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La creazione di un mondo in divenire

Bonaventura da Bagnoregio
1257

Breviloquium, I-II

Riflettendo sulla creazione del mondo, San Bonaventura, espone il suo pensiero in questo breve trattato di teologia, soffermandosi su alcuni concetti chiave. In particolare, alla luce del dato biblico, ricorda l'importanza di inquadrare la creazione in termini temporali, fatta dal nulla e proveniente da un unico principio, Dio. Nel capitolo successivo prosegue il suo discorso sulla creazione contestualizzandola ancor di più nella temporalità del mondo vedendo, nelle azioni dei primi sette giorni della creazione, la manifestazione della potenza, sapienza e bontà di Dio, ma anche l'inizio e il dispiegarsi del tempo, presente e, in modo seminale, futuro.

I. La creazione del mondo nella sua interezza

Dopo aver compreso sinteticamente quanto detto riguardo alla Trinità di Dio, si devono dire alcune cose sulla creazione del mondo. Intorno alla quale si deve ritenere in breve quanto segue: cioè che la macchina dell'universo fu posta in essere nel tempo e dal nulla da un principio primo, unico e sommo; la cui potenza, sebbene sia immensa, dispose tuttavia tutte le cose secondo un certo peso, numero e misura [Sap 11, 21]. In genere, riguardo alla creazione del reale, queste sono le cose che si devono comprendere, e dalle quali si desume la verità, e si respinge l'errore. Infatti, dicendo "nel tempo", si respinge l'errore di coloro che affermano che il mondo è l’eterno. Dicendo "dal nulla", si respinge l'errore di coloro che affermano l'eternità del principio materiale. Dicendo "da un unico principio", si respinge l'errore dei Manichei, che affermano la pluralità dei principi. Dicendo "unico e sommo", si respinge l'errore di coloro che affermano che Dio abbia prodotto le creature inferiori con la mediazione di intelligenze. Aggiungendo, poi, secondo un certo peso, numero e misura, si mostra che la creatura è l'effetto della Trinità creante sotto un triplice genere di causalità: efficiente, da cui discende nella creatura l'unità, il modo e la misura; esemplare, da cui è nella creatura la verità, la forma e il numero; finale, da cui è nella creatura la bontà, l'ordine, e il peso. Cose, queste, che si trovano, invero, in tutte le creature come vestigia del Creatore, sia in quelle spirituali, sia in quelle composte di entrambe.

La ragione, poi, per intendere quanto detto è questa: perché vi sia un ordine perfetto e un modo d'essere nelle cose, è necessario che siano tutte ricondotte ad un unico principio, che sia senza alcun dubbio primo per dare un modo d'essere alle altre cose; e perfettissimo, per dare compiutezza a tutte le altre. Pertanto, poiché il primo principio, in cui risiede la stabilità, non può essere se non uno solo, se produce il mondo non potendo dedurlo da se stesso, è necessario che lo produca dal nulla. E poiché la creazione dal nulla, per quanto riguarda ciò che è creato, pone l'essere dopo il non-essere e, per quanto riguarda il principio implica l'immensità nella virtù creante- e ciò è proprio solamente di Dio - è necessario che la creatura sia prodotta nel tempo da questo stesso illimitato potere, che agisce per sé e senza intermediari.

Ancora, poiché è necessario che il principio perfettissimo, da cui promana la perfezione di tutte le cose, agisca da sé e secondo sé e per sé - dato che nell'agire non ha bisogno di nulla fuori di sé -, è necessario che rispetto a qualsiasi creatura abbia l'intenzione di una triplice causa, cioè efficiente, esemplare e finale. E necessario anche che ogni creatura si rapporti alla causa prima in accordo con questa triplice relazione. Infatti, ogni creatura è posta in essere dalla causa efficiente, e conformata al modello ed è ordinata a un fine. E per questo è una, era, buona; regolata, speciosa, ordinata; misurata, distinta e pesata: infatti il peso è un'inclinazione ordinatrice. Questa è, quindi, quanto si dice generalmente su ogni creatura, sia corporea, sia incorporea, sia composta di entrambe, come è la natura umana.
 

II. La natura corporea in quanto al divenire

Sulla natura corporea quanto al divenire, si devono in special modo ritenere queste cose: che è stata prodotta nell'essere in sei giorni, così che in principio, prima di ogni giorno, Dio creò il cielo e la terra [Gen 1,1]. Nel primo giorno, invero, fu creata la luce; nel secondo, fu fatto il firmamento nel mezzo delle acque; nel terzo giorno, le acque furono separate dalla terra e raccolte in un unico luogo; nel quarto giorno, poi, il cielo fu abbellito di astri; nel quinto, l'aria e l'acqua [furono abbellite] di volatili e pesci; nel sesto giorno, la terra di animali e uomini; nel settimo giorno Dio si riposo, non dalla fatica né dal lavoro, poiché egli opera tuttora, ma dalla creazione di nuove specie; poiché aveva fatto tutte le cose o nel loro simile, come quelle che si propagano, o nella loro ragione seminale, come quelle che sono poste in essere in altre maniere.

La ragione, poi, per intendere le cose predette è questa. Dato che, infatti, le cose promanano dal primo e perfettissimo principio, che come tale è anche onnipotentissimo, sapientissimo e benevolentissimo, fu necessario che esse fossero poste in essere, in modo che nella loro creazione rilucesse la già menzionata triplice nobiltà e l'eccellenza. E perciò, l'operare divino volto a produrre la macchina del mondo ebbe tre aspetti, cioè la creazione, che appropriatamente corrisponde all'onnipotenza; la distinzione, che corrisponde alla sapienza; e l'ornamento, che corrisponde alla bontà copiosissima.

E poiché la creazione è dal nulla, per questo fu in principio, prima di ogni giorno, quale fondamento di tutte le cose e di tutti i tempi. D'altra parte, poiché nel mondo la distinzione delle realtà corporee si realizza secondo un triplice modo, fu fatta nello spazio di tre giorni. C'è, infatti, la distinzione della natura luminosa dalla trasparente e dall'opaca, e questa fu fatta il primo giorno con la divisione della luce dalle tenebre; e c'è la distinzione della natura trasparente dalla trasparente, e questa fu fatta il secondo giorno con la divisione delle acque dalle acque; e c'è la distinzione della natura trasparente dall'opaca, e questa fu fatta il terzo giorno con la divisione delle acque dalle terre. In queste cose, poi, è dato comprendere implicitamente la distinzione dei corpi celesti e dei corpi elementari, come appresso sarà chiarito. Così, dunque, la distinzione dovette essere fatta nello spazio di tre giorni.

E poiché l'ornamento è correlato alla distinzione, in modo simile, dovette essere compiuto in tre giorni. Infatti, c'è l'ornamento della natura luminosa, e ciò fu fatto il quarto giorno con la formazione delle stelle, del sole e della luna; e c'è l'ornamento della natura trasparente, e ciò fu fatto il quinto giorno, nel quale dalle acque furono fatti i pesci e gli uccelli per ornare l'acqua e l'aria; e c'è l'ornamento della natura opaca, cioè della terra, e ciò fu fatto il sesto giorno, in cui furono fatte le bestie ed i rettili, e a compimento di tutte le cose fu creata la natura umana.

Inoltre, sebbene Dio avesse potuto fare tutte queste cose in un unico istante, tuttavia preferì farle attraverso la successione dei tempi, sia per una distinta e chiara manifestazione della potenza, della sapienza e della bontà, sia per una conveniente corrispondenza dei giorni, ovvero dei tempi, e delle opere; inoltre, siccome in occasione della prima creazione del mondo dovevano essere prodotti i germi delle opere a venire, così fossero prodotte anche le prefigurazioni dei tempi futuri. Per cui in quei sette giorni, in modo quasi seminale, precedette la distinzione di tutti i tempi che si dispiegano nello svolgimento di sette età. E da ciò discende che ai sei giorni delle opere si aggiunge il settimo di riposo; che, come è scritto, e il giorno in cui non c'è tramonto, non perché quel giorno non abbia una notte che gli succeda, ma per prefigurare il riposo delle anime che non avrà mai fine. Se poi, diversamente, si dicesse che tutte le cose furono create nello stesso tempo [Sir 18,1], allora tutti questi sette giorni si riferiscono alla considerazione angelica. Il primo modo di dire è maggiormente consonante con la Scrittura e con l'autorità dei Santi [Padri], sia di coloro che precedettero sia anche di colora che vennero dopo il beato Agostino.

    

Breviloquio, in Opuscoli teologici, Opere di san Bonventura, vol. V/2, tr. it di Mariano Aprea, Città Nuova, Roma 1996, pp. 87-91