aggiungiamo ora in breve alcune poche considerazioni, piene di ammirato stupore, sulla posizione e sull’ordine degli elementi nella creazione dell’universo.

Nel creare il mondo Dio ha impiegato aritmetica, geometria e musica insieme ad astronomia, arti che impieghiamo anche noi quando facciamo ricerche sulle proporzioni fra le cose, fra gli elementi e fra i moti. Mediante l’aritmetica mise insieme tutti gli elementi, mediante la geometria diede loro figura, affinché ottenessero fermezza, stabilità e mobilità nelle loro condizioni; mediante la musica diede loro una proporzione tale, che non vi sia più terra nella terra che acqua nell’acqua, aria nell’aria e fuoco nel fuoco, sicché nessuno degli elementi sia del tutto risolubile in un altro. Ne viene che il meccanismo del mondo non può perire. E sebbene una parte d’un elemento si possa risolvere in un altro, tuttavia mai tutta quell’aria che è mista all’acqua si può risolvere in acqua, a causa dell’aria circostante che lo impedisce; e così si mantiene sempre una mescolanza di elementi. Dio fece in modo che le parti degli elementi si risolvessero le une nelle altre. E quando questo avviene con un certo impiego di tempo, allora si ha la generazione di qualche essere, il quale dura temporalmente per la concordanza degli elementi nello stesso ente generabile, fino a che tale concordanza di elementi si mantiene; mentre, quando essa si rompe, si dissolve anche l’ente generato.

176. Gli elementi sono stati dunque disposti in un ordine mirabile da Dio, il quale «ha creato tutte le cose nel numero, nel peso e nella misura» (Sap 11,21). Il numero sta a indicare l’aritmetica, il peso e la musica, la misura la geometria. Ciò che pesa è sostenuto dalla costrizione operata da ciò che è leggero – la terra pesante sta sospesa nel mezzo in virtù del fuoco – mentre ciò che è leggero poggia su ciò che è pesante, come il fuoco poggia sulla terra. E, per ordinare così gli elementi, la sapienza eterna ha impiegato una proporzione che ci è impossibile esprimere: essa sapeva in precedenza di quanto ciascun elemento doveva esser superiore a un altro, e li pesava in modo tale che, di quanto l’acqua è più leggera della terra, di tanto l’aria è più leggera dell’acqua e il fuoco dell’aria; e così il peso era in rapporto alla grandezza e il contenente occupava uno spazio maggiore del contenuto. Congiunse gli elementi fra loro con un rapporto tale, che l’uno stia necessariamente nell’altro. Così la terra è un certo qual animale, come dice Platone (cfr. Timeo, 30B, 38E), che ha le pietre al posto delle ossa, i fiumi in luogo delle vene, gli alberi come fossero peli; e vi sono animali che traggono il loro nutrimento fra quei capelli della terra, come i parassiti si alimentano fra il pelame degli animali.

177. La terra si rapporta al fuoco quasi come il mondo si rapporta a Dio. Molte somiglianze con Dio ha il fuoco in relazione alla terra: la sua potenza non ha fine, e nella terra esso compie ogni operazione, penetrando, illuminando, distinguendo e formando per mezzo dell’aria e dell’acqua; in tutte le cose che si generano dalla terra non vi è nulla, o quasi che non sia frutto di questa o quella operazione del fuoco, cosicché le diverse forme delle cose dipendono dal diverso grado di splendore del fuoco. Tuttavia il fuoco è immerso nelle cose, senza le quali esso non esisterebbe, come non esisterebbero le cose terrene. Dio invece non ha che un’essenza assoluta. Per questo gli antichi chiamarono Dio «fuoco» assoluto «ardente» (cfr. Dt 4,24) e chiarezza assoluta, egli che è luce nella quale non vi è tenebra alcuna (cfr. Gv 1,5). Tutti gli enti si sforzano, in base al loro potere, di partecipare alla sua sostanza di fuoco e alla sua chiarezza, come accade negli astri, ove troviamo questa chiarezza contratta a livello materiale. Una chiarezza, invece, immateriale che discerne e penetra si trova contratta nella vita di quegli enti che vivono di vita intellettiva.

178. Chi non ammirerebbe questo artefice, il quale nelle sfere celesti, nelle stelle e nelle regioni degli astri impiegò un’arte siffatta che, senza esservi precisione assoluta, c’è concordanza di tutte le cose nella diversità di tutte; egli ha preponderato in un mondo unitario la grandezza delle stelle, la loro collocazione e il loro moto, ordinando quindi la distanza fra loro in modo tale che se una regione non fosse così com’è, neppure essa sussisterebbe, né si troverebbe in quel posto ed in quell’ordine che ha, e neppure lo stesso universo potrebbe sussistere; egli ha dotato tutte le stelle d’una chiarezza diversa, d’una diversa capacità d’influenza, figura, colore e calore, il quale si accompagna alla chiarezza dipendendo dalla sua influenza; egli infine ha istituito proporzioni delle parti fra loro, tali che in ognuna di esse il moto delle parti è in relazione al tutto, moto indirizzato al basso verso il centro nei gravi, e verso l’alto a partire dal centro nei leggeri, e intorno al centro, come vediamo accadere nel movimento orbitante delle stelle.

179. In cose tanto ammirevoli, così varie e diverse, in base alle premesse della nostra dotta ignoranza abbiamo esperienza che «di tutte le opere di Dio» non possiamo conoscere «la ragion d’essere» (cfr. Sir 8,17), ma soltanto ammirarle, perché «il Signore è grande» e della sua «grandezza non c’è fine» (Sal 144,3). Egli è la massimità assoluta, e come di tutte le sue opere egli è l’autore e il conoscitore, così ne è il fine, tale che «tutte le cose sono in lui» (Rm 11,36), e fuori di lui non vi è nulla. Egli è principio, mezzo e fine di tutto, centro e circonferenza dell’universo, cosicché in tutte le cose non si ricerca che lui, perché senza di lui tutto è nulla. Se si possiede lui si possiede ogni cosa, perché egli e tutto. Conosciuto lui si conoscono tutte le cose, perché egli è la verità di tutto. Egli vuole che siamo indotti allo stupore dalla contemplazione del mirabile meccanismo del mondo. Ma egli ce lo nasconde tanto più quanto desidera che ne rimaniamo stupiti, perché è lui stesso che vuol esser ricercato con tutto il cuore e con tutta la nostra diligenza. E abitando in quella «luce inaccessibile» (1Tim 6,16), che è oggetto di ricerca in ogni cosa, egli solo può aprire a chi batte e donare a chi domanda. E fra le cose create nessuna ha il potere di aprire se medesima a chi batte e di mostrare la propria essenza, perché tutte le cose sono nulla senza colui che è in tutte.

180. Ma tutte le cose a chi domanda loro, nella dotta ignoranza, che cosa siano, come siano e a qual fine, esse rispondono: “Per virtù nostra non siamo nulla e nulla possiamo risponderti da parte nostra, poiché anche la scienza di noi stesse non la possediamo noi, ma soltanto colui dalla cui intelligenza siamo quella realtà che egli in noi vuole, comanda e conosce. Siamo tutte mute. È lui che parla in noi tutte. Egli soltanto, che è il nostro fattore, sa che cosa siamo, in che modo siamo ed a qual fine. Se vuoi sapere qualcosa di noi, cercalo nella nostra ragion d’essere e nella nostra causa, non in noi. E là, chiedendo di una sola cosa, le troverai tutte. Ed anche te stesso non potrai ritrovare che in lui”.

“Fa’ dunque in modo di ritrovare te stesso in lui – dice la nostra ignoranza [cfr. Le Congetture, II, 17, nn. 171ss] –. E poiché in lui tutte le cose sono lui stesso, nulla ti potrà mancare. Non è però in nostro potere di rendere accessibile l’inaccessibile, ma è in suo potere, egli che ci diede un volto che è orientato a lui stesso, desideroso di ricercarlo. E, mentre lo faremo, egli sommamente pietoso, non ci abbandonerà, ma manifestandosi a noi quando apparirà la sua gloria, ci sazierà in eterno benedetto nei secoli”.

   

da La dotta ignoranza, Lib. II, cap. XIII, nn. 175-180, edizione a cura di Giovanni Santinello, Rusconi, Milano 1988, pp. 182-186.