Tu sei qui

Congetture e Confutazioni

Karl R. Popper
Il Mulino, Bologna 1972
ISBN:
9788815128041

Karl Popper, Conjectures and refutations. The growth of scientific knowledge, Basic Books, New York 1962. 

trad. it. G. Pancaldi, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972.

L'Autore

Karl Raimund Popper nacque a Vienna nel 1902 da genitori ebrei. Si laureò in Filosofia nel 1928, seguendo inizialmente i passi del marxismo e aprendo un confronto con il Circolo di Vienna sulle fondamentali questioni epistemologiche. Ben presto, rendendosi conto dell'atteggiamento dogmatico di tali posizioni, se ne discostò e diede vita alla sua prima grande opera di contrasto al positivismo, “Logica della scoperta scientifica” pubblicata in tedesco nel 1934 e poi in versione inglese nel 1959. In tale opera fu da subito chiaro l’intento popperiano di rivoluzionare la metodologia scientifica, colpevole, secondo l’autore, di aver assolutizzato, fino a quel momento, il ruolo di induzione e osservazione diretta nell'elaborazione delle teorie scientifiche. La sua rivoluzione epistemologica consistette proprio nel superamento del positivismo logico e nell'introduzione della falsificabilità come unico criterio possibile di avanzamento della conoscenza. La falsificabilità, inducendo a sottoporre le teorie scientifiche a critiche e controlli continui, assicura il rafforzamento progressivo dell’assetto teorico di una determinata branca del sapere scientifico attraverso l’eliminazione delle teorie che non reggono al confronto con i dati. In tal senso fu di ispirazione la rivoluzione relativistica con la quale Einstein superò la teoria di Newton fino ad allora considerata certa ed inconfutabile. Einstein mai scoraggiò le critiche e i tentativi di confutazione della sua nuova teoria.

Popper, fu poi costretto ad emigrare in Nuova Zelanda, nel 1937, a seguito dell'avvento del nazismo. Durante il periodo della guerra si dedicò ad una profonda riflessione politica, che lo portò all'elaborazione dei suoi più importanti testi di difesa della democrazia e dell'idea di una società tollerante ed aperta, come in “La società aperta e i suoi nemici” del 1945. L'anno successivo si trasferì in Inghilterra dove diventò Professore di Logica e metodologia scientifica, diventando membro della Royal Society e proclamato anche “Sir” nel 1965. Tenne molte conferenze tra Cambridge e Harvard, per poi confrontarsi nel 1961 anche con la Scuola di Francoforte, fino ad interrompere la sua attività di insegnamento nel 1969. Si impegnò nel 1977 alla stesura di un testo in collaborazione con Eccles, “L'io e il suo cervello”. Morì a Londra nel 1994.

 

L'Opera

Congetture e Confutazioni” è una raccolta di conferenze e saggi di Popper, edita nel 1962. Questa è probabilmente l'opera che maggiormente racchiude il suo pensiero, ripercorrendo tutte le principali tematiche e fornendo una sistematizzazione delle sue tesi. Un'opera quindi di ampia veduta, profonda e complessa, lunga ma nello stesso tempo scorrevole grazie alla chiarezza espositiva dell'A.. Tutta la trattazione (come del resto l'intento principale fin dagli albori del pensiero dell’A.) è mossa dalla necessità di chiarire la corretta metodologia scientifica per un avanzamento della conoscenza, che potesse permettere la distinzione tra ciò che è scientifico e ciò che invece non può definirsi tale. In sintesi, l'uomo è spinto verso la conoscenza grazie al suo bisogno naturale di trovare delle regolarità nella natura e, procedendo per tentativi ed errori, cerca di risolvere problemi ipotizzando delle soluzioni che verranno sottoposte al vaglio di critiche e confutazioni. La teoria che in un dato momento resiste al maggior numero di confutazioni sarà quella più verosimile, e che dovremo accettare come valida, ma sempre con la consapevolezza della sua fallibilità e falsificabilità. Tutto ciò rappresentò un cambio di paradigma epistemologico, soprattutto nei confronti del positivismo. Il nuovo punto di vista introdotto, l'unico a parere dell’A. in grado di far avanzare la scienza, è ciò che egli chiama razionalismo critico, ovvero il considerare la scienza come un processo di continuo controllo delle teorie mediante confutazioni. La conoscenza progredirebbe allora “criticando le teorie o i tentativi congetturali fatti dagli altri, e, se possiamo educarci a farlo, criticando le nostre stesse teorie e i nostri tentativi congetturali” (p. 51). È il tentativo dell'A. di superare la disputa che si protrae da secoli tra empirismo e razionalismo: l'empirismo (di Bacone, Locke e Hume), secondo cui la fonte primaria della conoscenza è l'osservazione, e il razionalismo (di Cartesio, Spinoza e Leibniz) per cui invece la conoscenza ha origine nell'intuizione delle idee chiare e distinte, e quindi nella ragione. Per Popper “né l'osservazione né la ragione possono ritenersi una fonte di conoscenza nel senso in cui, fino ad oggi, si è preteso che fossero tali” (p. 13). Non esistono fonti primarie di conoscenza, ma esiste un procedimento naturale dell'uomo nel risolvere problemi, attraverso congetture e controllo di esse mediante tentativi di confutazione, in cui risulta sfumata la distinzione tra ragione ed osservazione, poiché quest'ultima è sempre in un certo senso guidata da credenze personali e scopi.

Come abbiamo prima accennato, molto probabilmente fu la storia della teoria della relatività di Einstein ad ispirare la sua formulazione della demarcazione tra scienza e pseudoscienza. Più nello specifico, potremmo dire il confronto tra la scientificità della relatività e la presunta scientificità di teorie con cui l'A. si era da sempre confrontato, come la psicoanalisi e il marxismo. Popper notò proprio come questi due approcci fossero radicalmente diversi: la teoria di Einstein era sempre stata posta dallo stesso scienziato come necessaria di conferme sperimentali, seguita da continui controlli e tentativi di confutazione. Ciò che avveniva per la psicoanalisi e il marxismo era invece un'assenza di possibili confutazioni, poiché ogni evento poteva venir interpretato a favore della teoria, senza possibilità di oggettive verifiche, ed ogni nuova esperienza veniva vista alla luce di quella precedente (cfr. p. 65). Simili teorie erano molto più vicine a delle profezie che non ad elaborazioni scientifiche. Così, il problema della demarcazione viene risolto considerando che “un sistema dev'essere considerato scientifico soltanto se fa asserzioni che possono risultare in conflitto con le osservazioni; ed è, di fatto, controllato da tentativi miranti a produrre tali conflitti, vale a dire da tentativi condotti per confutarlo” (p. 451). Il paradigma popperiano sanciva un nuovo criterio di scientificità, basato sui concetti di falsificabilità e controllabilità.

Dopo queste aspre critiche alle pseudoscienze, Popper dovette confrontarsi con il Circolo di Vienna, che alla base del proprio pensiero aveva invece il concetto di verificabilità. Sulla scia del positivismo, l'atteggiamento scientifico era divenuto un vero e proprio dogma, assumendo il proprio metodo come universale e certo. Popper fece notare agli altri membri del Circolo che il loro metodo, basato sull'induzione, era inesatto, e che la verificabilità conduceva ad un “rozzo criterio di demarcazione”. L'induzione, in realtà, non assicura nessun tipo di validità scientifica, poiché nulla ci garantisce che le osservazioni possano ripetersi fino a formare una legge universale. In tal senso Hume aveva già notato come l'uomo si “abitui” alle osservazioni, senza che esse conferiscano alcuna certezza di ripetizione. L'atteggiamento dogmatico del verificazionismo conduceva invece ad imporre delle leggi universali alla natura solamente basandosi sulle osservazioni che, a parere di Popper, sono invece sempre mediate dal quadro teorico di aspettazioni dell'uomo. Già Kant aveva sostenuto come fosse l'uomo in realtà ad imporre le proprie leggi alla realtà, ma senza accorgersi che esse non sono necessariamente vere. La maggior parte delle teorie sono invece false, e l'unico atteggiamento possibile è quello critico, “disposto a modificare le proprie convinzioni, che ammette il dubbio ed esige controlli” (p. 88). L'osservazione, così come la ragione, sono quindi solamente funzionali al metodo critico e, lungi dal costituire delle fonti primarie di conoscenza, svolgono come ogni altra cosa semplicemente il compito di controllo e confutazione delle teorie.

La conclusione che Popper fornisce nel discorso sull'induzione è che si tratta di “un mito. Non è né un fatto psicologico, né un fatto della vita quotidiana, e nemmeno una procedura scientifica” (p. 96).

 

Il senso della filosofia

Uno dei dibattiti più accesi ed interessanti che Popper intrattenne fu quello con Wittgenstein. Quest'ultimo – soprattutto nella prima fase del suo pensiero (contemporanea alla presenza di Popper a Vienna), quella del Tractatus logico-philosophicus – sostenne che le proposizioni hanno senso solo se riferite a fatti “possibili” dell'esperienza, ovvero “immagini logiche di fatti”. L'interpretazione che ne diede Popper fu quella di un approccio perlopiù ancorato al verificazionismo e all'anti-metaficismo. Di conseguenza, la filosofia e la metafisica erano solamente delle proposizioni vuote, prive di senso. Dei meri suoni, espressioni prive di significato e generatrici di falsi problemi. Così, per la scienza le uniche asserzioni accettabili dovevano essere quelle riferite ad osservazioni concrete inerenti ai fatti, che potevano cioè essere verificate. C'è da sottolineare come questa interpretazione di Wittegenstein sia stata poi messa in discussione da molti studiosi, essendo il filosofo austriaco di complessa veduta, ma da ciò che è emerso sicuramente egli non condivise mai appieno l'anti-metafisica del Circolo di Vienna, del quale non fu del resto mai membro. Tuttavia, per Wittgenstein, di filosofia era possibile parlare solamente in quanto lavoro di chiarificazione linguistica volta a smascherare i non-sensi. Per quanto Popper fosse inizialmente in parte d'accordo con il fatto che la filosofia si lasciasse spesso andare a discussioni troppo distanti dalla realtà, non riteneva assolutamente fondate le critiche di Wittgenstein. Piuttosto, era insensato questo domandarsi se le proposizioni filosofiche avessero o meno senso. Esse, al pari di quelle scientifiche, possono essere o meno funzionali al progresso scientifico, come accaduto spesso durante la storia della scienza. È tale domanda pertanto a risultare un falso problema (cfr. p. 471). Wittgenstein non aveva notato come nella scienza svolgono un ruolo determinante le congetture, che spesso esulano dal mero atteggiamento induttivo basato su osservazioni concrete. Anzi, esse sono per forza di cose mediate dal nostro atteggiamento filosofico, e lo saranno sempre. Per Popper, “la tesi secondo cui l'analisi del linguaggio è tutto in filosofia, è paradossale” (p. 465). La filosofia assume così una funzione generatrice di nuove ipotesi, visioni, cambi di paradigma, che verranno poi controllati attraverso tentativi di confutazione, al pari di qualsiasi altra teoria o metodo di ricerca.

È anche questo uno dei motivi per i quali Popper si apre alla visione interdisciplinare ed olistica della ricerca scientifica: la scienza non è un dogma, né un recinto in cui stilare le proprie leggi e visioni escludendo i contributi delle altre discipline. La conoscenza è complessità. Non esiste una singola disciplina o un singolo metodo, bensì è necessario progredire attraverso una visione d'insieme, un connubio di punti di vista che offrono ognuno il proprio peculiare contributo. In fondo, “noi non siamo studiosi di certe materie, bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi disciplina” (p. 118).

Ad animare il progresso della conoscenza è l'atteggiamento critico, riconducibile secondo l'A. agli albori della filosofia. Essa nasce infatti come critica del senso comune arcaico, come presa di coscienza che la natura abbia da raccontare altre cose che non siano semplicemente quelle tramandate dalla tradizione. Ed i primi filosofi tutto erano tranne che degli specialisti: essi conoscevano quasi tutte le discipline, ma il loro più importante contributo era di volta in volta critico, attraverso una messa in discussione della tradizione e la creazione di nuovi punti di vista, idee e riflessioni.

La complessità porta anche ad un'idea di verità diversa da quella dogmatica: essa per l'A. si può ridefinire con il concetto di verosimiglianza, che si applicherebbe, di volta in volta, alla teoria che presenta il maggior grado di corrispondenza alla verità oggettiva, la quale ultima, da questo punto di vista, svolgerebbe un ruolo regolativo (p. 393). Per Popper la verità oggettiva esiste (egli è un realista, ma per l'appunto un realista critico), ma non possiamo mai renderci conto di averla raggiunta, pertanto non ci resta altro metodo che quello di selezionare la teoria che resiste al maggior numero di confutazioni e che quindi presumibilmente si avvicina di più alla verità.

 

Il ruolo della metafisica

Già con la critica a Wittgenstein era emerso tutto il dissenso di Popper verso l'anti-metafisica del Circolo di Vienna. In quest'opera, l'A. conduce una vera e propria genealogia della metafisica, giustificando il fatto che essa abbia da sempre avuto un ruolo determinante nell'avanzamento della conoscenza. Fu infatti già Talete a rappresentare questo atteggiamento, in quanto cercò di superare le descrizioni effettuate dai miti che si tramandavano da generazioni. Ma ciò avvenne mediante la creazione di altri miti, con la differenza che da quel momento in poi nacque la consapevolezza dell'indagine filosofica e scientifica sulla natura, che portò ad un rapido progresso della conoscenza. La metafisica acquisì un ruolo di creazione di nuove visioni della realtà, che potevano d'ora in poi essere criticate e discusse mediante le operazioni intellettive e i riscontri dell'esperienza. Lo stesso A. nella sua altra opera “Logica della scoperta scientifica ricorda che molte teorie metafisiche sono poi infatti divenute scientifiche, come ad esempio la teoria corpuscolare della luce o l'atomismo. Popper è convinto che i miti possano entrare a far parte della ricerca scientifica, poiché essa in un certo senso può esser vista come un mito, ovvero come una congettura in grado di avvicinarsi alla verità e che dovrà superare il vaglio dei tentativi di confutazione. I miti, infatti, “possono portare allo sviluppo di elementi controllabili” e “possono rivelarsi proficui e importanti per la scienza” (p. 438). Ciò che è da tenere presente è che le intuizioni metafisiche possono, di primo acchito, sembrare non scientifiche e lontane dai fatti ma, come accaduto in passato, restano aperte ad eventuali successive conferme. L'anti-metafisica viene così criticata e superata da Popper, che riesce in qualche modo a conferire alla metafisica perfino una valenza scientifica. La demarcazione non riguarderà più la differenza tra scienza e metafisica, bensì si riferirà solamente a ciò che non può essere costitutivamente confutato (astrologia, psicoanalisi, ecc..). L'A. sostiene infatti che le teorie scientifiche “non sono semplicemente il risultato di osservazioni. Si tratta invece, per lo più, di prodotti derivanti dalla creazione di miti e dai controlli” (p. 220).

La natura non è più una realtà immobile che confidiamo di poter passivamente scrutare, ma l'uomo, insieme alle sue credenze, riflessioni e dubbi, interroga la natura stessa per indagarne eventuali regolarità e universalità, consapevole ormai di essere asintoticamente proteso verso la verità senza mai considerare interrotto il processo di conoscenza. Ogni esigenza di conoscere deriva da problemi, che cerchiamo di risolvere mediante tentativi ed errori. Ed ogni problema necessita di un tentativo di spiegazione, derivando da esperienze non ancora descritte scientificamente. Ma il processo sembra non arrestarsi mai, poiché ogni nuova teoria genera nuovi problemi, pertanto “il più durevole contributo che una teoria può dare all'accrescersi della conoscenza scientifica, è costituito dai nuovi problemi cui dà origine, cosicché siamo ricondotti alla concezione della scienza, o dell'accrescimento della conoscenza, come un procedimento che sempre dai problemi parte e ad essi conclude, essendo questi di profondità sempre crescente, e di sempre maggiore fertilità nel suggerirne di nuovi” (p. 381)

Popper ci presenta un'idea di scienza aperta, complessa e necessariamente critica. L'essere umano, e la scienza da lui creata, non può ritenersi al di là del procedimento critico e falsificazionista, che si pone come unica strada da seguire per l'accrescimento della conoscenza. Pertanto l'A. auspica che l'uomo possa comprendere il suo essere costitutivamente fallibile e confutabile, e possessore di una ragione imperfetta che solo attraverso un procedimento interdisciplinare e aperto potrà continuare a migliorare. La tendenza a ricercare una verità oggettiva può servire da idea regolatrice per accettare la miglior teoria in un dato momento, ma quella verità non sarà mai raggiunta poiché “è al di là dell'autorità umana”. La verità esiste oggettivamente, ma è come “una cima montuosa, normalmente avvolta tra le nuvole” e “sebbene non vi siano regole generali per riconoscerla esistono tuttavia dei criteri per progredire verso di essa” (p. 388). Tali criteri sono stati forniti magistralmente dall'A., e da allora fino ad oggi risultano essere dei pilastri imprescindibili della ricerca scientifica.

Bibliografia

S. Gattei, Introduzione a Popper, Laterza, Roma 2008
K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 2010
K.R. Popper, Scienza e filosofia, Einaudi, Torino 2007
Facoltà di Filosofia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata