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L’evoluzione della specie umana

Theodosius Dobzhansky
traduzione di Luciana Pecchioli

Einaudi,
Torino 1965
pp. 388
Anno di edizione originale: 1962
ISBN: 9788806238612

«La cosa più incomprensibile nei riguardi del mondo è che esso è comprensibile»; con questa citazione di Einstein, Theodosius Dobzhansky, uno dei più importanti genetisti e studiosi dell’evoluzione in campo internazionale (che ha dedicato parte dei suoi studi alla Drosophila, il moscerino della frutta protagonista di una parte rilevante delle più importanti scoperte in questo campo) introduce la sua opera comunicandoci lo stupore che il ricercatore non può non avvertire di fronte all’essere umano, motivando così gli sforzi compiuti nel tentativo di comprenderlo, nella sua unicità e nelle sue peculiari capacità. Consegnandoci in questo volume anche la sua visione sapienziale della ricerca scientifica, L’A. afferma che dall’incontro con il mistero scaturiscono tutta l’arte e la scienza, e che proprio queste «si affaticano a rendere [l’uomo] comprensibile» in quanto è l’uomo «la più misteriosa delle esperienze». I tentativi di sintesi sono per Dobzhansky indispensabili quanto le ricerche specialistiche, soprattutto ora che si assiste ad una sempre maggiore “frammentazione” del sapere scientifico che rischia di far perdere una visione d'insieme del fenomeno indagato; per questa ragione l'A. propone un’analisi che, ponendosi dai punti di vista di diverse discipline, della genetica e della biologia evoluzionistica, esplori «la possibilità di arrivare a capire l’umanità quale prodotto dell’evoluzione» e quale specie tuttora in evoluzione. Nel suo tentativo di sintesi pone particolare attenzione ai meccanismi che regolano l’eredità dei caratteri, alla differenza tra caratteri ereditari e quelli acquisiti, all’interazione tra componente genetica ed ambientale durante lo sviluppo dell'organismo, ai modi in cui cambia la composizione genetica di una popolazione in risposta ai cambiamenti ambientali. Analizza, così, a fondo i due punti cardine di ogni evento evolutivo, e cioè i meccanismi che generano la diversità (sia di origine genetica che ambientale) e il modo in cui opera su questa la selezione naturale in una popolazione. Incuriosisce, in particolare, il tentativo dell’A. di delineare in modo chiaro lo stato attuale delle conoscenze sui processi evolutivi in atto nell’uomo contemporaneo, facendo luce, a volte, su ipotesi rivelatesi poi errate (ad esempio, smentendo che l’umanità tende a divenire sempre meno intelligente per la minor prolificità delle classi socialmente più agiate) o su concetti presenti nel linguaggio comune come quello di “razze umane”. Si apre alla riflessione interdisciplinare specialmente l’ultimo capitolo, in cui vengono toccati diversi temi di notevole interesse, come la coscienza di sé e l’etica, e in cui l’A. esamina alcuni modi di utilizzare le conoscenze scientifiche a nostra disposizione per il bene futuro dell’umanità e della sua evoluzione. È tale l’utopia (agghiacciante a nostro avviso), proposta da Muller, di favorire, tramite fecondazione artificiale (o una ipotetica tecnica di clonazione umana), la nascita di bambini dal patrimonio genetico “scelto”. Interessante ed eloquente il tentativo dell'A., coerentemente con l'importanza attribuita alla sintesi interdisciplinari, con cui nozioni quale quella di “saggezza” vengono messe all'opera per comprendere i rapporti tra evoluzione umana e senso etico. Ancora nell'ultimo capitolo si trovano spunti innovativi (soprattutto considerato il periodo in cui l'opera viene concepita) sul rapporto tra evoluzione genetica ed evoluzione culturale dell'essere umano (tema che fa il suo ingresso, in realtà, già dal primo capitolo del libro): si riconosce che l'evoluzione culturale rende l'uomo in grando di influenzare e quasi dirigere la propria evoluzione: «Non è più necessario che l'evoluzione sia un destino imposto dall'esterno; si può concepire che sia controllato dall'uomo, in accordo con la saggezza e i valori umani» (p. 353). Altrettanto degno di nota è il paragrafo finale dell'opera, in cui l'A. ripercorre la storia lungo la quale, da Copernico e Galilei passando per Darwin e Freud, l’essere umano si è visto progressivamente decentrato e quasi “marginalizzato” nell’immensità spaziale e temporale dell’universo. In dialogo con autori quali Blaise Pascal e Teilhard de Chardin, Dobzhansky non manca di scorgere, secondo la prospettiva evolutiva, un’ulteriore dimensione della centralità dell’essere umano, quella spirituale: «se l'uomo non è fisicamente il centro dell'universo, può esserne il centro spirituale» (p. 352).